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Discussioni

Salvatore Cosentino
Erodoto, il Medioevo e Bisanzio

2004 - Salvatore Cosentino

Questo intervento, prendendo spunto dal riordino dei programmi di storia della Laurea triennale operato dall'Ateneo di Bologna, cerca di formulare alcune considerazioni pi generali sul rapporto tra storiografia e ordinamenti didattici. L'insistenza su Bisanzio e il Medioevo dovuta agli interessi di chi scrive e a quelli, presumibili, dalla maggioranza dei lettori di RM. Nondimeno, le considerazioni sul posto della storia bizantina nei percorsi formativi dell'Universit italiana possono rappresentare, credo, un paradigma per tutti quegli importanti settori di ricerca come la slavistica, l'islamistica, la turcologia, non sufficientemente rappresentati nelle impostazioni di base proposte dalla didattica universitaria italiana nello studio dell'identit storica europea.


In questi giorni l'Universit di Bologna ha operato una revisione del manifesto degli studi della laurea di primo livello in Storia. Il corso passato da un ordinamento estremamente articolato e storiograficamente ambizioso (curricula cronologici e tematici) ad uno pi semplice e culturalmente tradizionale (un corso suddiviso in indirizzi e un curriculum tematico) (1). Contrariamente al modello precedente, si optato ora per un'attenuazione della caratterizzazione degli indirizzi; ognuno di essi stato costruito attorno ad una struttura base composta da 10 discipline da 10 CFU (5 storiche e 5 di altro genere) e da altre da 5 CFU. Le cinque discipline storiche da 10 CFU - obbligatorie per tutti gli indirizzi - sono state individuate, sulla base della pi consolidata tradizione accademica di periodizzazione della storia, nella "greca", "romana", "medievale", "moderna" e "contemporanea".

Non interessa qui entrare nei dettagli dei percorsi che caratterizzano i vari indirizzi. Preme invece attirare l'attenzione sul fatto che, nell'ambito dei grandi quadri di sintesi giudicati essenziali per un'introduzione dello studente agli studi storici, acquista un ruolo di grande rilievo il mondo classico. Infatti, due delle cinque storie "generali" che scandiscono l'articolazione del corso sono la "greca" e la "romana"; il peso del classico apparir ancora pi evidente laddove si consideri che, mentre il medioevo, l'et moderna e quella contemporanea sono rappresentati da una sola disciplina di base, l'evo antico rappresentato da due discipline. Si tratta dunque di un'architettura che non presenta una perfetta simmetria tra le proprie componenti.

E' utile per la formazione di uno studente di storia tale considerevole insistenza sul mondo greco-romano? E' utile che anche i medievisti, i modernisti e i contemporaneisti studino la storia greca? In linea di principio, penso di s. E' arduo negare che Erodoto non conservi tratti di estrema modernit - lui che ci ha spiegato la differenza tra mythos e histora - circa la natura della ricerca storica e il suo linguaggio. In un'epoca di forte attenzione e sensibilit alle culture dell'"altro" probabilmente impossibile fare a meno della lezione di chi, attraverso uno sforzo di oggettivit che ancora oggi sembra mancare ad alcuni nostri uomini politici, ebbe a scrivere che "gli Egiziani chiamano barbari tutti coloro che non parlano la loro lingua" (Hist. II 158, 5). Proprio la nostra societ che sta progressivamente accentuando i propri connotati multietnici e multiculturali, come potrebbe permettere che gli studenti di storia ignorino quello che stato definito il pi grande fenomeno di acculturazione della storia europea, cio l'ellenizzazione dei ceti dirigenti dell'impero romano tra I e II secolo d. C.?

Gli uomini, le idee, il lessico e le arti della classicit sono stati uno dei codici di comunicazione intellettuale dalla diacronia troppo lunga per potere essere trascurati nel dialogo tra passato e presente. Essi sono indispensabili per lo studio della storia, di qualunque storia europea. D'altra parte i nostri studenti dovrebbero conoscere non solo Erodoto ma anche il modo con cui egli ci stato trasmesso. A questa esigenza il nuovo manifesto bolognese della laurea triennale in storia, che, come si detto, caratterizzato da una struttura assai rigida e tradizionale, fornisce talvolta risposte paradossali. E' il caso della storia greca e di Bisanzio nell'indirizzo medievale, dove la prima diventata disciplina di base, con il peso di 10 CFU, mentre la seconda, la civilt che stata la vera propagatrice di una certa immagine della grecit nel medioevo e che ha trasmesso la letteratura greco-classica al mondo moderno stata relegata, con il peso di 5 CFU, tra quattro discipline a scelta dello studente.

Questo esito mi sembra tanto pi discutibile, quanto pi si tenga a mente che le finalit con cui si proceduto, a Bologna, a rivedere l'ordinamento del corso di storia, miravano ad attenuare la caratterizzazione degli indirizzi a vantaggio di una impalcatura generalizzante del percorso formativo. Proprio in quest'ottica, dunque, il mondo bizantino pu andare bene come specialismo di nicchia, come cultura nascosta, ma non come grande civilt dell'identit europea. D'altra parte, ad una conclusione simile era gi arrivato nella seconda met dell'Ottocento un intellettuale come Carlo Cattaneo, secondo il quale, nei tratti civici distintivi dell'Asia e dell'Europa, correva lo stesso divario che c'era tra la genialit di Atene e l'immobilit di Bisanzio (2).

La radice culturale che sottende a tale impostazione, al di l di altre possibili motivazioni, credo vada ricercata nel modo con cui il concetto di "classico" ha influito sulla gerarchizzazione del sapere e sui modelli della sua trasmissione a partire dall'Umanesimo. La classicit un dono ambiguo: come alfabeto della comunicazione intellettuale stata trasmessa e rielaborata in forme diverse nel corso della storia europea; al tempo stesso, proprio la ricchezza delle sue metamorfosi, ha, di fatto, limitato la valorizzazione di quelle civilt che, come Bisanzio, pur strettamente interrelandosi ad essa, hanno avuto un contenuto spirituale essenzialmente non dialettico e un'eredit rivolta verso oriente (3) piuttosto che verso occidente.

Il ruolo che ha giocato quella che si potrebbe chiamare la continua ri-attualizzazione del classico nella mente di storici come Federico Chabod, per esempio, mi sembra paradigmatico. Nella Storia dell'idea di Europa (prima edizione 1959) i tratti dell'identit europea vengono ricercati all'indietro nel tempo in una filiera che da Atene e Roma, attraverso la sintesi cristiana del Medioevo e la rinascita umanistica conduce dritta alla fisionomia del mondo moderno. Nel corso dei secoli, poi, il classico ha non solo informato i canoni educativi della scuola ma anche fornito l'etica aristotelica e poi oraziana della misura e del limite cara alle nostre classi dirigenti. Esso ha improntato la trasmissione del sapere fino agli anni '50-60 del Novecento e sembra ora rivivere nel gi citato manifesto bolognese attraverso la tradizionale scansione della storia in una civilt greca, romana, medievale, moderna e contemporanea.

Si tratta di una didattica della storia che giustappone e gerarchizza le culture ma trascura l'interculturalit; una didattica che fatta di stadi di civilt di cui si trascurano le interazioni e le mediazioni. Questa caratteristica potrebbe condurre gli studenti a vistosi fraintendimenti del passato e favorire in loro, inconsapevolmente, una lettura mitica, distorta o anacronistica della storia nella misura in cui i menzionati stadi di civilt vengano percepiti come identit culturali gi definite in potenza, che attualizzandosi non fanno altro che storicizzarsi attraverso un processo di endogenesi. Si potrebbe obiettare che il pericolo che qui si paventato culturalmente di retroguardia, che la storiografia ha da tempo superato l'autoreferenzialit di sviluppo della storia dell'Europa e che pochi storici, oggi, hanno un'idea di essa fatta di connotati definiti pi che di continui processi di ridefinizione. La domanda che possiamo porci allora la seguente: fino a che punto tale acquisizione storiografica si concretamente tradotta nei programmi d'insegnamento universitari? Come paradigma di verifica di quest'interrogativo naturale assumere in questa sede il settore degli studi medievali. A partire dagli anni '70 non c' sintesi specialistica che non riconosca a Bisanzio un ruolo centrale nei processi di civilizzazione dell'Europa medievale. In fase di enunciazione teorica sono dunque lontanissimi i tempi in cui Pietro Egidi, nel 1922, poteva giustificare la scarsa produzione dei ricercatori italiani nel campo della storia bizantina alla luce della ricchezza del medioevo italiano, perch, per l'Egidi, il mondo bizantino apparteneva "alla storia medievale non italiana" (4). All'atto pratico, per, questo squilibrio esiste ancora, a circa un secolo di distanza dalla pubblicazione della Storia medievale dell'Egidi, secondo quanto notato non da chi scrive, ma da un medievista "occidentalista" come Duccio Balestracci nel 1996 (5).

Malgrado gli obiettivi formativi qualificanti della Classe delle Lauree in Scienze Storiche (n. 38) enuncino solennemente che, tra le attivit professionali dei laureati in quella classe, c' anche quella "del recupero di attivit, tradizioni e identit locali" la civilt o la storia bizantina non compresa tra le discipline elencate nella tabella ministeriale, e pazienza se questo significhi per qualche nostro studente calabrese, pugliese, sardo, siciliano, campano, marchigiano, romagnolo o veneto avere qualche problema con le sue tradizioni e identit locali. Si potrebbe pensare ad una dimenticanza di coloro che hanno individuato le discipline della classe n. 38, ed invece non cos. Nel tema dello scarto tra le enunciazioni teoriche e la loro concreta attuazione sul piano dell'insegnamento, il trattamento riservato alla civilt bizantina dalle tabelle ministeriali della nuova universit italiana - un trattamento indegno per un paese ad alta alfabetizzazione come il nostro - assai eloquente. Come ho gi detto, il mondo bizantino escluso dalla Classe 38 (Storia), ma nella Classe 13 (Scienze dei Beni Culturali) tra le attivit formative di base, mentre nella Classe 6 (Lettere) tra quelle caratterizzanti.

Dunque nessuna dimenticanza, ma il semplice riflesso, nell'impostazione del CUN, dell'antica disposizione della cultura storica italiana a guardare Bisanzio in maniera schizofrenica: non si pu fare a meno di valorizzarne l'eredit artistica perch essa sotto gli occhi di tutti e costituisce un rilevante giacimento culturale del nostro paese (Scienza dei Beni Culturali); non si pu fare a meno di prescindere dalla sua letteratura, che ci ha trasmesso i capolavori della grecit classica (Lettere); ma si pu benissimo prescindere dalla sua storia, giacch essa un altrove senza alcun legame con la nostra identit (6). Bisanzio, per la tabelle ministeriali, una civilt senza storia. Ritorna alla mente un bilancio di Mario del Treppo sul tema Medioevo e Mezzogiorno pubblicato nel 1977, in cui l'autore, nell'evidenziare una certa di mancanza di personalit storiografica della medievistica meridionale, stretta tra il mito dell'unit della monachia normanno sveva, la questione meridionale e un appiattimento sui temi di ricerca sviluppati nell'Italia centro-settentrionale, parlava del Mezzogiorno come di un "Occidente decaduto" agli occhi dei suoi intellettuali; "decaduto" nella misura in cui esso, il sud d'Italia, non era riuscito ad allineare il proprio baricentro sulle esperienze sociali ed economiche maturate nel centro-nord (7). In questa divaricazione, la presenza di Bisanzio nel meridione giocava senza dubbio un ruolo non propulsivo, motivo per cui esso era disertato quasi completamente dalla nostra medievistica. La sua marginalizzazione in Italia meridionale finiva per per tradursi in un ritardato progresso della comprensione tout court del Mezzogiorno, proprio perch l'impero d'Oriente non un alibi delle dinamiche politiche, sociali, religiose e culturali di quella regione ma uno degli aspetti costitutivi e peculiari della sua storia (8).

Nonostante la nettezza di tale consapevolezza, nei programmi della recente riforma universitaria, Bisanzio rimane quello che era per la storiografia risorgimentale: una storia estranea al nostro paese e all'Europa. D'altra parte, come stupirsi del trattamento riservato alla civilt bizantina dalle Tabelle ministeriali se anche tra i medievisti pi avveduti, oggi, ricompaiono talora - a dispetto degli enunciati teorici - atteggiamenti di una certa superficialit verso il mondo bizantino. E' noto che il primo manuale di storia medievale comunemente considerato il libro che Christophorus Cellarius (C. Keller) pubblic ad Halle nel 1688 con il titolo Historia medii aevi a Costantino magno usque ad Constantinopolim a Turcis captam. E' sufficiente averne presente solo il titolo per comprendere che in esso Bisanzio costituiva l'elemento iniziale e finale della periodizzazione dell'et di mezzo come epoca storica. Eppure, in un Dizionario del Medioevo pubblicato nel 1994 con dichiarate finalit didattiche, alla voce "Medioevo" si legge: "la dimensione cronologica appare per la prima volta nel 1688, nella Historia medii aevi di Cristoforo Cellario, che fa iniziare il periodo con le invasioni barbariche e finire con la caduta di Costantinopoli (1453), in coincidenza con l'inizio delle grandi scoperte e invenzioni e con la ripresa culturale e religiosa" (9).
Si tratta di una svista, ma che significativa di come il peso della tradizione "occidentalistica" di studi sul medioevo finisca per deformarne anche certi connotati storiografici originari. Naturalmente si potrebbe sottolineare che, quanto a periodizzazione sul medioevo, la cultura protestante della fine del XVII secolo, molto pi agevolmente di quella cattolica, poteva valorizzare il ruolo di Costantinopoli per la funzione anti-papale che ad essa era attribuita; si potrebbero sollevare interrogativi sul come e sul perch il mondo bizantino tra XVIII e XIX sia stato emarginato anche della medievistica di paesi come l'Inghilterra e la Germania; si potrebbe riflettere sull'uso stesso del termine "bizantino" per designare l'impero romano d'Oriente, che, per esempio, nella manualistica di area anglosassone non appare prima del 1853 (10).

A queste problematiche il lettore italiano non trover risposte in un libro pieno d'erudizione e di affetto come la Polemica sul medioevo di Giorgio Falco (1933), perch in esso la ricerca delle origini era gi condizionata da un "concetto" tutto latino-gemanico-cattolico dell'et di mezzo. Se la storia della storiografia ha un senso non solo per se stessa, ma per le nuove prospettive che pu fornire alla ricerca, va detto che un simile assunto trova piena conferma nel panorama degli studi di storia medievale in Italia. Non esiste, almeno a mia conoscenza, un saggio che illustri i modi con i quali il mondo bizantino da originario contenitore cronologico del Medioevo sia diventato, tra Ottocento e Novecento, un'appendice di esso; d'altra parte gli studi bizantinistici nel nostro paese continueranno forse a rimanere assai marginali fino a quando un simile saggio non verr scritto. Per scriverlo non basta solo mostrare consapevolezza teorica del ruolo esercitato dall'impero romano d'Oriente come fattore di civilizzazione dell'Europa medievale mediterranea e balcanica; occorre anche tradurre la teoria in un modello di insegnamento pi aderente ad essa. Nel frattempo, l'immagine che dell'et di mezzo la grande editoria trasmette ai nostri studenti quella divulgata nella citata voce del Dizionario sul Medioevo.

Il ruolo giocato dal tradizionalismo dei programmi didattici - come quello che, a mio avviso, pervade il nuovo corso di laurea in Storia dell'Ateneo bolognese - nell'orientare la sensibilit dei giovani verso la storia assume il valore paradigmatico di una grande aporia della nostra impostazione pedagogica. Da un lato la storiografia ha messo da tempo in evidenza, per esempio, l'importanza della Tarda Antichit come periodo storico connotato da caratteri peculiari, dall'altro tale campo di studi fatica ad affermarsi come disciplina dotata di autonomia accademica; da un lato si riconoscono in Bisanzio e nell'Islam le matrici di una geografia culturale di lunga durata, che impronter l'Europa orientale e mediterranea fino agli inizi del XX secolo, dall'altro essi sono a tutt'oggi marginali negli insegnamenti storici dell'Universit italiana; da un lato la politica propaganda l'Unione europea dalla Gran Bretagna alla Turchia, dall'altro insegnamo ai nostri studenti una grammatica culturale inidonea a comprendere i cambiamenti etnico-culturali della societ in cui vivono.

Probabilmente sarebbe difficile trovare, oggi, degli studiosi che in una grande sintesi delle vicende della nostra Europa dall'et storica ad oggi, escluderebbero la Persia dall'antichit greco-romana, Bisanzio e l'Islam dal medioevo, gli Ottomani dall'et moderna, gli Stati Uniti da quella contemporanea. Perch allora questa consapevolezza non si traduce in un deciso cambiamento dei programmi d'insegnamento della storia? Mi sembra che siano soprattutto due le risposte al menzionato interrogativo. In primo luogo il peso del "classico" - di cui si discusso prima - questo Giano bifronte che dall'Umanesimo rivive nella trasformazione e nell'eticizzazione del sapere, al tempo stesso vettore della conoscenza e marcatore del suo limite. In secondo luogo, la lentezza con cui i risultati della ricerca vengono tradotti nell'adeguamento della didattica, a motivo della difesa di posizioni disciplinari consolidate e di poteri accademici acquisiti.

Bisogna avere la coerenza di tradurre in termini di visibilit didattica ed universitaria quei settori della ricerca cui, oggi, si riconosce una particolare incidenza nella determinazione dei caratteri di lungo periodo della storia italiana ed europea. Dobbiamo farlo se non vogliamo correre il rischio di formare degli storici che tra qualche generazione guarderanno al passato con obsoleti strumenti cognitivi del proprio presente e vivranno nel presente con una distorta consapevolezza del proprio passato. Per altro verso, illusorio aspettarsi che i settori non tradizionali della nostra didattica possano esplicare un pieno ruolo educativo se introdotti in sede di laurea specialistica. E' difficile incidere sui percorsi formativi di un giovane di ventitr o ventiquattro anni, quando la sua consapevolezza critica gi fortemente orientata; n ci si pu affidare pi di tanto all'eclettismo e alla bravura di tanti studiosi, perch in genere i modelli sono pi efficaci dell'intelligenza delle persone. Allora ben venga la classicit, a patto che non sia il simbolo di una cultura storica ad una dimensione. Il rischio, infatti, che i nostri studenti muovendo alla ricerca della storia trovino il mito. Questo non sarebbe piaciuto nemmeno ad Erodoto.


Note

1. L'ordinamento del "vecchio" corso triennale si può visionare sul sito www.storia.unibo.it; il nuovo, immagino vi comparirà quanto prima.

2. Cfr. C. Cattaneo, La città considerata come principio ideale delle storie italiane in Opere di Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari, a c. di E. Sestan, Napoli 1957, p. 1007 (il noto saggio di Cattaneo è del 1858).

3. Ma sulla valenza ideologica del rifiuto dell'"Oriente" si veda A. Carile, L'Europa dall'Atlantico agli Urali: tradizione o attualità in Id., Materiali di storia bizantina, Bologna 1994 (originariamente pubblicato in "I martedì" del Centro San Domenico, Bologna 5 giugno 1992, pp. 3-34) pp. 319-342 e bibliografia ivi citata.

4. P. Egidi, La storia medievale, Roma 1922, p. 68.

5. D. Balestracci, Medioevo italiano e medievistica. Note didattiche sulle attuali tendenze della storiografia, Roma 1996, pp. 30-32.

6. Spunti interpretativi sul tema si leggono in S. Cosentino, La percezione della storia bizantina nella medievistica italiana tra Ottocento e secondo dopoguerra: alcune testimonianze, in "Studi Medievali" 3a s. 39 (1998), pp. 889-909.

7. Cfr. M. Del Treppo, Medioevo e Mezzogiorno: appunti per un bilancio storiografico, proposte per un'interpretazione in Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, a c. di G. Rossetti, Bologna 1977, pp. 249-283.

8. Al punto che Del Treppo, nel citato bilancio, poteva scrivere che "forse un giorno dovremo rendere merito all'insegnamento di André Guillou se avremo in Calabria una scuola di Bizantinistica" (p. 261), scuola che oggi, infatti, ruota attorno al magistero di Filippo Burgarella.

9. Cfr. A. Barbero - C. Frugoni, Dizionario del Medioevo, Roma - Bari 1994, p. 167. Nella premessa gli Autori dichiarano che in considerazione della difficoltà "per uno studente o per un lettore, anche di buona cultura [di] avere chiari i concetti della storia medievale e il significato preciso di parole tecniche … questo dizionario … vorrebbe evitare, a chi si accinge a studiare la storia medievale, l'uso impreciso di parole".

10. Nell'opera di G. Finlay, History of the Byzantine Empire from 716 to 1057: cfr. The Oxford History of Byzantium, edited by C. Mango, Oxford 2002, p. 2.

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Ultimo aggiornamento: 27/4/03

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