Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
6. Ezio e il 476
(A) Giordane, Storia dei Goti,
FSI, 117, 36. (B) Prospero d’Aquitania, Cronaca,
AA 9, pp. 483-484. (C) Cassiodoro, Cronaca,
AA 11,pp. 157-158. (D) Marcellino comes, Cronaca,
AA 11, p. 91. (A) Il desiderio di combattere
s’impadronisce di tutti; ormai ci si augura d’aver gli Unni per nemici.
Teodorico muove pertanto alla testa d’una innumerevole moltitudine di
Visigoti conducendo con sé, partecipi delle fatiche della campagna,
i due figli più anziani Torrismondo e Teodorico, mentre gli altri
quattro, cioè Friderico, Turico, Rotmero e Immerito rimangono
in patria. Felice, grata difesa quella offerta da coloro che amiamo,
e per i quali è gioia esporsi ai nostri stessi pericoli. Da parte
romana poi, la preveggente attività del patrizio Ezio, su cui
allora poggiava l’impero d’Occidente, fu tale da permettergli di marciare
contro quella feroce e innumere turba di nemici con forze non inferiori,
riunite da ogni parte. Infatti i Romani potevano contare su contingenti
di Franchi, di Sarmati, di Armoricani, di Liziani, di Burgundi, di Sassoni,
di Ripuari, di Ibrioni, un tempo soldati dell’impero, ma ora richiamati
solo come ausiliari, e su truppe di altre stirpi celtiche o germaniche.
Il concentramento ebbe luogo ai Campi Catalauni, detti anche Maurici, che si
estendono per cento leghe (questa la denominazione che i Galli danno a una loro unità di
misura equivalente a millecinquecento passi) in lunghezza e per settanta in larghezza:
angolo di mondo divenuto arena d’innumerevoli genti. I due eserciti si fronteggiano,
entrambi al massimo della tensione: rinunciando a ogni sotterfugio, la battaglia è
campale. Giordane, Storia dei Goti, FSI, 117, 36. Testo originale (B) [a. 454] Fra l’Augusto Valentiniano
ed il patrizio Ezio, dopo giuramenti di reciproca lealtà, dopo
un patto di matrimonio tra i figli, si insinuò una inimicizia
profonda, e mentre doveva migliorare l’armonia divampò invece
l’odio, su istigazione, sembra, dell’eunuco Eraclio che, con una falsa
servilità, aveva irretito l’animo dell’imperatore al punto da
fargli fare facilmente ciò che voleva. Eraclio dunque insinuava
all’imperatore i peggiori sospetti su Ezio, persuadendolo che l’unica
soluzione, per salvarsi, fosse quella di arrivare a prevenire le macchinazioni
del nemico. Così Ezio venne crudelmente assassinato nelle stanze
interne del palazzo per mano dell’imperatore, complici le spade degli
astanti. Insieme a lui venne assassinato il prefetto del pretorio Boezio,
che gli era legato da grande amicizia.
[a. 455] Alla morte di Ezio tenne dietro, dopo breve tempo, la morte
di Valentiniano. Nessuna precauzione era stata presa per evitarla, che
anzi l’uccisore di Ezio si circondava degli amici e degli uomini d’arme
dell’ucciso. Costoro, che attendevano al varco l’opportunità
di attuare il loro disegno criminoso, colpirono il principe di sorpresa,
mentre si dilettava di una passeggiata in lettiga fuori città,
senza che nessuno del nutrito seguito regio si levasse a vendicare tale
delitto. Con lui fu ucciso anche Eraclio, che gli era vicino. Perpetrato
questo crimine, l’impero fu assunto da Massimo, uno che aveva la dignità
di patrizio e che era stato console per due volte. Si pensava che si
sarebbe adoperato in tutto per il bene dello stato in pericolo, ma presto
dimostrò con l’evidenza dei fatti ciò che aveva in animo,
poiché non punì gli uccisori di Valentiniano, ma anzi
li accolse fra gli amici, e proibì alla vedova di piangere la
morte del marito, costringendola, dopo pochi giorni, a passare a nuove
nozze con lui. Ma non godette a lungo i frutti della sua cupidigia.
Infatti, due mesi dopo, all’annunzio dell’arrivo dall’Africa di Genserico,
mentre molti, aristocratici e popolani fuggivano dalla città,
e mentre anche lui, dopo aver dato a tutti il permesso di partire, cercava
di mettersi in salvo, fu fatto a pezzi dagli addetti al servizio regio
ed a pezzi fu gettato nel Tevere, privo così di sepoltura.
A questa fine di Massimo seguì una miserevole conquista di Roma, poiché Genserico
prese la città che era priva di ogni presidio. Il santo vescovo Leone i gli andò
incontro alle mura, e per volontà di Dio le sue suppliche mitigarono Genserico al punto
che si astenne da incendi, stragi e supplizi, benché tutto fosse in suo potere. Per
quattordici giorni, con una ricerca minuziosa mai ostacolata, Roma fu svuotata delle sue
ricchezze e molte migliaia di prigionieri, che piacquero per l’età o per la professione,
furono condotti a Cartagine, insieme all’Augusta e alle sue figlie.
Prospero d’Aquitania, Cronaca, AA 9, pp. 483-484. Testo originale (C) [465] Per intrighi, sembra, di Ricimero, Severo perì di veleno nel
palazzo imperiale di Roma. [467] Leone inviò in Italia Antemio che a tre
miglia da Roma, in località Brontote, prese l’impero.
[472] A Roma venne fatto imperatore Olibrio e il patrizio Ricimero, contro
ogni rispetto dovuto al sovrano e contro le leggi stesse della parentela,
uccise Antemio, con grandi stragi nella città. Non ebbe tempo
per gloriarsi a lungo del suo delitto poichè morì dopo
quaranta giorni. Olibrio sopravvisse fino al settimo mese del proprio
impero.
[473] Su istigazione di Gundebaudo Glicerio prese l’impero a Ravenna.
Nello stesso anno Leone associò all’impero il nipote Leone.
[474]. Morì l’imperatore Leone il vecchio, cui successe
Zenone che regnò per diciassette anni. In quello stesso anno,
a Roma, Nepote successe a Glicerio nel regno.
[475]. In quell’anno Oreste, messo in fuga Nepote verso la Dalmazia, diede
l’impero a suo figlio Augustulo.
Cassiodoro, Cronaca, AA 11, pp. 157-158. Testo originale (D)
[476].Odoacre, re dei Goti, si impadronì di Roma ed
assassinò subito Oreste. il figlio di questi, Augustolo, fu esiliato nel Castel Lucullano
in Campania. L’impero romano d’Occidente, che il primo Augusto, Ottaviano, aveva assunto
nell’anno 709 della fondazione di Roma, perì con questo Augustolo cinquecentoventidue
anni dopo che i suoi predecessori avevano iniziato a regnare, e da allora i re Goti furono
padroni di Roma.
Marcellino comes, Cronaca, AA 11, p. 91. Testo originale
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