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Silvano Borsari, storico di Venezia
di Mario Gallina


[Testo letto nella giornata di studi Tra Occidente ed Oriente: attorno alla storiografia di Silvano Borsari, Macerata, 6 aprile 2006]

© 2006 - Mario Gallina per "Reti Medievali"


Nel convegno su Ricchi e poveri nella società dell’Oriente grecolatino, svoltosi ad Atene nella primavera del 1998, Michel Balard, nella relazione introduttiva dedicata allo «Stato della ricerca sulla latinocrazia nel Mediterraneo orientale»[1], osservava che a partire dagli anni Settanta del secolo scorso si era assistito, in questo ambito, a uno straordinario sviluppo degli studi, ma che, proprio per questa ragione, non era sempre agevole discernere i lavori davvero essenziali e significativi. Non aveva alcun dubbio, però, nell’indicare tra questi ultimi gli studi di Silvano Borsari, tra i quali ricordava esplicitamente il contributo dedicato al Commercio italiano con i paesi mediterranei e con l’Asia nel Medioevo [2], il saggio su Pisani e Bisanzio nel XII secolo [3], oltre, naturalmente, al volume su Venezia e Bisanzio nell’XI secolo. I rapporti economici [4].

 

L’interesse di Silvano Borsari per il nesso assai stretto e imprescindibile tra aspetti economici e istituzionali, quale indispensabile chiave interpretativa per valutare le caratteristiche del dominio veneziano in Levante, datava fin dall’inizio della sua carriera di studioso. Al 1963, infatti, risaliva la monografia sul Dominio veneziano a Creta [5] uno studio passato allora quasi inosservato, forse anche per la sua difficile reperibilità – si trattava del primo volume di una collana di monografie del Seminario di Storia medievale e moderna dell’Università di Napoli diretto da Ernesto Pontieri –, ma destinato a divenire nel tempo un piccolo classico e un sicuro punto di riferimento per gli studiosi del mediterraneo orientale. Due erano, infatti, le importanti novità presenti in quel lavoro: la prima concerneva l’aperto riconoscimento del ruolo economico e politico svolto da Creta, a partire dalla prima metà del secolo XII, all’interno degli scambi commerciali tra Venezia e il Levante; la seconda riguardava la scelta delle fonti usate e, dunque, il metodo stesso della ricerca.

A differenza, infatti, di Freddy Thiriet, che, quattro anni prima, nella sua giustamente celebre thèse sulla Romanie vénitienne au Moyen Âge [6] aveva studiato la storia dei domini veneziani in Levante soltanto attraverso il prisma, necessariamente deformante, della documentazione ufficiale veneziana – una documentazione in cui si esprimevano talora più le aspirazioni della città lagunare che la realtà dei territori a essa soggetti, Silvano Borsari spostava l’attenzione sulla documentazione locale - di cui divenne insuperato conoscitore – al fine di considerare le strutture produttive nel loro formarsi e nel loro prosperare all’interno dell’isola di Creta, a ragione individuata quale modello della società coloniale veneziana allora in via di formazione. In ampio anticipo sugli studi successivi, egli perveniva così a mettere in luce il nascere, all’interno stesso dell’isola, di un’autoctona spinta all’accumulazione, quale premessa indispensabile per il sorgere di un ceto mercantile veneto-cretese con forti connotati locali: vale a dire di un ceto costituito sia da patrizi e popolani originari di Venezia, che, pur non interrompendo i rapporti con la madre patria, si radicano sempre più nella nuova terra, sia da greci che, fattisi mercanti nell’esaltante congiuntura del momento, hanno unito i propri capitali a quelli dei conquistatori essendone, a loro volta, finanziati, sia, infine, da italiani che hanno scelto l’isola come sede per i loro traffici. Era, questa, una lezione che avrebbe influenzato profondamente tutti i successivi studiosi dell’Oriente greco-latino: non a caso, quel piccolo, e solo all’apparenza dimesso, volume continua a essere un imprescindibile punto di riferimento per chi voglia affrontare lo studio di quei temi, e non cessa di avere un posto di rilievo in tutte le bibliografie internazionali, ivi comprese quelle anglosassoni, non sempre attente alla produzione in lingua italiana.

D’altronde, fin dal 1966, lo studio su Creta trovava il suo ideale complemento in una monografia dedicata alle molteplici questioni connesse agli insediamenti veneziani nelle terre un tempo appartenute all’Impero bizantino[7]. In quest’opera l’interesse di Silvano Borsari, pur sempre attento ai temi economici che gli erano peculiari, verteva tuttavia soprattutto sull’esame degli avariati meccanismi attraverso cui si organizzò, sul piano istituzionale, la conquista veneziana. Lo stimolo ad affrontare un tale tipo di studio nasceva in lui da una convinzione precisa: dalla persuasione, cioè, che colonizzare e mantenere i territori assegnati alla Repubblica adriatica nelle forme di quel dominio diretto sperimentato a Creta avrebbe comportato una trasformazione radicale dell’economia, della società e in genere della vita veneziana, al punto da presupporre un governo territoriale per sua struttura antitetico al regime costituzionale della madrepatria. Donde la necessità di studiare con attenzione il saggio realismo adottato da Venezia e le diverse forme di controllo di volta in volta applicate nei vari territori del Levante.

Già ben delineati in queste due opere, davvero di carattere pionieristico, tali temi di carattere economico-istituzionale continuarono ad appassionare Silvano Borsari nel corso di tutta la sua lunga carriera di studioso. E, invero, l’interesse per i peculiari aspetti assunti dall’economia cretese nell’ambito del mercato internazionale veneziano ricorre in svariati saggi: da un articolo sullo stato economico delle comunità ebraiche di Creta e Negroponte[8] sino agli studi sul mercato dei tessuti a Candia[9] e sui traffici portuali della capitale cretese nel secolo XIV[10]. Parimenti ritroviamo l’attenzione per gli aspetti organizzativi, oltre che economici, dei domini veneziani in Levante in un contributo di sintesi, dedicato ai Veneziani delle colonie, che, pubblicato nel 1997 nel terzo volume della Storia di Venezia[11], integrava con nuovi dati d’archivio uno studio, risalente a un decennio prima, relativo alla struttura dei possessi veneziani nell’Impero bizantino del secolo XII[12].

Quasi inevitabilmente, a questi due temi se ne affiancò ben presto un terzo, a essi strettamente collegato. Come si poteva, infatti, studiare il dominio coloniale veneziano senza anche affrontare la questione dell’origine di quel dominio stesso, vale a dire la questione di come erano sorti e di come si erano sviluppati i rapporti tra Venezia e Bisanzio? Nel 1998 usciva così, presso la Deputazione di storia patria per le Venezie, una nuova e importante monografia dedicata, appunto, a Venezia e Bisanzio nel XII secolo. I rapporti economici. Beninteso, quello studio non nasceva all’improvviso, ma era stato preceduto, tra gli altri, da tre ampi saggi, pubblicati tra il 1964 e il 1986, aventi tutti per oggetto le relazioni tra Venezia e Bisanzio[13]. Sarebbe tuttavia erroneo considerare il volume su Venezia e Bisanzio come un semplice completamento di quei medesimi saggi: l’intento è più ambizioso e l’opera risulta nuova sotto molteplici aspetti.

Il quadro giuridico-politico dei rapporti fra la Repubblica adriatica e l’Impero di Costantinopoli viene definito e chiarito attraverso un meticoloso esame dei crisobulli concessi a Venezia tra il 1082 e il 1198. Senza dubbio ogni nuova concessione comporta per Venezia rinnovati e più ampi privilegi, ma Silvano Borsari, unico tra gli studiosi, insiste anche sull’importanza e sulla qualità delle contropartite offerte dalla città lagunare. Comunque sia, è certo che alla fine del secolo XII i veneziani sono ormai presenti in tutto l’Impero con la sola eccezione del Mar Nero, sicché essi non soltanto godono di un pressoché esclusivo monopolio degli scambi transmarini, ma anche controllano l’esercizio effettivo di quelli interni all’Impero stesso. Una considerazione, questa, che, insieme a una più attenta valutazione delle rendite «invisibili» - guadagni sui cambi, noli marittimi, vendita di navi e simili - permette d’introdurre importanti precisazioni a proposito del tradizionale dibattito circa la reale entità dell’esportazione verso Oriente di metalli preziosi al fine di saldare il deficit della bilancia commerciale occidentale.

E d’altronde l’interesse dichiaratamente mercantile, che - malgrado la scarsezza di capitali disponibili riscontrabile a Venezia sino al 1130 circa – animava i veneziani ben prima degli eventi del 1204,  è ben mostrato da un episodio solo apparentemente insignificante in una prospettiva di storia economica: la traslazione, avvenuta nel 1110, da Costantinopoli a Venezia delle reliquie di s. Stefano Protomartire. In seguito a una violenta tempesta che minacciava di affondare la nave su cui era stato imbarcato il corpo del santo, tutti coloro che erano a bordo fecero voto, qualora si fossero salvati, di recarsi ogni anno a piedi nudi in pellegrinaggio alla chiesa destinata a conservare quelle reliquie. A ragione Silvano Borsari richiama l’attenzione su un duplice, trascurato aspetto della narrazione: dapprima per sottolineare quanto diffusa dovesse essere, tra equipaggio e passeggeri, la pratica degli affari se si sentì la necessità di registrare tale promessa presso il notaio di bordo; quindi per rilevare come tra i settantadue passeggeri, ben ventotto appartenessero alle più prestigiose famiglie ducali dei secoli XI e XII, dai Michiel ai Dandolo, dai Morosini ai Gradenico, sino agli Orseolo e ai Contarini. L’esempio è rivelatore dell’impianto del volume: mostrare, talora anche attraverso correzioni all’apparenza di poco conto, la debolezza dell’impianto teorico prevalente nella storiografia economica più tradizionalista che, sulla scia di Werner Sombart[14], tende costantemente a minimizzare il senso e la portata dello sviluppo commerciale veneziano nel secolo XII.

In una prospettiva non diversa, l’ultimo capitolo del volume si propone di ricostruire minuziosamente la carriera di alcuni mercanti veneziani particolarmente attivi sulle piazze orientali. Ciò che permette di verificare, ancora una volta, la straordinaria dimestichezza con cui l’autore si muove negli archivi veneziani, ma anche, e soprattutto, di comprendere lo spirito, invero mai apertamente dichiarato, da cui egli era mosso. Non è senza sorpresa, infatti, vedere come i protagonisti di questo capitolo, assunti a emblema stesso del mercante capitalista, siano, malgrado i loro nobili cognomi, tutti o quasi di origine servile. Tale è Giacomo Venier, uno schiavo saraceno, affrancato nel 1158 ad Almiro dal proprio padrone Marco Venier che, con la libertà, gli ha trasmesso, oltre al cognome, la capacità di trafficare tra Costantinopoli, Alessandria e Rialto sino ad acquisire un’agiatezza tale da permettere a sua figlia di sposare un Dondi e, dunque, di inserirsi completamente nella società veneziana. Tale è il croato Dobramiro Stagniario che, affrancato prima del 1125 e assunto anch’egli il cognome del proprio padrone, sia pure tra mille difficoltà, ivi compreso un sequestro di beni per debiti, pone le basi per la prosperità dei propri eredi alla cui  ascesa economica, derivante da traffici sulle rotte della Siria, di Tiro e di Acri, si lega anche, nell’arco di tre generazioni, una piena promozione sociale resa possibile da una società mercantile dinamica e aperta, pronta a riconoscere l’importanza di uomini nuovi, che per la loro attiva partecipazione al commercio transmarino non usarono le rendite ricavate da un patrimonio immobiliare di cui erano sprovvisti, ma il credito e le opportunità da questo offerte. Opportunità che coinvolgono anche Romano Mairano, un mercante veneziano ben noto, la cui carriera è stata oggetto di discussioni e polemiche, talora un po’ semplicistiche, da parte sia di Werner Sombart[15] sia di Rehinard Heynen[16]. Ora, con un’analisi minuziosa e convincente, si dimostra come il Mairano non possa essere ridotto a semplice cliente del doge Sebastiano Ziani e come, al contrario, egli abbia saputo diversificare i propri soci e le proprie attività, sino ad acquisire nell’ambito dell’insediamento veneziano a Costantinopoli una posizione di particolare prestigio, da cui venne ulteriormente rafforzato il suo patrimonio economico, anche immobiliare.

Non è possibile non vedere nell’individuazione dei succitati mercanti una scelta volutamente consapevole, dovuta, senza dubbio, all’arguzia dello studioso italiano che, non a caso, pubblicando in appendice i documenti inediti delle famiglie Stagnario e Mairano, dopo averne esaltato nel testo le capacità mercantili e finanziarie, privilegia poi gli atti relativi alle transazioni immobiliari e terriere quasi una risposta discreta, e forse per questo ancor più efficace, a quanti sostengono che i veneziani hanno atteso la fine del medioevo per investire nella terra.

E, invero, che anche nella vita quotidiana Silvano Borsari fosse dotato di misurato, ma autentico sense of humour, ben lo sa chi ha avuto occasione di conoscerlo in modo non superficiale; tuttavia, la scelta di concentrare la propria attenzione sul successo ottenuto da personaggi di origine modesta, e persino servile, è rivelatore, a mio avviso, di un presupposto decisivo, per comprendere i suoi interessi storiografici.  Mi riferisco alla sua intima, sebbene mai esplicitata, convinzione che cominciasse allora a delinearsi qualcosa i cui effetti egli reputava lungi dall’essersi esauriti, e cioè che si delineasse in quel tempo una nuova idea di Europa: non più l’Europa imperiale e carolingia, erede pur sempre dell’Impero romano, bensì un’Europa che scopriva la propria peculiare dimensione nell’arricchimento collettivo. Un’Europa impegnata, in qualità di soggetto economico, a sostenere l’idea di un progresso economico guidato e sorretto dal meccanismo della concorrenza e dall’idea, propria dei liberisti neo-smithiani, secondo cui l’arricchimento di un paese è dato dalle opportunità offerte al singolo individuo e ove il bene comune passa necessariamente dal bene dei singoli.



[1] M. Balard, Etat de la recherche sur la latinocratie en Méditerranée orientale, in Ricchi e poveri nella società dell’Oriente grecolatino (I Simposio Internazionale), a cura di Ch. Maltezou, Biblioteca dell'Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, Venezia 1998, pp. 17-36.

[2] S. Borsari, Il commercio italiano con i paesi mediterranei e con l’Asia nel Medioevo, in  Optima Hereditas, a cura cura di G. Pugliese Carratelli, Milano 1992, pp. 435-482.

[3] Id., Pisani a Bisanzio nel XII secolo, in Studi di Storia pisana e toscana in onore di Cinzio Violante, Pisa 1991, pp. 59-75.

[4] Id., Venezia e Bisanzio nell’XI secolo. I rapporti economici, Venezia 1988.

[5] Id., Il dominio veneziano a Creta nel XIII secolo, Napoli 1963.

[6] F. Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen Âge. Le développement et l’exploitation du domaine colonial vénitien (XIIe-Xve siècle), paris 1959 (BEFAR, 193).

[7] S. Borsari, Studi sulle colonie veneziane in Romània nel secolo XII, Napoli 1966.

[8] Id., Ricchi e poveri nelle comunità ebraiche di Candia e Negroponte (secc. XIII-XIV), in Ricchi e poveri nella società dell’Oriente grecolatino cit., pp. 211-222.

[9] Id., Il mercato dei tessuti a Candia (1373-1375), in «Archivio Veneto», 142 (1994), pp. 5-30.

[10] Id., I movimenti del porto di Candia (1369-1372), in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia», 30-31 (1997-1998),  pp. 323-346.

[11] Id., I Veneziani delle colonie, in Storia di Venezia, III, La formazione dello Stato patrizio, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da G. Treccani, 1977, pp. 127-158.

[12] Id., L’organizzazione dei possessi veneziani nell’Impero bizantino nel XII secolo, in Studi albanologici balcanici, bizantini e orientali in onore di G. Valentini, S.J., Firenze 1986, pp. 191-204.

[13] Id., Il commercio veneziano nell’Impero bizantino, in «Rivista Storica Italiana», 76 (1964), pp. 982-1011; Id., Il crisobullo di Alessio I per Venezia, in «Atti dell’Istituto italiano per gli Studi storici», II, (1969-70), pp. 111-131; Id., Una famiglia veneziana del medioevo: gli Ziani, in «<Archivio Veneto», 110 (1978), pp. 27-72.

[14] W. Sombart, Il capitalismo moderno. Esposizione storico-sistematica della vita economica di tutta l’Europa dai suoi inizi fino all’età contemporanea, trad. it. Firenze 1925.

[15] Ibidem, p. 116.

[16] R. Heynen, Zur Entstehung des Kapitalismus in Venedig, Stuttgart u. Berlin 1905,  passim.


 

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Ultima modifica: 15/7/06

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