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Didattica > Fonti > Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio > Fonti, 4

Fonti

Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio

a cura di Giorgio Ravegnani

© 2000-2005 – Giorgio Ravegnani per “Reti Medievali”


PARTE II: LE FONTI

4. La carriera di Giustino I

La straordinaria carriera di Giustino I risalta anche dalle parole di un suo detrattore, che è influenzato da un aristocratico disprezzo nei confronti del sovrano illetterato.


Al tempo che Leone [1] reggeva il sommo potere in Bisanzio, tre giovani contadini di stirpe illirica – Zimarco, Ditybistos e Giustino di Bederiana [2] – in continua lotta contro le ristrettezze domestiche, pur di liberarsene decisero di entrare nell'esercito. S'incamminarono verso Bisanzio, in spalla i sacchi pieni solo delle gallette che vi avevano messo alla partenza. Giunsero, vennero arruolati nell'esercito, e l'imperatore li destinò alla guardia palatina: avevano, tutti e tre, un fisico notevole.

Tempo dopo – era Anastasio a reggere l'impero – scoppiò la guerra contro gli Isauri, che avevano preso le armi contro l'imperatore; e questi spedì contro di loro un ragguardevole esercito, alla testa del quale stava Giovanni detto il Gobbo. Ora, Giustino aveva commesso una qualche mancanza, e Giovanni lo mise agli arresti in prigione; contava di giustiziarlo il giorno dopo. Ne fu però impedito da una visione, sopravvenutagli in sogno. Disse infatti il generale che gli era apparso un essere di enorme statura, e anche per il resto superiore all'umano, che gli aveva ingiunto di rilasciare l'uomo imprigionato in quel giorno; ma lui, al risveglio, non tenne in conto la visione del sogno. La notte successiva, in sogno, gli parve di riudire le parole che già aveva ascoltato; ma neppure così volle eseguire l'ingiunzione. E quando la visione onirica incombette su di lui per la terza volta, lo investì delle minacce più terribili, se non avesse obbedito agli ordini; e aggiunse che in futuro, nell'ora della massima collera, avrebbe avuto bisogno di quell'uomo e della sua famiglia.

Fu così che quella volta Giustino riuscì a salvarsi, e in prosieguo di tempo proprio lui acquisì grande potere. L'imperatore Anastasio lo mise a capo della guardia palatina; quando il sovrano mancò, tale era il potere della carica che ascese lui all'impero. Era un vecchio decrepito, affatto ignaro di lettere, quel che si dice un analfabeta, ed era la prima volta che una cosa simile capitava ai Romani. Era consuetudine che l'imperatore apponesse la sua firma ai documenti redatti per suo volere, ma Giustino non era in grado né di dare disposizioni né di star dietro a quel che veniva eseguito. Colui che doveva consigliarlo ricopriva la carica di questore: Proclo il suo nome. Bene, costui faceva tutto a suo genio. Pur di avere una ratifica autografa dell'imperatore, gli addetti a questo compito escogitarono quel che segue: in una tavoletta di legno sottile fu scavato il disegno delle quattro lettere, che in latino significano “ho letto”; si intingeva poi nell'inchiostro la penna con cui sono soliti scrivere gli imperatori, e la si metteva in mano a questo Giustino. Si apponeva quindi al documento la tavoletta di cui s'è parlato, e si guidava la mano all'imperatore, perché passasse con la penna per i solchi delle quattro lettere, seguendo ogni curvatura del legno. Infine gli addetti se ne andavano, portandosi dietro siffatta firma imperiale.

Era così che Giustino governava l'impero romano. Conviveva con una tal Lupicina, schiava barbara da lui riscattata, poi divenutagli concubina; anche lei era al crepuscolo della vita, allorché tenne l'impero con Giustino.

Costui insomma non fu capace né di bene né di male per i suoi sudditi. Era un gran sempliciotto che non sapeva assolutamente parlare; i suoi modi, quelli di un villano.

Procopio, Storie Segrete, VI.
(trad. it. in Procopio, Storie Segrete, a cura di F. Conca e P. Cesaretti, Milano 1996).

[1] Leone I, verso il 470.

[2] Nei pressi dell'odierna Skopje.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 25/04/2005