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Fonti

Istruzione e educazione nel Medioevo

a cura di Carla Frova

© 1973-2005 – Carla Frova


Sezione II – La scuola cristiana

Introduzione

Mai, come quando ci si accinge a studiare la storia della scuola ecclesiastica, che è poi in così larga misura la storia della scuola medievale, ci si accorge con tanta chiarezza di come sia limitante incentrare l'attenzione soltanto sulle istituzioni scolastiche, sugli strumenti, le tecniche didattiche, le attrezzature. Sotto questo punto di vista dovremmo addirittura dire che per lunghi periodi e in molti luoghi non esiste scuola.

È necessario quindi allargare un po' il discorso al di là dei limiti che ci siamo posti, e considerare più in generale i procedimenti educativi, anche quando, come spesso nell'alto medioevo, questi si sviluppano al di fuori di una struttura scolastica vera e propria, o con un minimo di struttura. Poiché proprio in queste scuole, che così poco hanno della scuola come l'intendiamo oggi, si costruisce faticosamente quella cultura che, discussa, rifiutata, arricchita sarà tuttavia un fondamentale punto di riferimento per la scuola tardo medievale, anche per quella, come la scuola delle città comunali, che eredita dalla cultura scolastica precedente contenuti e metodi, ma li volge a fini in grandissima parte nuovi. Monasteri, pievi e sedi vescovili saranno infatti per lunghi periodi gli unici centri che trasmettano una qualche cultura letteraria.

Le comunità cristiane nel tardo impero non ebbero scuole loro proprie. Non scuola di grammatica, poiché i giovani cristiani che intraprendevano gli studi lo facevano presso il «grammaticus», nelle scuole frequentate dai loro coetanei non cristiani; e questa era anche la formazione dei futuri chierici, ai quali si richiedeva un minimo di cultura letteraria. E neppure esisteva, salva qualche eccezione, una scuola religiosa che si possa paragonare alla scuola rabbinica: i laici apprendevano i principi della loro fede dall'insegnamento familiare, e partecipando alla vita religiosa della comunità; così come i chierici, che svolgendo il loro ministero si esercitavano nella lettura, nel canto e nella predicazione.

All'inizio del secolo V sant'Agostino scrive il De doctrina christiana, uno dei testi più letti durante il Medioevo, al quale si ispirò ampiamente una grandissima parte degli educatori medievali. In queste pagine egli ha presente il cristiano istruito, quello che come lui si è formato alla scuola dei grammatici e dei retori romani, e vuole insegnargli la strada per mettere la sua cultura al servizio dell'interpretazione dei libri sacri. Tutte le arti liberali possono essere utilizzate, e soprattutto la grammatica e la retorica, che non solo hanno profonde analogie con l'ordine dei valori morali (il parlare con proprietà e il vivere rettamente vanno in qualche modo di pari passo: un tema ripreso infinite volte dagli educatori medievali), ma hanno il compito di introdurre alla comprensione dei testi sacri e di garantire ad essi una fedele trasmissione.

Come si vede, non è il «programma» di una scuola cristiana, anche se tale diverrà in certa misura nei secoli successivi: è lo scritto di un cristiano che ha studiato nelle scuole romane, già in crisi, ma funzionanti dal punto di vista organizzativo, e che qui è stato introdotto a una cultura la cui fondamentale unità non è per ora ancora in discussione.

Ma con il VI secolo l'equilibrio incomincia ad alterarsi profondamente. C'è da un lato l'accentuarsi della decadenza delle istituzioni educative classiche che, pur destinate a sopravvivere fino al secolo successivo, svolgono ora una funzione molto più ristretta nelle mutate condizioni politico-sociali. C'è soprattutto, dall'altro, il grande sviluppo del monachesimo occidentale che, se anche all'inizio non diede origine a strutture scolastiche vere e proprie, rappresenta tuttavia un momento fondamentale nella storia della scuola e dell'educazione.

Il monastero è in effetti un centro educativo, con finalità e metodi propri. Si è scritto moltissimo sulla cultura e sulla pedagogia monastica. Ma comunque si voglia giudicare l'oggettiva importanza del monachesimo nella storia della scuola, bisogna sempre partire dalla riflessione che quella dei monaci è nei suoi inizi una esperienza essenzialmente religiosa e ascetica. Tutti i momenti della vita del monaco, dal lavoro, alla partecipazione alla liturgia, allo studio, alla lettura, devono creare in lui l'«uomo spirituale», condurlo per gradi alla contemplazione di Dio. Tutta l'educazione monastica è segnata da questa finalità ascetica.

È stato rilevato più volte che all'interno dei primi monasteri non esistevano scuole. Ma certamente una parte di coloro che vi entravano, i fanciulli o gli analfabeti, dovevano ricevervi i rudimenti di quella cultura letteraria indispensabile per la partecipazione alla vita liturgica e per la lettura dei testi sacri; e d'altra parte i principi educativi e i metodi stessi dell'educazione monastica determineranno, come già abbiamo detto, in grandissima misura le caratteristiche delle scuole che si verranno organizzando nel Medioevo.

La regola di san Benedetto, e la maggioranza delle regole monastiche occidentali, dà una grande importanza alla cultura scritta. La vita del monaco è in gran parte occupata dalla «lectio divina» (ne tratteremo più ampiamente parlando della pedagogia monastica); vi sono momenti di lettura comunitaria e anche individuale, e ciò presuppone che tutti i monaci sappiano leggere, e che il monastero possegga o produca codici sufficienti a tutti. Vi debbono inoltre essere monaci in grado di redigere gli atti che costituiscono l'archivio del monastero. Poiché, come abbiamo detto, molti entravano in monastero fanciulli o analfabeti (la regola ce ne dà testimonianza) il monastero deve provvedere ad insegnare loro a leggere. Educazione letteraria ed ascetica procedono di pari passo. Come nella scuola antica, anche qui si impara a leggere sui testi: ma gli «auctores» sono qui in prevalenza i libri sacri (anche se nelle biblioteche monastiche dei primi secoli non mancano i testi di grammatica).

L'insegnamento delle lettere nel monastero è dunque per molti aspetti tradizionale, ma per altri versi segna un taglio netto con l'esperienza della scuola antica. Diverso è l'ambiente sociale in cui si sviluppa, diversi gli ideali cui si ispira.

Un'altra esperienza, che si sviluppa nel VI secolo accanto a quella del monachesimo, vive in modo più drammatico, forse perché più legata all'ambiente della vecchia aristocrazia romana, il confronto tra le due culture, i due modi di educazione. Cassiodoro, questo aristocratico romano che aveva ricoperto importanti cariche pubbliche sotto Teoderico, rappresenta in modo esemplare la crisi politica e culturale, che è naturalmente anche una crisi di strutture, la quale travaglia l'Occidente nell'età dei primi regni romano-barbarici. Mentre come ministro di Teoderico era stato fra i principali sostenitori della politica di conciliazione fra l'elemento goto e quello italico, aveva concepito con il papa Agapito, intorno al 536, il disegno di dar vita a Roma a una specie di centro superiore di studi religiosi, destinato a mettere gli strumenti della cultura latina al servizio delle scienze sacre.

La tragedia della guerra fra l'Italia ostrogota e i bizantini, con le sue devastazioni, l'alterazione di tutte le strutture economiche e sociali, segna anche nell'esperienza di Cassiodoro una svolta significativa. Abbandona il primitivo progetto, e nel cenobio di Vivarium, che organizza nei suoi possedimenti in Calabria, cerca di realizzare quel centro di attività intellettuale e scrittoria, dove si conciliassero cultura letteraria e vita religiosa, che aveva sperato di realizzare a Roma. Forse il programma di questo aristocratico nutrito di cultura classica non poteva avere immediato successo nella nuova realtà dei tempi: rimase tuttavia un punto di riferimento per la scuola dei secoli successivi. Lo «scriptorium» [1] di Vivarium consegnò inoltre ad essa una grande quantità di strumenti, grazie alla sua ricchissima produzione di codici.

Poco dopo Cassiodoro, Gregorio Magno, che aveva studiato nelle scuole di grammatica e di retorica di Roma le regole dello scrivere e gli autori classici, pone la sua conoscenza delle arti liberali al servizio dell'interpretazione della scrittura, fornendo così alla scuola medievale un modello di esegesi biblica e un orientamento ideale determinante. Sono stati molto discussi i brani di scritti di San Gregorio in cui egli sembra polemizzare con la cultura classica. In realtà, nella celebre lettera a Desiderio, vescovo di Vienne, quando gli rimprovera di aver spiegato in pubblico gli autori classici, egli fa una questione di gerarchie morali e ideali. Un vescovo deve pensare a educare il proprio clero alla comprensione delle Scritture, così che il popolo possa avere ministri istruiti in grado di spiegargli le verità della fede.

La metà del sec. VI segna l'origine delle scuole ecclesiastiche vere e proprie. La chiesa sente ormai la necessità di dar vita a una organizzazione che provveda all'istruzione e all'educazione dei propri futuri ministri e presto, con la fine delle istituzioni scolastiche pubbliche, sarà questa l'unica struttura scolastica organizzata. Già all'inizio del VI secolo, in Italia, in Provenza, in Spagna si hanno tentativi parziali, ma la data più significativa è quella del concilio di Toledo del 527, che si può considerare l'origine delle scuole episcopali. Il concilio stabilisce infatti che presso la casa del vescovo siano istruiti, da un apposito maestro, coloro che intendono abbracciare lo stato ecclesiastico. Ma non esclude che da questa scuola possano uscire laici istruiti nelle lettere, e soprattutto nelle scienze sacre, poiché precisa che all'età di diciotto anni gli allievi potranno anche rinunciare al ministero.

È chiaro che un'istituzione di questo genere non poteva interessare un numero molto vasto di persone. Le sedi episcopali sorgevano nelle città principali, e solo le zone in cui la civiltà urbana conservava una certa vitalità potevano trarre beneficio dal provvedimento, che restava in ogni caso destinato a una élite piuttosto ristretta. La massa degli abitanti della campagna, che avevano il loro punto di riferimento nella pieve rurale sono interessate pochi anni dopo il concilio di Toledo dalle disposizioni del Concilio di Vaison del 529, che istituisce le scuole parrocchiali. Anche qui coloro che sotto la guida del parroco si esercitano nella lettura dei testi sacri e nel canto, sono soprattutto i futuri ecclesiastici, sebbene la presenza di una clausola analoga a quella del concilio di Toledo non escluda che questa scuola abbia potuto avere qualche effetto anche sull'istruzione di un limitato numero di laici.

Frattanto, nel corso del VI secolo, i monasteri irlandesi diventano importanti centri di studio. Non possiamo dire molto sulla presenza e il funzionamento di scuole, ma la vitalità della cultura monastica irlandese ci è nota per l'influenza che essa esercitò sui monasteri dei regni anglosassoni e del continente.

In Inghilterra, divisa nei vari regni anglosassoni, già all'inizio del secolo VII fanno la loro comparsa le prime scuole monastiche. Dal regno di Kent, dove, come è noto erano giunti alla fine del sec. VI i missionari guidati da Agostino, inviato da Gregorio Magno, la religione cristiana e la scuola monastica si diffondono nei regni vicini dell'Inghilterra meridionale. L'Inghilterra del Nord, dopo il fallimento dei tentativi operati dai missionari provenienti da Roma, resta invece un territorio sottoposto soprattutto all'influenza dei missionari e della cultura irlandese, una cultura caratterizzata dallo studio della grammatica, del computo e dell'esegesi biblica.

Ma ciò che è caratteristico dei regni anglosassoni, e della scuola monastica che vi si sviluppa, è il fatto che in queste terre, in cui l'evangelizzazione procede di pari passo con l'introduzione della cultura letteraria, e la cultura letteraria è cultura monastica, si stabilisce un perfetto accordo tra le istituzioni ecclesiastiche e l'aristocrazia dirigente. I giovani aristocratici compiono presso la corte l'educazione militare, ma vengono affidati per l'istruzione nelle lettere ai monasteri, e non ai pedagoghi privati.

Già dal VI secolo, abbiamo visto, si erano create in Gallia e in Italia quelle strutture grazie alle quali si esplica il monopolio ecclesiastico sull'istruzione. Ora, all'inizio del VII, la scuola monastica di queste regioni riceve un grande impulso dall'influenza del monachesimo anglosassone. Colombano, con alcuni compagni irlandesi, dà vita al monastero borgognone di Luxeuil, un centro di cultura essenzialmente religioso. Con la fondazione del monastero di Bobbio (614) istituisce un centro di studi e di produzione libraria che eserciterà un'influenza enorme sull'Italia longobarda e oltre.

Oramai Inghilterra, Irlanda, Gallia, Spagna, Italia sono disseminate di scuole monastiche ed episcopali che costituiscono una rete imponente dal punto di vista organizzativo. Ora, pur con momenti di crisi, di difficoltà, di regresso dovuti alle alterne vicende politiche dei vari regni, incominciano la loro organizzazione interna.

Se si considera la società del tempo nel suo insieme e ci si domanda quale sia l'incidenza che su di essa esercita dal punto di vista quantitativo questo tipo di scuola, bisogna naturalmente dire che essa è molto limitata. Di fronte a pochi monaci e chierici istruiti sta la grande massa degli analfabeti, che formano la grandissima maggioranza dei laici, e anche alcuni chierici che vivono lontano dai centri di cultura, isolati nelle parrocchie rurali. La crescita della scuola monastica nel VII e nell'VIII secolo si compie senza valicare questi limiti: è un arricchimento di contenuti, poiché la cultura «profana» codificata nel sistema delle arti liberali assume un posto sempre maggiore accanto alla cultura ecclesiastica, è un intensificarsi delle relazioni tra scuola e scuola, è un arricchirsi delle biblioteche, è un moltiplicarsi delle fondazioni monastiche.

Alla fine dell'VIII secolo quando l'unità dell'Occidente europeo si ricostruisce sia pur parzialmente sotto Carlomagno, mentre la società feudale si va strutturando nelle sue forme più tipiche, le uniche scuole sopravvissute sono quelle ecclesiastiche. Su di esse Carlomagno fonderà il suo programma di riforma dell'istruzione.

Si è già visto come questo programma incontri con i suoi successori qualche difficoltà. Ai tentativi dei vescovi francesi di sottrarsi agli obblighi che i capitolari carolingi avevano loro imposti, fa riscontro l'iniziativa di Lotario con il Capitolare olonese. Da questo momento la Chiesa, ed è la stessa autorità centrale che comincia ad intervenire, si dedica alla riorganizzazione delle proprie strutture scolastiche interne. Eugenio II nell'826 detta disposizioni relative all'istruzione del clero, disposizioni che saranno riprese a distanza di tempo dai papi riformatori. Leone IV nell'853 ritorna sulla necessità di curare le scuole parrocchiali per assicurare a tutti l'istruzione religiosa e di non dimenticare nelle scuole vescovili l'insegnamento delle arti liberali, così che i ministri della chiesa siano convenientemente istruiti. Frattanto, per quanto riguarda la scuola monastica, il sinodo riunito da Ludovico il Pio nell'817 su ispirazione di Benedetto d'Aniane ha proibito che nella scuola del monastero vengano accolti i fanciulli non destinati al chiostro. Il divieto sarà presto eluso con l'istituzione di due scuole distinte, l'«interna» e l'«esterna»: la pianta del monastero di San Gallo costruito sotto l'abate Gozberto nella prima metà del secolo IX ci mostra gli ambienti dedicati ai due tipi di scuole già ben distinti e con una collocazione razionale nella planimetria dell'edificio.

Comunque questa volontà della scuola ecclesiastica di chiudersi, di tenere a un certa distanza i laici, è un evidente tentativo di reagire a una situazione di inferiorità, alla realtà del potere laico che estendeva il suo controllo anche a questo aspetto della vita ecclesiastica.

E di fatto la scuola ecclesiastica fino alla fine del secolo XI conosce, insieme alla fioritura culturale di centri monastici ed episcopali, accanite lotte di potere nelle quali sono coinvolti scolastici, vescovi, re e imperatori.

Quando il papato riprende l'iniziativa nei confronti dell'imperatore, individua immediatamente nella scuola uno dei punti in cui deve esercitarsi la sua azione riformatrice. Abbiamo quindi una serie di concili che, come quello romano del 1079, si preoccupano di riorganizzare le scuole, di eliminare da esse la simonia, stabilendo o riconfermando norme precise sulla scelta dei maestri e il divieto per loro di prendere denaro. Nel secolo successivo la legislatura scolastica della chiesa si precisa sempre meglio: i concili del 1179 sotto Alessandro III e del 1215 sotto Innocenzo III si occupano ampiamente della scuola. Ormai i laici hanno pieno diritto di ingresso nella scuola ecclesiastica; anzi si revocano esplicitamente le disposizioni che vietavano ai non oblati l'accesso alla scuola del monastero. La chiesa ha individuato nella nascente borghesia la forza nuova della società medievale, e cerca, con l'assicurarsi il monopolio dell'istruzione soprattutto a livello superiore, di esercitare su di essa la propria influenza e di averla alleata.

La scuola che sorge nelle città presso la cattedrale, emanazione dell'autorità del vescovo e del capitolo, retta da uno scolastico che allarga il suo potere anche al di là dell'ambito della scuola, dotata della facoltà di attribuire la «licentiam docendi», assume un'importanza politica e culturale sempre maggiore.

Ma ormai la storia della scuola ecclesiastica deve essere studiata insieme con quella dell'università: i rapporti tra l'una e l'altra, specialmente al sorgere dell'università sono uno dei problemi più dibattuti dalla storiografia.

Nota bibliografica sulla scuola cristiana

Due testi, ambedue di carattere generale ma di diversa impostazione possono completarsi a vicenda: il primo, di carattere descrittivo, raccogliere una grande massa di notizie; il secondo tratta della cultura monastica:
E. LESNE, Histoire de la proprété ecclésiastique en France, t. V: Les écoles, Lilla 1940; J. LECLERCQ, L'amour des lettre set le désir de Dieu, éd. Facultés catholiques, Parigi 1957, 19632 trad. it. Cultura umanistica e desiderio di Dio, Sansoni, Firenze 1965.

Sul dibattuto problema del sorgere delle scuole nei monasteri (con discussione delle tesi precedenti):
G. BARDY, Les origines de l'école monastique en Occident, «Sacris erudiri», V (1953), pagg. 86-104.

Sulle lettura nelle regole monastiche (molti altri articoli sullo stesso argomento in altri numeri della medesima rivista):
PH. SCHMITZ, Les lectures de table à l'abbaye de St. Denis vers la fin du moyen âge, «Revue Bénédictine», XLII (1930), pagg. 163-167 (riporta un documento interessante).

Sulle scuole episcopali in Italia un utile lavoro d'insieme è D. A. BULLOUGH, Le scuole cattedrali e la cultura dell'Italia Settentrionale prima dei comuni, in «Vescovi e diocesi in Italia nel Medioevo», «Italia Sacra», V, Padova 1964.

Indicazioni di metodo sul problema dei rapporti fra cultura letteraria e popolare fornisce:
J. LE GOFF, Culture cléricale et traditions folkloriques dans la civilisation mérovingienne, «Annales E.S.C.», XXII (1967), pagg. 780-789.

Un esempio di studio su una grande scuola episcopale, che è servito di modello a ricerche analoghe:
A. CLERVAL, Les écoles de Chartres du Moyen Age du Ve au XVIe siècle, A. Picard, Parigi 1895.

[l] Lo «scriptorium» è l'officina libraria annessa al monastero o alla chiesa cattedrale, dove si attende alla copiatura o alla ornamentazione del codice.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05