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Fonti

Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio

a cura di Giorgio Ravegnani

© 2000-2005 – Giorgio Ravegnani per “Reti Medievali”


PARTE II: LE FONTI

1. L'imperatore Arcadio e i suoi sudditi

Il distacco del sovrano dalla vita reale è un fenomeno tipico della tarda antichità, legato in gran parte alla nuova concezione del potere imperiale che si era fatta strada nel mondo romano. Gli ultimi sovrani pagani avevano già assunto i caratteri di un monarca orientale più che di un magistrato romano, assimilandosi alla divinità, ma con il trionfo del cristianesimo tale concezione fu abbandonata per far posto a quella di «imperatore eletto da Dio», con un'autorità di gran lunga al di sopra di tutti i mortali, che restò tipica del mondo bizantino. L'imperatore di Costantinopoli si riteneva scelto da Dio e i suoi poteri furono assoluti: era comandante in capo dell'esercito, giudice supremo, unico legislatore e protettore della chiesa. Come rappresentante di Dio in terra, era inoltre oggetto di un culto particolare di carattere politico-religioso: la sua persona veniva ritenuta e sacro tutto quanto a lui si connetteva; i sudditi erano suoi «servi» tenuti a prosternarsi di fronte al sovrano. Gli imperatori del tardo antico preferirono per lo più vivere a corte, in un lusso talvolta stravagante, perdendo il contatto con la realtà, come fu il caso di Arcadio al quale nel 399 è rivolta un'esortazione a immergersi nel governo dello stato.


Voglio dire che nulla in altri tempi ha così minato l'impero romano come ora il teatrale apparato per la persona fisica del basileus [1] che anche a voi si appresta, come se si officiasse un culto, in segreto, perché poi essa venga esposta al pubblico alla maniera barbarica. Ostentazione e verità non amano stare insieme! Peraltro, tu non devi avertela a male, ché non è colpa tua, ma di quelli che diedero l'inizio a codesto morbo e che tramandarono col succedersi dei tempi il male assimilato.

Codesta maestosità vostra, unita al timore d'assimilarvi ai mortali, ove mai diveniste abituale spettacolo al pubblico, vi tiene rinchiusi, volontariamente segregati; vi fa vedere pochissimo e pochissimo udire di ciò che forma il senso pratico, e godere soltanto dei piaceri del corpo – dei più materiali fra di essi, quali possono procurare il tatto e il gusto – e vivere come i molluschi marini [2]. Sino a quando disdegnerete la misura umana, non raggiungerete neanche la perfezione umana. Coloro con i quali voi vi distraete a tavola e altrove [3], che hanno libero accesso a palazzo più tranquillamente di generali e capitani, e che siete sempre pronti ad accontentare nei loro capricci; individui limitati e ristretti di testa e di spirito, segnati dalla natura, colpevole alla maniera dei banchieri che falsificano la moneta (eppure di essi si fa dono al basileus, e tanto più il dono è grande quanto più sono mentecatti!); costoro dico, affettando altrettanto incompostamente riso e pianto insieme, buffoneggiando con gesti e grida e con ogni sorta di trovate, ammazzano il tempo assieme a voi, cercano di consolarvi dal tedio che vi prende l'anima, poiché vivete contro natura, a mezzo di mali ancora maggiori! Le loro distorte riflessioni e battute si confanno alle vostre orecchie meglio di pensieri filosofici espressi con discorso limpido e copioso! È questo che ricavate dal vostro strano modo di vivere: avete in sospetto gli uomini sennati e li disdegnate, ammettete presso di voi gli stolti e vi mostrate loro allo scoperto.

Eppure occorrerebbe ben sapere che ci si rafforza grazie agli stessi principi che ci hanno fatti sviluppare: Se ripercorri con la mente la serie degl'imperi che mai si diffusero sulla terra, quelli dei Parti dei Macedoni dei Persiani degli antichissimi Medi, o quello nel quale noi viviamo ora, vedrai che uomini del popolo e soldati, abituati a stare all'aperto e a dormire a terra insieme con i loro compagni di falange, mai indietro agli altri nelle fatiche né mai avanti nei piaceri, fecero progredire ognuno di codesti imperi; uomini che acquistarono il loro prestigioso posto con paziente cura e che, una volta divenuti oggetto d'invidia, difficilmente avrebbero potuto conservarlo senza saggezza. La prosperità infatti rassomiglia a un fardello più pesante del piombo, e fa ruinare chi se lo addossi senza trovarsi in possesso di molto vigore.

D'altronde, codesto spirituale vigore la natura può solo adombrarlo, ma è l'esercizio che lo porta a compiutezza. E a tale esercizio la filosofia, o basileus, ti esorta, prendendo cura che non si verifichi quanto discende dal suo principio secondo il quale ogni cosa ruina se accada il contrario di ciò per cui essa è. Io ritengo che il basileus dei Romani non deve trasgredire la tradizione patria. E per tradizione dei Romani tu devi intendere non tutto quanto da qualche tempo si va insinuando nello stato ormai degenerato, ma ciò grazie a cui essi ottennero l'impero.

Orbene, per il dio dei re, ti prego di adattarti, di sopportare il mio discorso che pur è crudele. Quando credi tu che l'impero romano sia stato più florido? Forse da quando voi vi rivestite di porpora e d'oro, vi cingete il capo e i piedi di pietre preziose importate da monti e mari stranieri, ve ne tempestate le cinture e ve ne intessete gli abiti, ne incastonate nelle fibbie, ne adornate il trono su cui vi assidete? Voi realizzate uno straordinario spettacolo, tutto di colori scintillanti, alla guisa dei pavoni, attirando su di voi l'omerica maledizione della «tunica di pietra» [4].

Sinesio, Orazione sulla regalità , 14-15.
(trad. it. in Sinesio di Cirene, Opere: Epistole. Operette. Inni, a cura di Antonio Garzya, Torino 1989).

[1] Titolo greco del sovrano di Costantinopoli.

[2] Il paragone è tratto da un'opera di Platone.

[3] Si tratta di buffoni, nani, giocolieri o altri che normalmente allietavano la vita dei sovrani.

[4] Iliade, III, 57 (Ettore che augura a Paride di essere lapidato).

© 2000
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UpUltimo aggiornamento: 25/04/2005