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Profili e materiali Illuminato Peri (1925
– 1996) di
Maria Antonietta Russo © 2004 -
Maria Antonietta Russo per “Reti Medievali"
Nato
a Collesano (Palermo) il 17 settembre 1925, Illuminato Peri cominciò,
giovanissimo, a collaborare con la facoltà di Magistero di Palermo,
come assistente volontario alla cattedra di Letteratura Italiana dal
1946 al 1949. Nel
1949 si trasferì a Genova come funzionario presso l’Archivio di
Stato; conseguendo la libera docenza, nel 1955, tornò a Palermo dove
assunse l’insegnamento di Storia Medievale presso la Facoltà di
Magistero. Divenuto professore incaricato esterno dell’insegnamento
di Storia, dal 1967 fu professore ordinario di Storia e dal 1968 al
1979 fu preside della Facoltà di Magistero. Chiamato a scegliere la
disciplina d’insegnamento nell’ambito storico, optò, dapprima,
per la Storia Moderna, poi per la Storia Medievale il cui
insegnamento, insieme alla carica di direttore dell’Istituto di
Storia, tenne fino alla fine. Per
diversi anni fu anche incaricato dell’insegnamento
dell’Archivistica, disciplina a lui familiare che aveva avuto modo
di praticare, oltre che nella veste di funzionario dell’Archivio di
Stato di Genova, nel continuo lavoro di ricerca e studio dei documenti
d’archivio; nel 1958 si occupò anche del riordinamento del fondo
della curia di Collesano che venne versato l’anno seguente
nell’Archivio di Stato. Frutto
degli anni genovesi i primi lavori dedicati alla genesi, formazione e
ordinamento del comune di Genova (1950-51), tesi ad un “tentativo di
impostazione nuova del problema della genesi” del comune (Peri
1950-51a, p. 57) il cui nucleo fondante era nelle otto compagnie che,
“fatto veramente rivoluzionario e denso di conseguenze nella storia
dei tempi moderni” (Peri 1950-51a, p. 62), daranno vita alla
Compagna, “un’associazione che non ha carattere familiare o
corporativo, ma che seppure animata da spirito di tutela dei nuovi
interessi mercantili e marinari, ha contenuto prettamente politico”;
essa “raggruppava gli
uomini secondo criteri non gentilizi o corporativi … ma dell’utilitas,
dell’idoneitas” (Peri 1950-51a,
pp. 62 s.); dietro l’azione propulsiva della Compagna nel XII secolo
“la città unificata all’insegna del Comune … comincia a
presentare la fisionomia di un centro attivo di traffici” (Peri
1950-51b, p. 191). Sempre
negli anni ’50 apparivano i primi saggi sui Longobardi (Rotari,
capitolo 194, 1951; Da
Totila ad Autari, 1951-52; Le
associazioni nell’Italia Longobarda, 1951-52; Note per una introduzione allo studio
della società dell’Italia longobarda, 1952; Fatti giuridici e fatti sociali nella «Storia
dei Langobardi»
di Paolo Diacono, 1953) in cui l’autore metteva in luce
le profonde trasformazioni avvenute in Italia nel VI secolo: si
delineavano «due Italie» caratterizzate da differenti condizioni
economiche e sociali e nascevano i nuovi protagonisti della società
occidentale che andavano a soppiantare le distrutte classi della
civiltà romana, “una aristocrazia militare pressocché
esclusivamente forestiera”. Così, mentre al Nord si assisteva allo
scontro fra “una barbarie indigena e una cultura barbarica ancora in
gran parte informe, grezza”, nel Sud l’“atrofia delle élites”
preparava “sordamente il campo alla stessa sovrapposizione della
cultura araba” (Peri 1952a, p. 447). Con
l’ausilio delle fonti narrative, diplomatiche e legislative, lo
studioso tracciava, inoltre, le linee di una società articolata in
gruppi-associazioni caratterizzate dall’ “apoliticità” e dalla
“necessarietà” e la cui posizione giuridica era “quella degli
organismi, che, creatisi e sviluppatisi «necessariamente», sono poi
da parte del Potere e del legislatore riconosciuti nella loro
funzione” (Peri 1951-52b, p. 109). La ricostruzione delle vicende
della gens
Langobardorum e della struttura della loro società veniva
delineata sulla scorta dell’opera di Paolo Diacono quel “figlio
dotto” che ne raccolse “le memorie, quasi come reliquie” (Peri
1953, p. 274). L’interesse
di Peri verso l’argomento continuava a manifestarsi a distanza di un
decennio in Il
problema longobardo nella società occidentale (1962).
L’autore si inseriva nel
dibattito, originato da Machiavelli, vivo negli anni del Risorgimento
e ripreso nel secolo successivo, sulla questione longobarda e sulla
posizione del papato, limite o forza propulsiva per la creazione di
uno stato unitario, ponendosi nell’ottica dei contemporanei che
assistettero e subirono l’occupazione longobarda, rivisitando “gli
stati d’animo dinanzi all’invasione e all’insediamento
longobardo in Italia” (Peri 1962a, p. 7) per comprendere “quali
conseguenze di indole culturale, politica, sociale ne avvertirono”
(Peri 1962a, p. 6); consapevole di affidare la ricostruzione, tra le
altre fonti, prevalentemente, all’ausilio di quella “cultura
letteraria dell’Occidente cristiano … patrimonio, fino e ancor
oltre tutto il secolo VIII, del clero… Così la voce di Roma,
esposta in forma autorevole e suggestiva dalle lettere dei papi,
incise nella misura più larga sulla ricostruzione degli eventi e
sulle valutazioni da parte dei contemporanei e delle generazioni
immediatamente seguite; formò opinione in un ambito che non fu
semplicemente italiano” (Peri 1962a, p. 18). In
questo periodo, a completamento delle edizioni dei
Capibrevi di G. L. Barberi, frutto della ricognizione
cinquecentesca sui feudi siciliani, si inseriva anche la cura
dell’edizione dei Beneficia
ecclesiastica (1962- 63) dello stesso autore, fonte
preziosa per la documentazione dell’organizzazione feudale ed
ecclesiastica in Sicilia agli inizi del XVI secolo. La
vasta produzione storiografica dello studioso, pur mostrando interessi
variegati come testimoniano le prime opere, è incentrata
prevalentemente sulla Sicilia. Il
contributo di Peri allo studio del medioevo siciliano risulta
significativo; esso si manifestava con “la resistenza… dapprima
nei confronti dell’idealismo crociano ancora imperante negli anni
Cinquanta, e poi nei confronti della «scuola» francese delle «Annales»,
il cui vento spirava forte sulla penisola” nel periodo
(D’Alessandro 1991, p. 83 s.); Peri, da
un lato, mostrava “diffidenza verso le cronache, più spesso
predeterminate, di contro all’avvenimento, analizzato in funzione di
una ricostruzione di ambiente, fuori da ogni proiezione di significati”
e, dall’altro, diveniva “promotore della ricerca
interdisciplinare”. Pur polemizzando con le Annales, l’autore
restava legato a interessi socio-economici che lo facevano ispirare
alle tendenze della “scuola economico-giuridica”, che aveva avuto
“qualche riscontro anche in Sicilia, sulla linea della tradizione
fondata da Rosario Gregorio” (D’Alessandro 1997). Espressione
di questi interessi di Peri sono i saggi Rinaldo
di Giovanni Lombardo habitator terrae Policii (1956), Censuazioni
in Sicilia (1957), Per
la storia della vita cittadina e del commercio nel Medio Evo: Girgenti
porto del sale e del grano (1962) e Città
e campagna in Sicilia (1952-53). L’esigenza
di ricostruire la storia attraverso le sue varie componenti si
evidenzia nel saggio
Per la storia della vita cittadina e del commercio nel Medio Evo:
Girgenti porto del sale e del grano (1962) che, attraverso
l’esame della vita economica, politica e dei risultati della
ricognizione archeologica, dà un quadro dell’insediamento urbano e
della vita economica di Agrigento medievale. In
Rinaldo
di Giovanni Lombardo habitator terrae Policii (1956)
l’autore già mostrava la sua formazione di archivista dedito allo
studio delle pergamene: partendo dall’esame di fonti omogenee, le
pergamene della casa suffraganea di Polizzi confluite nel tabulario
della Magione della SS. Trinità dei teutonici di Palermo, delineava
la figura di un clericus
mercator di Polizzi che aveva arricchito il suo patrimonio
grazie al sistema delle vendite a credito e a rate, “che confina
strettamente con l’usura, ma che egli riesce, abilmente e
fortunosamente, a non confondere con essa” (Peri 1993a, p. 193) e al
commercio di panni, manufatti e schiavi scambiati, spesso, con
“quanto offriva la fertile e agricola Polizzi” (Peri 1993a, p.
148). Rinaldo diveniva, attraverso varie esemplificazioni di
compravendite e permute, l’emblema dell’uomo del suo tempo
fortemente immerso nei traffici terreni, ma motivato da “quella
tendenza religiosa, forse sentimento, forse scrupolo, forse timore o
preoccupazione” (Peri 1993a, p. 160) che lo spingeva ad iniziare il cursus
religioso, divenendo chierico. Ma
il “cardine del lavoro storiografico di Peri” rimane quello stesso
cardine “dello svolgimento della storia isolana” e cioè “la
simbiosi fra città e campagna” (D’Alessandro 1991, p. 86): su
questo tema l’autore sarebbe tornato più volte nell’arco della
sua vita a partire da una delle sue prime opere significativamente
intitolata Città
e campagna in Sicilia (1952-53), in cui la “geografia”
dell’isola durante il regno normanno veniva rivisitata, con
l’ausilio delle fonti letterarie e diplomatiche, dal punto di vista
fisico, economico, etnografico e politico amministrativo. Veniva a
focalizzarsi l’interesse per l’epoca normanna come punto di svolta
della storia dell’isola e d’apertura all’occidente delle rotte
del Mediterraneo. A
distanza di venticinque anni, in Uomini, città e campagne in Sicilia
dall’XI al XIII secolo (1978), l’oggetto di studio
viene approfondito non solo in termini cronologici ma soprattutto
metodologici; con quest’opera l’autore apre nuovi orizzonti agli
studi isolani contribuendo “alla revisione della storia medievale
siciliana dal punto di vista della nuova storia
strutturale” (Rubin Blanshei 1980, p. 380), pur
inserendola in una “cornice di stretta cronologia politica”
(Martin 1982, p. 303). Il
paesaggio continua ad essere il tema dominante nella lettura della
storia della Sicilia che, partendo dai normanni, attraverso “il
sistema della frusta” degli Svevi e “la mala signoria” degli
angioini (Peri 1978, pp. 115 e 233), verifica i “mutamenti in una
regione dai molteplici caratteri naturali, eterogenea sotto il profilo
politico, etnico, culturale, composita sotto il profilo sociale,
nutrita di minoranze endogene (musulmani, greci, ebrei) e di immigrati
peninsulari («Lombardi» prima, «Toscani» poi) che si stabilivano e
radicavano in una terra sempre aperta” (D’Alessandro 1991, p. 87).
Particolare
rilievo viene assegnato alle forme dell’abitato, cui vengono
dedicati quattro capitoli, e alla società normanna; l’esame si
sofferma sulla situazione delle campagne, riprendendo un tema caro
all’autore, quello del villanaggio. L’inizio del declino
dell’isola, secondo Peri, sarebbe avvenuto con gli svevi che
avrebbero posto fine a quella prosperità realizzata dai normanni
grazie al raggiunto equilibrio politico, economico e culturale; tale
declino sarebbe poi continuato nel quindicennio angioino. L’ampliamento
dell’orizzonte verso una storia generale si esprimeva, dopo pochi
anni, con La
Sicilia dopo il Vespro: uomini, città e campagne, 1282- 1376 (1982)
in cui l’opera di ricostruzione globale della vicenda medievale
siciliana giungeva a compimento attraverso lo spoglio capillare dei
registri notarili; l’utilizzo quasi esclusivo di tali fonti e la
citata “diffidenza verso le cronache”, tuttavia, costituisce,
talvolta, un limite nella lettura del quadro d’insieme. Nel
terzo volume,
Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377- 1501
(1988), pur mantenendo un impianto storico-politico generale,
l’autore continua a rivelare i suoi interessi per il paesaggio, gli
abitati, la società, l’aristocrazia, il commercio. L’attenzione
si focalizza sul “riassetto dell’economia lacerata” (Peri 1988,
p. 37) alla fine del XIV secolo che si manifestava, oltre che
nell’agricoltura, nell’allevamento e nel commercio, nelle varie
correnti di immigrazione che costituirono “il volano delle crescite
demografiche dell’Isola” (Peri 1988, p. 71); altro segno Peri
identifica nella corsa all’acquisizione di titoli dottorali nei
principali «Studia» della penisola, ai quali nel 1445 si affiancava
quello di Catania, in quella “cultura del decoro” (Peri 1988, p.
156) che cercava nella costruzione di palazzi la manifestazione
esteriore di un raggiunto status
sociale. Leitmotiv,
che accompagna gli studi di Peri durante la vita e che
troverà nella sua ultima raccolta “una risposta omogenea a
un’intenzione comune: l’approfondimento della conoscenza della
società siciliana in aspetti essenziali ma trascurati e quasi
ignorati” (Peri 1993a, p. VII), è lo studio del “villanaggio”
nella Sicilia medievale. Fin
dalla sua prima apparizione nel 1965 Il villanaggio in Sicilia, riedito
in Villani
e cavalieri nella Sicilia medievale (1993), mostrava gli interessi dello
studioso che, accostandosi alla storia istituzionale per la
ricostruzione della vita urbana e rurale, della società e
dell’economia, si inseriva in una tematica, quella del servaggio,
aperta nella storiografia siciliana dalle Considerazioni
sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti
di R. Gregorio e lasciava una monografia fondamentale; la sua
descrizione della condizione del villano “anticipa le correnti
revisioni della storia economica e sociale dell’isola” (Epstein
1996, p. 420) e fa di Peri un “pioniere nella storia economica e
sociale del medioevo siciliano” (Abulafia 1995, p. 145). Il
villanaggio in Sicilia, mettendo a frutto le lunghe
ricerche archivistiche, delineava un quadro, soprattutto dei feudi
ecclesiastici, in cui la condizione del villano, dei suoi vincoli con
il territorio, delle salutes
rituali veniva esaminata fino al culmine della sua espansione ed alla
regressione coincidente con la fine della dinastia normanna quando i
musulmani subirono perdite considerevoli
durante la rivolta contro Maione di Bari e le vicende legate
alla reggenza di Margherita di Navarra. Con l’alterazione della
consistenza del villanaggio, al cui status
appartenevano i musulmani in Sicilia, si avviava la
trasformazione degli “oneri villanali, dei quali, però, si era
perduta, oltre la fisionomia, la memoria”, in contratti censuari
(Peri 1965, p. 105). Alla
riedizione del 1993 veniva affiancato un saggio sostanzialmente
inedito, Cavalieri
di Sicilia, in cui l’autore, condividendo l’interesse
per un tema ampiamente indagato per l’Italia centro-settrentrionale
e per l’Europa ma solo superficialmente studiato in ambito
siciliano, tracciava il percorso della militia, dalla sua
istituzionalizzazione in Sicilia con la conquista normanna, al suo
ampliamento nel periodo del Vespro, fino alla sua diversificazione e
alla moltiplicazione dei titoli comitali, per arrivare al XV secolo,
quando il titolo di cavaliere perde il riconoscimento specifico della
monarchia. Particolare
attenzione, durante gli anni centrali della vita, lo storico dedicava
alla stesura di opere finalizzate a “costituire stimolo alla ricerca
e alla meditazione” per i giovani studiosi (Peri 1970a, p. 5); così
accanto a pubblicazioni, anche di carattere divulgativo, su
determinati periodi come quello musulmano o normanno, di
approfondimenti tematici, frutto dell’insegnamento di Storia
Moderna, e di manuali di storia generale, si pongono le sintesi
storiografiche. L’autore
offre gli strumenti a “chi voglia operare da ricercatore” (Peri
1970a, p. 41) “avviando” agli studi storici con la definizione per
grandi linee della storia della storiografia (Storia
e storiografia (Avviamento
agli studi storici),
1970) delimitando, contemporaneamente, il campo dal punto di vista
cronologico e spaziale (Spagna,
Sicilia, Viceregno, 1968; Dal
viceregno alla mafia, 1970) con l’approfondimento
dell’epoca viceregia nell’ambito della storiografia siciliana nel
periodo che va dalla seconda metà del ‘700, con la Storia cronologica di G. E.
Di Blasi e con l’interpretazione illuministica di R. Gregorio, alla
metà del ‘900 quando, con l’opera di F. De Stefano e di V.
Titone, si vedeva nei secoli del viceregno spagnolo “il centro della
vicenda siciliana” (Peri 1968, p. 123). Nell’ambito
dell’attrattiva esercitata dalla storiografia siciliana si inserisce
anche la biografia di M. Amari (Michele Amari, 1976) in cui,
per la prima volta, veniva ricostruita compiutamente la personalità
dello storico palermitano, la formazione ideologica sullo sfondo della
situazione politica dell’800 italiano e l’interesse verso due
momenti cruciali della storia dell’isola nella
Storia dei musulmani di Sicilia, testimonianza “di una
personalità per natura vocata al lavoro storico, affinata dalla
pazienza, dalla laboriosità, dalla meditazione” (Peri 1976, p.
182), e nella fortunatissima Guerra del Vespro siciliano. Il
desiderio di illustrare Il
tramonto del mito della nazione siciliana nella
storiografia isolana aveva già portato l’autore al saggio,
pubblicato nel 1952, Sicilia
e Italia nella Storiografia del decennio 1848-1858, in cui
veniva indagata l’evoluzione, dopo la rivoluzione del ’48, della
cultura isolana che, abbandonati i temi del “mito” e della
“polemica” con Napoli, guardava a diversi orizzonti, maturava un
nuovo atteggiamento nei confronti del problema dei rapporti tra
Sicilia e Italia. Negli ultimi anni di vita
Peri decideva di riprendere un argomento a lui caro cui lo legavano i
ricordi della giovinezza, volendo “riallacciare quello che riteneva
sarebbe stato il suo ultimo lavoro al primo e disegnare con tutta la
sua opera un ideale cerchio che aveva origine e si concludeva proprio
a Genova. Era infatti suo progetto scrivere una storia di Genova nel
Medioevo” (Sciascia Catalano 1998, p. 1). Cominciava, così, a
pubblicare dei saggi (Genova
e l’impero, 1993) con l’intento di raccoglierli
successivamente in un volume e teneva, intervenendo ad un convegno,
quella che sarebbe stata la sua ultima relazione dal titolo «Omnibus
nostris fidelibus et habitatoribus in civitate Januensi»: i
destinatari dei «Privilegi» del luglio 958 dei re Berengario e
Adalberto e del maggio 1056 del marchese Alberto in
occasione del
2° Congresso dell’Internationales Mittellateinerkomitee su Gli
umanesimi medievali (Firenze 1993): la morte lo colse a
distanza di tre anni, il 18 settembre del 1996, mentre lavorava al
capitolo Marinai
e uomini di terra, impedendogli di condurre a termine il
suo progetto.
Opere
di Illuminato Peri citate nel testo (Per
una bibliografia completa cfr. M. A. Russo,
Bibliografia degli scritti di Illuminato
Peri,
in RM Memoria)
Studi
su Illuminato Peri citati nel testo
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