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Fonti

Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio

a cura di Giorgio Ravegnani

© 2000-2005 – Giorgio Ravegnani per “Reti Medievali”


PARTE II: LE FONTI

6. La rivolta di Nika

La rivolta di «Nika» ebbe luogo a Costantinopoli all'inizio del 532, quando il popolo della capitale si sollevò contro l'imperatore al grido di «nika», con cui era solito incitare i propri campioni nelle corse di carri. La rivolta maturò nell'ambiente dell'ippodromo ad opera delle fazioni sportive dei Verdi e degli Azzurri, che avevano assunto nella prima età bizantina una forte connotazione politica organizzandosi in una sorta di partiti, in parte militarizzati, con i quali doveva misurarsi l'assolutismo imperiale, Azzurri e Verdi, tradizionalmente rivali, si coalizzarono contro il fiscalismo giustinianeo e, per cause occasionali, diedero l'avvio a un moto durato alcuni giorni da cui fu causato l'incendio della città. Giustiniano, asserragliatosi nel suo palazzo, fu sul punto di abbandonare la partita, ma la situazione fu salvata dall'intervento dell'esercito, che assalì i popolani facendone una grande strage.


La domenica, diciotto dello stesso mese [1], l'imperatore andò all'ippodromo dopo una notte insonne sedendosi sul suo trono e portando con sé il santo Vangelo. Quando si sparse la voce, tutto il popolo vi si recò e l'ippodromo fu riempito dalla folla, Il sovrano disse loro sotto giuramento: «In nome di questa potestà vi condono l'offesa che mi avete fatto e ordino che nessuno di voi venga arrestato. Calmatevi, dunque! Voi non avete alcuna colpa, essa è soltanto mia. I miei peccati, infatti, mi hanno spinto a non concedere ciò che mi avete chiesto all'ippodromo [2]». Molti popolani acclamarono: «Augusto Giustiniano, vinci!» ma altri gridarono: «Giuri il falso, asino!». L'imperatore smise di. parlare e se ne andò dall'ippodromo. Diede quindi congedo al personale di Palazzo dicendo ai senatori: «Andate, ognuno custodirà la propria casa». Quando uscirono il popolo andò incontro al patrizio Ipazio e al patrizio Pompeo [3] gridando: «Ipazio augusto, vinci!». I popolani presero quindi Ipazio e lo portarono a braccia nel foro di Costantino, con indosso un mantello bianco, fino ai gradini della colonna che regge la statua dell'imperatore Costantino. Prelevarono dal palazzo di Placillianae le insegne imperiali che vi si trovavano e decorarono il suo capo ponendogli inoltre un collare d'oro intorno al collo. Quando l'imperatore lo seppe, il palazzo venne chiuso. La moltitudine dei popolani, tenendo con sé Ipazio, il patrizio Pompeo e Giuliano l'ex prefetto del pretorio, condusse Ipazio sul Kathisma imperiale con l'intenzione di portar fuori da Palazzo la porpora sovrana e il diadema e incoronarlo imperatore. Tutto il popolo raccolto all'ippodromo gridava al suo indirizzo: «Augusto Ipazio, vinci!». Ipazio, prevedendo che l'indole della plebe è mutevole e che di nuovo l'imperatore avrebbe prevalso, inviò di nascosto da Giustiniano il candidatus Efraimios, nel quale aveva fiducia, per riferirgli: «Ecco che tutti i tuoi nemici si sono raccolti nell'ippodromo: fa' ciò che ordini». Efraimios si recò a Palazzo per andare a riferire l'ambasceria all'imperatore. Ma gli si fece incontro un certo a secretis [4] Tommaso, medico del sovrano e a questo assai caro, che gli disse: «Dove vai? dentro non c'è nessuno. L'imperatore, infatti, è fuggito». Efraimios tornò indietro e disse a Ipazio: «Signore, Dio vuole che sia tu a regnare piuttosto che lui: Giustiniano infatti è fuggito e a Palazzo non c'è nessuno». Udito ciò, Ipazio parve stare con maggiore tranquillità nella tribuna imperiale dell'ippodromo e ascoltare le acclamazioni del popolo a lui rivolte e le voci ostili verso Giustiniano e l'augusta Teodora. Arrivarono inoltre dal quartiere di Constantianae giovani armati di corazza appartenenti alla fazione dei Verdi, in numero di duecentocinquanta. Questi giovani vennero in armi ritenendo di poter forzare l'accesso del palazzo per introdurvelo.

Quando il divinissimo imperatore Giustiniano seppe quanto avevano osato i popolani assieme a Ipazio e Pompeo, raggiunse immediatamente attraverso la scala a chiocciola il sito chiamato Pulpita, dietro alla tribuna dell'ippodromo, e di qui arrivò alla sala con le porte di bronzo che al momento erano chiuse. Con lui si trovavano Mundo, Costanziolo, Basilide, Belisario e alcuni altri senatori. Aveva poi anche la guardia armata di Palazzo con i suoi spatari [5] e cubiculari. Mentre accadevano queste cose, Narsete cubiculario e spatario uscì di nascosto e, ricorrendo al denaro, si conciliò personalmente o tramite emissari alcuni membri della fazione degli Azzurri. Coloro che avevano cambiato partito iniziarono a gridare: «Augusto Giustiniano, vinci! O Signore, salva Giustiniano e Teodora!». Tutto il popolo presente all'ippodromo mandò alte grida e alcuni rivoltosi della fazione dei Verdi li aggredirono con il lancio di pietre. Alla fine gli assediati a Palazzo si decisero e radunarono le forze militari che si trovavano all'interno all'insaputa degli excubitores e degli scholares che erano passati dalla parte del popolo. Entrarono nell'ippodromo ognuno con i propri uomini, Narsete dalle porte, il figlio di Mundo attraverso la sphendone, altri attraverso la porta a un unico battente del Kathisma imperiale raggiungendo l'arena, altri ancora passando dalla porta di Antioco e da quella chiamata Nekra. Cominciarono a uccidere i popolani come capitava e nessuno fra i cittadini o gli stranieri che si trovavano all'ippodromo ebbe scampo. Morì fra questi anche Antipatro il vindix [6] di Antiochia di Teopoli. Gli uomini del generale Belisario, aperte le porte, irruppero sul Kathisma imperiale con gli spatari catturando Ipazio assieme al patrizio Pompeo, suo cugino, e li portarono dall'imperatore. Quando furono introdotti alla sua presenza, caddero a terra dicendo: «Signore, abbiamo fatto molta fatica per radunare all'ippodromo i nemici della vostra maestà». L'imperatore rispose loro: «Avete fatto bene; ma se essi ubbidivano ai vostri ordini, per quale motivo non lo avete fatto prima che tutta la città bruciasse?». Disse quindi agli eunuchi, ai suoi spatari, a Eulalio il barbuto e ai candidati: «Prendete costoro e incarcerateli». Essi li portarono nei sotterranei del palazzo e rinchiusero Pompeo e Ipazio da soli. In quel giorno vennero massacrate a Palazzo, a quanto dice chi ha fatto i conti, trentacinquemila persone fra cittadini e stranieri. E non si vide più in giro neppure un popolano, ma vi fu calma fino a sera.

Il giorno dopo, diciannove dello stesso mese di gennaio, i patrizi Ipazio e Pompeo furono uccisi e i loro corpi gettati in mare. Il cadavere di Ipazio fu ritrovato sulla spiaggia e l'imperatore ordinò che fosse sepolto assieme agli altri condannati a morte e che sopra il suo corpo fosse posta una placca con su scritto: «Qui giace l'imperatore della lupa». Dopo alcuni giorni, però, ordinò ai parenti di prendere il corpo e seppellirlo. Questi lo portarono via deponendolo nella chiesa di s. Maura. Il corpo di Pompeo al contrario non fu più ritrovato. I loro beni vennero confiscati. Gli altri patrizi passati dalla parte di questi fuggirono chi in monasteri chi in edifici sacri. Alcuni subirono la confisca dei beni e l'esilio. Si ebbe grande paura del sovrano. Quando egli conobbe la risposta data da Tommaso la secretis al candidato Efraimios, fece tagliare la testa a Tommaso ed esiliò Efraimios ad Alessandria la grande.

Chronicon Paschale, pp. 623-628.
(in Chronicon Pascale, I, a cura di L. Dindorf, Bonn 1832).

[1] Di gennaio, a cinque giorni dall'inizio della rivolta.

[2] I popolani, all'inizio della rivolta, avevano fatto una serie di richieste a Giustiniano.

[3] Ipazio e Pompeo erano nipoti di Anastasio I.

[4] Funzionario addetto alla segreteria imperiale.

[5] Un reparto della guardia palatina composto da eunuchi.

[6] Un magistrato cittadino addetto alla raccolta delle tasse.

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UpUltimo aggiornamento: 25/04/2005