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Pietro Torelli (1880-1948)

di Isabella Lazzarini

© 2008– Isabella Lazzarini per"Reti Medievali"


 

Pietro Torelli, nato a Mantova il 18 agosto 1880, si laureò nel 1902 in Giurisprudenza con Augusto Gaudenzi,  a Bologna, con una tesi sulla perdita del primato italiano nelle scienze giuridiche all’aprirsi del Cinquecento: il Gaudenzi (che tra Ottocento e Novecento insegnò anche Paleografia) era in quegli anni, secondo le parole di De Vergottini, una delle «figure più rappresentative» della crescita disciplinare – accanto alla storia del diritto romano e alla storia del diritto germanico – della storia del diritto italiano a Bologna. Assunto nel 1903 come alunno all’Archivio di Stato di Mantova diretto da Alessandro Luzio, e promosso nel 1905 a sotto-archivista, si laureava contemporaneamente in Lettere e filosofia con Pio Carlo Falletti, già allievo a Firenze di Pasquale Villari, sulla cronaca milanese Flos florum.

In questi pochi anni e in questi primi incontri scientifici si pongono le basi delle tre grandi aree di interesse di ricerca del Torelli: la storia del diritto italiano, la storia politica e sociale del Medioevo, la diplomatica e la paleografia. Il confluire di tali diverse competenze, interpretate con peculiare tonalità in una produzione scientifica e didattica di grande qualità e non minore abbondanza, ma di scarsa assertività teorica e di impianto polidirezionale, fece sì che di Torelli si potesse ancora dire, a oltre trent’anni dalla sua scomparsa, che era stato un «“enigmatico maestro” (…) che è stato ed è, alternativamente, maestro rifiutato e maestro ritrovato» (come scrisse Caprioli, ripreso da Capitani). Le sue ricerche, varie nei temi e salde nella costruzione scientifica, hanno però rappresentato più un’assenza che una presenza di rilievo nella storiografia medievistica italiana ed europea: a chi si appresti, come Ovidio Capitani faceva nel 1980, a seguirne la traccia nel dibattito contemporaneo e nella storiografia successiva, non resta che considerare e tentare di spiegare le ragioni di tale duratura intermittenza.

 

Tenendo conto del fatto che scindere fra loro la critica delle fonti, la storia del diritto privato dell’età intermedia, la storia della società comunale nell’opera dello studioso mantovano è utile soltanto a una loro più nitida e sintetica presentazione, va considerato che Torelli fu innanzitutto un archivista: preso servizio a Mantova nel 1903, in un archivio che aveva inglobato nel 1899 i fondi dell’Archivio Gonzaga e annoverava, in seguito a questa acquisizione, fra i propri archivisti Stefano Davari, da trent’anni intento a inventariare le carte gonzaghesche, il Torelli mise mano progressivamente al riordino e alla regestazione delle pergamene pregonzaghesche del Gonzaga, delle carte del Monferrato, delle pergamene dell’Ospedale. Divenuto membro nel 1910 della Regia Accademia Virgiliana di Mantova (di cui sarebbe divenuto viceprefetto nel 1919 e prefetto, poi presidente, dal 1929 alla morte), fu per gli Atti dell’Accademia che iniziò a pubblicare su temi di diplomatica comunale (La data nei documenti medievali mantovani): sono ricerche che avrebbero dato vita fra il 1911 e il 1914 agli Studi e ricerche di diplomatica comunale, il cui carattere innovativo viene riconosciuto ampiamente da quanti con più originalità si sono occupati, anche in tempi recenti, di notariato precomunale e comunale, come Fissore. Il rapporto di lavoro con l’Archivio di Stato di Mantova fu una costante di buona parte della vita professionale di Torelli: nel 1913 divenne primo archivista, nel 1920 direttore, nonostante nel frattempo avesse ottenuto la libera docenza in Paleografia e diplomatica all’Università di Bologna (insegnando anche alla Scuola annessa all’Archivio di Stato di Bologna), e nel 1927 divenisse professore straordinario di Storia del diritto italiano all’Università di Modena. Soltanto a partire dal 1930, allorché divenne ordinario a Modena, Torelli si dedicò interamente alla vita accademica, non troncando però mai del tutto i suoi rapporti con l’archivio mantovano: nel frattempo erano usciti  L’Archivio Gonzaga di Mantova  (1920), Le carte degli Archivi reggiani fino al 1050 (1921) (integrate dalle successive aggiunte del 1938-1939), L’archivio capitolare della cattedrale di Mantova fino alla caduta dei Bonacolsi (1924) e L’Archivio dell’Ospedale di Mantova (1925).

 

Con la fine degli anni Venti e la cattedra di storia del diritto italiano Torelli iniziò a concentrarsi sempre più sistematicamente e con imprese di grande respiro su temi di storia giuridica: in particolare le ricerche intorno alla Glossa di Accursio e alle glosse preaccursiane d’un lato (Per l’edizione critica della glossa accursiana alle Istituzioni, 1934; Accursii Florentini Glossa ad Institutiones Iustiniani imperatoris, 1934; e le note sulle glosse preaccursiane di Irnerio, Bulgaro, Iacobo e Ugo tra il 1938 e il 1945), e gli studi sulle forme contrattuali del medioevo centrale dall’altro (da cui l’opera storico-giuridica più nota agli storici, Un comune cittadino in territorio ad economia agricola, I, Distribuzione della proprietà, siluppo agricolo, contratti agrari, 1930). Passato a Firenze nel 1933, e poi a Bologna nel 1936, continuò a lavorare e a pubblicare soprattutto le proprie ricerche sulle glosse preaccursiane e accursiane, anche se indirizzò molti dei suoi allievi a tesi sulle forme giuridiche dei contratti agricoli nelle campagne lombarde ed emiliano-romagnole: con il dopoguerra raccolse parte dei materiali dei suoi corsi in una serie di testi di storia del diritto privato.

 

Al Torelli giurista venne sovente attribuito un carattere d’erudito, troppo legato alla fine indagine sulle fonti: così il Calasso, all’indomani della morte, rinveniva il tratto distintivo della sua attività nel «suo segreto e istintivo amore per la pergamena ingiallita»; così il De Vergottini poco dopo riconosceva che «questo puro filologo ebbe (…) una solidissima preparazione giuridica». In realtà, al di là della finezza dell’analisi, Torelli fu, come sottolineò Santarelli, essenzialmente uno «storico dell’esperienza giuridica medievale», e in questo senso in particolare le sue ricerche di storia del diritto privato erano intimamente legate agli studi di storia medievale: come ebbe a sottolineare Violante ricordando Torelli, Vaccari, Bognetti, lo stesso De Vergottini, «la generazione degli studiosi che cominciarono a produrre scientificamente fra il Venti e il Trenta accentuò la tendenza alle ricerche di base (…). Tutto ciò avvicinava sempre più gli storici del diritto agli storici medievisti senza altri aggettivi. Fu così che proprio dagli storici del diritto vennero allora impostate alcune delle più intelligenti ricerche di storia medievale, rinnovando l’impostazione problematica dei nostri studi e stabilendo nuovi contatti con la più viva storiografia europea.» Nel 1928, tenendo il discorso inaugurale degli studi all’Università di Modena su Metodi e tendenze attuali del nostro diritto, Torelli disse apertamente, con lo stile insieme arcaico e asciutto che lo contraddistingueva: «Ed allora, proprio quella delle storie locali, studiate profondamente, avendo innanzi il grande problema di tutta la vita sociale e giuridica, è, specialmente per la storia del diritto pubblico, ma non per quella soltanto, la nostra via di salvezza; anzitutto perché muove dalla necessità di studiare documenti nuovi il più possibile numerosi e continui, ma anche perché l’indirizzo verso una più profonda indagine di storia giuridica e sociale, è ora, per tutti, il più vivo e sentito» (Scritti, p. 18). Non si trattava di una rivoluzione metodologica per quegli anni, dopo le formulazioni di un Salvioli o di un Solmi: ma il Torelli sorresse questa esigenza con una ricognizione dell’inedito decisamente monumentale. Sempre nel 1928 egli precisava infatti: «Ma occorrerebbe anche prima piantare ben saldo nella mente dei nostri giovani, che il documentario singolo ci offrirà il caso speciale e curioso, ma per la storia giuridica dirà troppo poco o non dirà nulla: è necessario dar fuori interi fondi documentari, perché una precaria, un livello, un’enfiteusi, un affitto comune, nulla di più rappresentano che un caso singolo di ripetizione, più o meno aderente, di schemi contrattuali ben noti; ma cento precarie e cento livelli ed enfiteusi e affitti in un territorio determinato, in un periodo di tempo determinato, ne rappresentano la vita giuridica vera, cioè il senso della necessità di queste forme contrattuali, la tendenza reale all’una o all’altra come bisogno pratico del momento e del luogo.» (Scritti, p. 15). E nel farlo deliberatamente valicava i confini delle specialità: «Scrivo così senza troppa paura di riuscire minutissimo ove occorra per essere esatto, e senza eccessivo rispetto dei termini sacri tra storia politica, giuridica, agricola», al tempo stesso orientando la minuta ricerca sul campo a rispondere a questioni generali: «e se qualcuno vorrà dirmi che almeno per ora non si vede – ed assicuro che non si vedrà troppo nemmeno poi – qualche bell’episodio di vendetta contro le vicine città, o d’amore e d’odio fra cittadini di parti avverse, io potrò in ogni modo rispondere ricordando ancora una volta – purtroppo senza umiltà – che studio e scrivo per la conoscenza di qualche elemento vitale della storia d’Italia». (Un comune, I, pp. VI, VII).

 

La medievistica italiana viveva in quegli anni un momento peculiare, di complesso ripensamento tematico e metodologico: Maturi, com’è noto, scriveva infatti nel 1930 che «l’Italia si trova ad una svolta decisiva del suo cammino, ha bisogno di rifarsi alle sue origini prossime e non può pensare, almeno per il momento, agli interessanti cartari dei monasteri medievali». Di fatto, il presunto e in questo caso auspicato allontanamento degli studiosi dai temi di storia medievale veniva traducendosi piuttosto in uno spostamento di interesse dalla storia sociale del comune rurale e cittadino all’analisi delle dinamiche politiche interne al comune urbano, in una chiave di lettura prettamente personale e clientelare del confronto politico per l’egemonia nella città (alla Ottokar, per intenderci: Ottokar che pubblicava Il Comune di Firenze alla fine del Dugento nel 1926), e della degenerazione delle istituzioni comunali nei regimi signorili, tema vivo già nell’analisi cruciale di Anzilotti (La crisi costituzionale della repubblica fiorentina, 1912), negli studi di Ercole (in particolare quelli raccolti in Dal comune al principato. Saggi sulla storia del diritto pubblico  del Rinascimento italiano, pubblicati a Firenze nel 1929: ma il saggio su Scaligeri, Caminesi e Carraresi era del 1910), di Simeoni (Ricerche sulle origini della signoria estense a Modena, 1919) e di Picotti (I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312, 1905, ma soprattutto Qualche osservazione sui caratteri delle Signorie italiane, 1926). Gli anni successivi avrebbero visto un allontanamento ancora più marcato di molti studiosi dai temi di storia costituzionale e politica del medioevo urbano. D’altro canto, sul fronte della storia agraria e rurale, a partire dal Leicht (sin dagli Studi sulla proprietà fondiaria nel Medioevo, del 1903) l’attenzione degli studiosi italiani si era appuntata sostanzialmente sul sistema curtense e sulle forme della grande azienda fondiaria carolingia, nella sua derivazione dalla grande azienda tardoantica: attenzione cui non sfuggirono nemmeno studiosi come Caggese o lo stesso Volpe.

Il Torelli si inserì in questo complesso dibattito portandovi la cifra della propria formazione giuridica, della propria propensione all’analisi documentaria, della propria sensibilità alla concreta stratificazione dei fenomeni sociali: le sue più significative ricerche in materia, dal saggio Capitanato del popolo e vicariato imperiale, del 1923, alla imponente e incompiuta monografia Un Comune cittadino in territorio ad economia agricola, del 1930, convergono sui temi più rilevanti di quegli anni in modo peculiare, staccandosi tanto dal filone comunalistico che da Salvemini giungeva a Ottokar, quanto dal filone di storia agraria e del comune rurale.

In particolare il saggio del 1923 si confronta con qualche originalità con il tema del rapporto fra la città e il signore divenuto ‘tiranno’: si tratta, è superfluo sottolinearlo, di temi in quegli anni di scottante rilievo politico (si pensi al risoluto giudizio di illegittimità di qualunque sistema signorile espresso dal Picotti nel 1926). Vallerani sottolinea come in questo saggio «la profonda e per certi versi innovativa analisi diplomatica degli atti della cancelleria comunale mantovana» - la cifra personale delle ricerche torelliane, questa attenzione finissima, di natura diplomatistica e di solida base giuridica, al fatto documentario - «si unisce a una sensibilità non comune per i cambiamenti sostanziali delle forme istituzionali», giungendo, nella critica al formalismo giuridico di un Ercole, sino al punto di considerare i fenomeni politici come frutto di una trasformazione spirituale, interiore dei ceti comunali, con accenti di indubbia, per quanto non teoricamente costruita, originalità: «La formazione del concetto del governo insindacabile di uno solo è un fatto psicologico collettivo» (Torelli, Capitanato, p. 74).

 

Con il primo volume di Un Comune cittadino, Torelli diede alle stampe quello che sarebbe stato definito da più voci un lavoro «singolarissimo», dalla forte carica innovativa nel panorama degli studi a esso contemporanei: uno studio storico e al tempo stesso finemente giuridico di un territorio e del comune che ne era al centro, al di fuori della classica dialettica città-campagna, in una realtà politica e sociale, quella mantovana, per lo più estranea a buona parte delle complesse dinamiche urbano-mercantili dei comuni coevi; come scrisse lo stesso Torelli con un tocco di compiaciuto understatement, «la storia del territorio e della città di Mantova» (Torelli, Un Comune, I, p. VI). Si tratta di uno studio incentrato sulla distribuzione della proprietà e sullo sviluppo agricolo di un territorio rurale tra XI e primo XIII secolo: l’analisi dello sviluppo giuridico delle forme contrattuali, lo studio della distribuzione della proprietà rurale, l’indagine sulla fisionomia dei ceti proprietari nelle campagne (non dimentichiamo che il I volume si voleva preludio a un secondo, che sarebbe uscito postumo e incompleto nel 1950 a cura di Vittore Colorni, con il sottotitolo Uomini e classi al potere: in realtà, come notò Bognetti, «era stato proprio il primo volume ad impedire al secondo di nascere») trasformano la storia del comune cittadino in una variegata e attentissima storia della proprietà fondiaria, pur senza ridursi ad una storia della grande proprietà, curtense o meno (come avrebbe rilevato, con intento critico, Marc Bloch). Il lavoro di Torelli, senza essere sola storia agraria, o storia politica, o storia sociale, appare infatti  «oggettivamente (…) come una sistemazione di dati ad impianto polidirezionale di un’unica ricchezza»: proprio per questo, per questa tensione a fare storia senza aggettivi, Torelli rifuggì dal dare una precisa etichetta alla sua ricerca, e rimase – pur fornendo molti punti di riferimento generali, dall’importanza del fattore economico alla concretezza puntigliosa e tutt’altro che impressionistica dell’analisi storico-giuridica – sempre in qualche modo – e prendo di nuovo in prestito parole di Capitani – alla «ricerca di paradigmi». Questa indeterminatezza di coordinate teoriche è stata alla base della difficile ricezione dell’opera torelliana nella medievistica contemporanea e successiva di ambito comunalistico, almeno sino a che queste ricerche, a lungo legate a dibattiti di stampo salveminiano, non si aprirono, a partire dagli anni Settanta, a indagini più consapevoli delle necessarie commistioni con la storia agraria. L’esemplare lettura torelliana della società rurale è stata al contrario nettamente riconosciuta: basti pensare al costante riferimento di Cammarosano a Torelli e a Conti nel suo Le campagne dell’età comunale, del 1974, o al riconoscimento di Fumagalli del ruolo chiave di Un Comune cittadino, «opera monumentale», nella rinascita dello «studio delle campagne medievali, sotto il profilo dell’organizzazione materiale del suolo». A proposito della ricezione del Torelli nella medievalistica degli anni Sessanta-Settanta va ricordato peraltro a contrario come Giovanni Tabacco, riconsiderando per i suoi I Liberi del Re la documentazione mantovana dei secoli XI e XII, sottopose l’intepretazione torelliana degli arimanni mantovani a una attenta lettura: se gli equilibrismi torelliani fra testi autentici e interpolazioni presunte risultarono allora insostenibili alla luce della stringente analisi storica di Tabacco, quest’ultimo ricostruì le basi psicologico-culturali della posizione del mantovano. Tabacco ricondusse infatti il rifiuto torelliano di riconoscere il gruppo arimannico come la totalità dei cives mantuani a una sua riluttanza ad assimilare quel che appariva ai suoi occhi come un «relitto storico» al «mondo così vivo» dei primi esperimenti comunali. Un’acuta sensibilità di matrice “volpiana” alla vivacità del mondo urbano e rurale dei secoli XI e XII dunque: se vogliamo, un eccesso di attenzione alla società politica, piuttosto che una erudita distanza di segno contrario.

 

A proposito dell’assenza o della labilità dei paradigmi teorici di riferimento del Torelli storico del comune, Ovidio Capitani sottolineava nel 1980 che il problema da cui Torelli rifuggiva con coerenza evidente, ma non è chiaro quanto conscia, era il «problema del potere»: la genericità – quando non ambiguità – del suo uso di concetti propriamente ‘politici’ nel dirimere questioni scottanti come i rapporti fra i protagonisti delle vicende patrimoniali che pure lo interessavano così profondamente, la qualità della loro autorità nella complessa età che precedette la piena definizione giuridica dell’ampiezza dei poteri e dell’autorità del comune cittadino, lasciano in qualche modo irrisolta la molteplice ricchezza della sua indagine, pur per molti versi innovativa.

Questa relativa distanza da problemi cruciali per la medievistica a lui contemporanea e successiva nonostante l’ampiezza dello spettro dei temi considerati e la relativa autonomia da gabbie interpretative troppo unilaterali, questa impostazione per certi versi tanto giuridica da spingere Santarelli a definire Un Comune cittadino «opera di giurista, di privatista raffinato e provvedutissimo», spiegano forse l’uso intermittente e parziale della lezione torelliana, il cui lascito più fecondo sembra essere stato – e continuare a essere – l’attenzione globale e attenta al fattore documentario inteso come un sistema di scritture legate fra loro da logiche interne di composizione e redazione, e strettamente rispondenti ai bisogni concreti, quotidiani di una società in mutamento.

 

Principali studi di Torelli

L’Archivio del Monferrato. Note, in «Atti della Regia Accademia delle Scienze di Torino», 44 (1909),Torino 1909, pp. 35-54

La data ne’ documenti medievali mantovani. Alcuni rapporti con i territori vicini e con la natura giuridico-diplomatica del documento, in «Atti e Memorie della Regia Accademia Virgiliana di Mantova», n. s., 2 (1909), Mantova 1910, pp. 122-182

Studi e ricerche di <storia giuridica e> diplomatica comunale, Parte I, in «AMRAVM», n. s.,  4 (1911), Mantova 1911, pp. 5-99; Parte II, Mantova 1915 (Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana di Mantova, Miscellanea 1: ried. Roma 1980, Studi storici sul Notariato italiano, vol. 5)

Regesto mantovano. Le carte degli Archivi Gonzaga e di Stato di Mantova e dei  monasteri Mantovani soppress (Archivio di Stato di Milano), vol. I (Regesta Chartarum Italiae, vol. 12) Roma 1914

L’Archivio Gonzaga di Mantova, Mantova 1920

Le carte degli Archivi reggiani fino al 1050, (con la collaborazione di A. K. Casotti, F. Tassoni), Reggio Emilia 1921

La presa di Reggio e la cessione ai Visconti nei carteggi mantovani (aprile-maggio 1371), in Studi di storia, di letteratura, d’arte in onore di Naborre Campanini, Reggio Emilia 1921, pp. 129-153

Capitanato del popolo e vicariato imperiale come elementi costitutivi della signoria bonacolsiana, in «AMRAVM», n. s., 14-16 (1921-1923), Mantova 1923, pp. 73-221

L’Archivio capitolare della cattedrale di Mantova fino alla caduta dei Bonacolsi, (con la collaborazione di P. Girolla, J. Nicora), Verona 1924 (Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana di Mantova, s. I, Monumenta, vol. 3).

L’Archivio dell’Ospedale di Mantova, in «AMRAVM», n.s., 17-18 (1924-1925), Mantova 1925, pp. 161-300

Metodi e tendenze negli studi attuali del nostro diritto, (Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza di Modena, vol. 4, n. 34), Modena 1928

Per la storia della codificazione in Italia (a proposito di alcune recenti pubblicazioni), in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», 8 (1928), pp. 518-527

Un Comune cittadino in territorio ad economia agricola. I. Distribuzione della proprietà, sviluppo agricolo, contratti agrari, (Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana di mantova, Miscellanea, vol. 7), Mantova 1930

Per l’edizione critica della Glossa Accursiana alle Istituzioni, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano, 7 (1934), pp. 429-586

La codificazione e la Glossa: questioni e propositi, in Atti del Congresso Internazionale di Diritto Romano (Bologna, Roma 17-27 aprile 1933), vol. I, Pavia 1934, pp. 329-343

Accursii Florentini Glossa ad Institutiones Iustiniani Imperatoris (Liber I) ad fidem codicum manoscriptorum curavit Petrus Torelli antecessor bononiensis, Bononia s.a. [ma 1939] (Corpus Juris Civilis cum glossa magna Accursii Florentini auspiciis et consilio Regiae Accademiae Italicae editum)

Le carte degli Archivi reggiani dal 1051 al 1060, (con la collaborazione di F. S. Gatta), Reggio Emilia 1938

Le carte degli Archivi reggiani dal 1061 al 1066, (in collaborazione con F. S. Gatta, G. Cencetti), in «Studi e documenti, periodo trimestrale della R. Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna, Sezione di Modena», 2 (1938), pp. 45-64 e 237-256, e 3 (1939), pp. 49-64, 111-126, 237-250.

Glosse preaccursiane alle Istituzioni. Nota I: glosse d’Irnerio, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, vol. IV, Milano 1939, pp. 229-277

Glosse preaccursiane alle Istituzioni. Nota II: glosse di Bulgaro, in «RSDI», 15 (1942), pp. 3-71

Glosse preaccursiane alle Istituzioni. Nota III: Iacobo ed Ugo, in «Rendiconto delle sessioni dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di scienze morali», s. IV, vol. 8 (1944-1945), Bologna 1946, pp. 90-153

Un Comune cittadino in territorio ad economia agricola. II. Uomini e classi al potere, postumo, a  cura di V. Colorni, (Pubblicazioni dell’Accademia Virgiliana di Mantova, Miscellanea, vol. 12), Mantova 1952

Scritti di storia del diritto italiano, postumi, a cura di G. De Vergottini, V. Colorni, U. Nicolini, G. Rossi, Milano 1959 (con una completa bibliografia degli scritti)

 

Principali studi su Torelli

W. Maturi, La crisi della storiografia politica italiana, in «Rivista Storica Italiana», 47 (1930), pp. 1-29

M. Bloch, P. Torelli, Un Comune cittadino in territorio ad economia agricola, Compte rendu, in «Annales d’histoire économique et sociale», 6 (1934), pp. 617-618

G. P. Bognetti, Arimannie e guariganghe, in Wirtschaft und Kultur. Festschrift zum 70. Geburstag von Alfons Dopsch, Leipzig 1938, pp. 109-134

F. Calasso, Pietro Torelli, in «Rivista internazionale di studi giuridici», s. III, 2/14 (1948), pp. 379-401

G. De Vergottini, Pietro Torelli, in «Rendiconti delle sezioni dell’Accademia delle Scienze di Bologna, Classe di Scienze morali», s. V, 3 (1949-1950), pp. 11-60, ora anche in P. Torelli, Scritti di storia del diritto italiano, Milano 1959, pp. IX-XLVI, e in Id. Scritti di storia del diritto italiano, a cura di G. Rossi, III, Milano 1977, pp. 1395-1430

G. P. Bognetti, recensione a Un Comune cittadino, vol. II, in «Archivio storico lombardo», s. VIII, 80 (1953), pp. 343-355, ora in G. P. Bognetti, Studi sulle origini del comune rurale, Milano 1978, pp. 382-400

F. Calasso, Pietro  Torelli, in «Annali di Storia del Diritto» 9 (1965), pp. 533-537

G. Tabacco, I Liberi del Re nell’Itali acarolingia e postcarolingia, Spoleto 1966

B. Paradisi, Apologia della storia giuridica, Bologna 1973, ad indicem

P. Cammarosano, Le campagne nell’età comunale (metà sec. XI-metà sec. XIV), Torino 1974

G. G. Fissore, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel comune di Asti, Spoleto 1977

S. Caprioli, Per uno schedario di glosse preaccursiane. Struttura e tradizione della prima esegesi giuridica bolognese, in Per Francesco Calasso. Studi degli allievi, Roma 1978, pp. 73-166

S. Caprioli, Una recensione postuma: la Glossa accursiana del Torelli, in «Studi Medievali», s. III, 20 (1979), pp. 228-234

V. Fumagalli, Le campagne medievali dell’Italia del nord e del centro nella storiografia nel nostro secolo sino agli anni ‘50, in Medioevo rurale, a cura di V. Fumagalli, G. Rossetti, Bologna 1980, pp. 15-31

O. Capitani, Per un ricordo di Pietro Torelli, in «Bullettino dell’Istituto storico per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 89 (1980), pp. 553-589

Convegno di studi su Pietro Torelli nel centenario della nascita, (Mantova, 17 maggio 1980), Mantova 1981 (con interventi di G. Costamagna, pp. 11-15, U. Nicolini, pp. 19-30, O. Capitani, pp. 31-51, U. Santarelli, pp. 53-70, A. Bellù, pp. 71-82, G. Praticò, pp. 83-88, R. Navarrini, pp. 89-109)

V. Fumagalli, Storia generale e locale dell’Alto Medio Evo in Italia. Temi e tendenze storiografiche degli ultimi cento anni, in La storia locale, a cura di C. Violante, Bologna 1982, pp. 

C. Violante, Correlazione alla relazione di O. Capitani, Il Medioevo, in Federico Chabod e la nuova storiografia italiana: 1919-1950, a cura di B. Vigezzi, Milano 1984, pp. 71-98

E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, Napoli 1990

M. Vallerani, La città e le sue istituzioni. Ceti dirigenti, oligarchia e politica nella medievistica italiana del Novecento, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 20 (1994), pp. 165-230

P. Grossi, Scienza giuridica italiana: un profilo storico (1860-1950), Milano 2000, ad indicem

 

 


 

 

 

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Ultima modifica: 28/12/2008

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