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Didattica > Fonti > Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio > Fonti, 10

Fonti

Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio

a cura di Giorgio Ravegnani

© 2000-2005 – Giorgio Ravegnani per “Reti Medievali”


PARTE II: LE FONTI

10. Liutprando di Cremona a Costantinopoli

Liutprando di Cremona, ambasciatore di Berengario II, venne solennemente ricevuto a corte da Costantino VII Porfirogenito, nel 949, e si trattenne per qualche tempo nella capitale imperiale prendendo parte a cerimonie palatine. La sua testimonianza costituisce una fonte di grande rilievo per la ricostruzione della vita di corte, anche per la possibilità di confrontarla con opere coeve sul cerimoniale. Buon conoscitore del greco, Liutprando inserisce di frequente nella sua opera termini di questa lingua, anche in riferimento alla terminologia tecnica in uso alla corte di di Bisanzio.


Uscendo da Pavia il l° d'agosto (949), giunsi in tre giorni lungo il corso del Po a Venezia, dove trovai l'eunuco Salemone kitonite [1], ambasciatore dei Greci, che, di ritorno dalla Spagna e dalla Sassonia, desiderava tornare a Costantinopoli e conduceva con sé il messo del signore nostro, allora re, ora imperatore [2], con grandi doni, cioè Liutifredo, ricchissimo mercante di Magonza. Partiti da Venezia il 25 agosto arrivammo il 17 settembre a Costantinopoli, dove in che modo inaudito e meraviglioso fummo accolti, non ci rincrescerà di scriverlo.

Vi è a Costantinopoli una casa, contigua al palazzo, di meravigliosa grandezza e bellezza, che dai Greci è detta Magnaura, quasi grande aura, con la «v» posta al luogo del «digamma». Costantino [3] fece così preparare questa casa sia per i messi degli Ispani, che allora erano appena arrivati, sia per me e Liutifredo. Innanzi al sedile dell'imperatore stava un albero di bronzo, ma dorato, i cui rami erano pieni di uccelli ugualmente di bronzo e dorati di diverso genere, che secondo le loro specie emettevano i versi dei vari uccelli. Il trono dell'imperatore era. disposto con una tale arte, che in un momento appariva al suolo, ora più in alto e subito dopo sublime, e lo custodivano, per dir così, dei leoni di immensa grandezza, non si sa se di bronzo o di legno, ma ricoperti d'oro, i quali percuotendo la terra con la coda, aperta la bocca emettevano il ruggito con le mobili lingue. In questa casa dunque fui portato alla presenza dell'imperatore sulle spalle di due eunuchi. E sebbene al mio arrivo i leoni emettessero un ruggito, e gli uccelli strepitassero secondo le loro specie, non fui commosso né da paura, né da meraviglia, poiché di tutte queste cose ero stato informato da chi le conosceva bene. Chinatomi prono per tre volte adorando l'imperatore alzai il capo e quello che avevo visto prima seduto elevato da terra in moderata misura, lo vidi poi rivestito di altre vesti seduto presso il soffitto della casa; come ciò avvenisse non lo potei pensare, se non forse perché era stato sollevato fin là da un ergalion (argano), con cui si elevano gli alberi dei torchi. Allora non disse nulla di sua bocca, giacché, anche se lo volesse, la grandissima distanza lo renderebbe sconveniente, ma per mezzo del logoteta mi domandò della vita e della salute di Berengario [4]. Avendogli risposto conseguentemente, ad un cenno dell'interprete uscii e mi ritirai subito nell'ostello concessomi.

Ma non m'incresca di ricordare neppure questo, che cosa allora io abbia fatto per Berengario, perché si conosca con quanto amore abbia prediletto costui e che razza di ricompensa abbia da lui ricevuto per le mie buone azioni. Gli ambasciatori degli Ispani ed il nominato Liutifredo, messaggero di Ottone nostro signore, allora re, avevano portato molti doni da parte dei loro signori all'imperatore Costantino. Io invece da parte di Berengario non avevo portato nulla se non una lettera, per di più piena di menzogne. Il mio animo ondeggiava non poco per questa vergogna e meditava attentamente che fare a questo proposito. Mentre ondeggiavo e fluttuavo assai, la mente mi suggerì di conferire i doni, che da parte mia avevo recato all'imperatore, come da parte di Berengario e di ornare, per quanto potevo, di parole il piccolo dono (Teren., Eunuch., 214). Offrii dunque nove bellissime corazze, sette bellissimi scudi con borchie dorate, due coppe d'argento dorato, spade, lanche. spiedi, quattro schiavi karzimasi, più preziosi per l'imperatore di tutte le cose nominate. Infatti i greci chiamano Karzimasio il fanciullo reso eunuco per amputazione dei testicoli e della verga; il che i mercanti di Verdun sogliono fare per grande guadagno e li vendono in Spagna.

Fatte queste cose, l'imperatore diede ordine di chiamarmi a palazzo tre giorni dopo e, rivolgendosi a me di sua bocca, mi invitò a banchetto, dopo il quale donò a me ed al mio seguito un grande regalo. Ma giacché si è presentata l'occasione di narrarlo, ritengo bene non tacere, ma descrivere quale sia la sua mensa, soprattutto nei giorni di festa e quali giochi si facciano a mensa.

Vi è una casa presso l'ippodromo rivolta a nord di meravigliosa altezza e bellezza, che si chiama Dekaenneakubita [5], nome che ha preso non dalla realtà, ma per cause apparenti; deka in greco è dieci in latino, ennéa è nove, kubita poi possiamo dire le cose inclinate o curvate dal verbo cubare. E questo pertanto, perché nella natività secondo la carne del signor nostro Gesù Cristo (25 dicembre) vengono apparecchiate diciannove mense. A queste l'imperatore e parimenti i convitati banchettano non seduti, come negli altri giorni, ma sdraiati; in quei giorni si serve non con vasellame d'argento, ma solo d'oro. Dopo il cibo furono recati dei pomi in tre vasi d'oro che, per l'enorme peso, non sono portati dalle mani degli uomini, ma da veicoli coperti di porpora. Due vengono posti sulla mensa in questo modo. Attraverso fori del soffitto tre funi ricoperte di pelli dorate sono calate con anelli d'oro che, posti alle anse che sporgono nei vassoi, con l'aiuto in basso di quattro o più uomini, vengono sollevati sopra la mensa per mezzo di un ergalion girevole, che è sopra il soffitto, e allo stesso modo vengono deposti. Tralascio di scrivere, che sarebbe troppo lungo, i giochi che ho visto lì; uno solo non mi increscerà d'inserire qui per la meraviglia.

Venne un tale che portava sulla fronte senza aiuto delle mani un palo lungo ventiquattro piedi o più, che aveva un altro legno di due cubiti per traverso ad un cubito più in basso dalla sommità. Furono introdotti due fanciulli nudi, ma campestrati, cioè con un cinto, i quali salirono sulla pertica, vi fecero evoluzioni e discesero poi a capo in giù, mantenendola immobile come se fosse infitta al suolo con le radici. Quindi, dopo la discesa di uno, l'altro, che era rimasto e lassù aveva fatto giochi da solo, mi rese attonito per ancor più grande meraviglia. In ogni modo, finché entrambi avevano giocato, sembrava cosa possibile, perché, sebbene in modo mirabile, governavano con un peso uguale la pertica su cui erano saliti. Ma quel solo che rimase sulla sommità della pertica, poiché seppe equilibrare il peso così bene da giocare e discendere indenne, mi rese così stupefatto che la mia meraviglia non passò inosservata anche all'imperatore in persona. Perciò, fatto venire l'interprete, mi chiese che cosa mi paresse più straordinario: il fanciullo che si era equilibrato con sì gran misura che la pertica rimaneva immobile, oppure quello che sulla fronte aveva sorretto il tutto con tanta abilità che, né il peso, né le evoluzioni dei fanciulli lo piegarono neppure un po'. Dicendo io di non sapere che cosa mi sembrasse thaumastòteron, cioè più meraviglioso, egli, scoppiato in una gran risata, rispose che similmente non lo sapeva neppure lui.

Ma nemmeno penso di dover tralasciare in silenzio quest'altra cosa che colà vidi di nuovo e straordinario. Nella settimana prima del baiophoron, che noi diciamo i rami delle palme, l'imperatore fa l'erogazione di monete d'oro sia ai militari, sia a quelli preposti ai vari uffici, a seconda del merito di ciascun ufficio (24-30 marzo 950). E poiché volle che io partecipassi all'erogazione, mi ordinò di venire. Fu una cosa di tal genere. Era stata posta una mensa di dieci cubiti di lunghezza e quattro di larghezza, che aveva le monete poste in scatolette, secondo che era dovuto a ciascuno, col numero scritto all'esterno delle medesime. Entravano alla presenza dell'imperatore non alla rinfusa, ma in ordine secondo la chiamata di colui che recitava i nomi scritti degli uomini secondo la dignità dell'ufficio. Fra questi è chiamato per primo il rettore della casa, al quale vengono posti non nelle mani ma sugli omeri le monete con quattro scaramangi (mantelli). Dopo di lui ho domestikòs tes askalónes e ho deloggáres tes ploôs, dei quali il primo è capo dei soldati, l'altro della flotta. Questi, siccome la dignità è pari, ricevono monete e mantelli in pari numero e, per la gran quantità, non li portarono già sugli omeri, ma se li trascinarono dietro a fatica con l'aiuto di altri. Dopo questi furono ammessi i magistri nel numero di ventiquattro, ai quali furono erogate libbre di monete d'oro, a ciascuno secondo lo stesso numero ventiquattro, con due mantelli. Dopo questi seguì l'ordine dei patrizi, che ricevettero in dono dodici libbre di monete con un mantello. Non so il numero dei patrizi né quello delle libbre, ma soltanto ciò che era dato a ciascuno. Dopo queste cose vien chiamata una turba immensa, dei protospathari, degli spathari, degli spatharokandidati, dei kitoniti, dei manglaviti, dei protokarabi, dei quali uno aveva preso sette libbre, altri sei, cinque, quattro, tre, due, una libbra, secondo il grado di dignità. Non vorrei tu credessi che questa cosa si sia compiuta in un sol giorno. Si cominciò il giovedì dall'ora prima del giorno fino all'ora, quarta del venerdì e al sabato fu terminata dall'imperatore. A questi che prendono meno di una libbra, non già l'imperatore ma il parakoimómenos distribuisce per tutta la settimana che precede la Pasqua. Assistendo io e considerando con meraviglia la cosa, l'imperatore per mezzo del logoteta mi domandò che cosa mi piacesse di questa faccenda. E a lui dissi: «Mi piacerebbe assai, se mi giovasse; come anche al ricco assetato e ardente il riposo di Lazzaro apparsogli sarebbe piaciuto se gliene fosse venuto pro; ma poiché non gliene venne, come, di grazia, avrebbe potuto piacergli?» Sorridendo l'imperatore, un po' mosso da vergogna, accennò con capo che andassi da lui e volentieri mi diede un grande pallio con una libbra di monete d'oro, che ricevetti ancor più volentieri.

Liutprando di Cremona, Antapodosis, VI, 4-10.
(trad. it. in Liutprando di Cremona, Italia e Bisanzio alle soglie dell'anno Mille, a cura di M. Oldoni e P. Ariatta, Novara 1987).

[1] Dignitario eunuco di corte.

[2] Ottone I.

[3] Costantino VII Porfirogenito.

[4] Berengario II marchese di Ivrea.

[5] Il Triklinos dei XIX Letti, all'interno del Gran Palazzo.

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UpUltimo aggiornamento: 25/04/2005