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Fonti

Istruzione e educazione nel Medioevo

a cura di Carla Frova

© 1973-2005 – Carla Frova


Sezione III – Il curriculum degli studi

Introduzione

Se si esclude l'Università, di cui tratteremo in altra parte, non ci è sempre facile farci un'idea precisa di quali fossero gli argomenti studiati nelle scuole medievali. Se seguiamo lo svolgersi della letteratura medievale possiamo vedere intorno a quali interessi si sviluppi la cultura scritta nei vari momenti e nei vari luoghi, e come le diverse discipline si organizzino a poco a poco in un sistema unitario, nel quale si fissano i rapporti interni e le finalità.

Per una scuola, come quella medievale, che dà tanta importanza allo studio dei testi degli autori, ed è così legata alla cultura letteraria, un'indagine di questo genere può essere molto significativa. Ma ovviamente la cultura letteraria non coincide mai del tutto con la cultura scolastica. I testi che sono elencati nei cataloghi delle biblioteche medievali solo in parte servivano alla scuola, molti erano conosciuti e utilizzati soltanto da alcuni dotti studiosi. Nel nostro caso, inoltre, si può parlare di «programma» solo in un senso molto generico. La maggior parte della documentazione di cui disponiamo ci dà, per forza di cose, testimonianze sulle scuole più famose, quelle che la fama di un maestro e la vastità, appunto, della sua dottrina rende degne di nota, che costituiscono un punto di richiamo per gli studenti desiderosi di approfondire la conoscenza di qualche materia. Ma il curriculum degli studi che si svolgono in quella scuola non costituisce di necessità un modello cui si debbano attenere tutte le altre; al contrario.

Diremo perciò che è più facile ricostruire un programma ideale che non seguire concretamente lo scolaro nel corso della sua carriera di studi.

Di questa carriera, il primo, e per i più unico, gradino era l'imparare a leggere e a scrivere. Prima che scomparisse il vecchio sistema di educazione romana e più tardi, quando le scuole incominceranno a ristrutturarsi in modo più complesso, il compito di insegnare a leggere e a scrivere è spesso affidato a un maestro apposito. Egli esercita i ragazzi a ripetere le lettere dell'alfabeto, poi a comporle nelle parole; altre volte il procedimento è inverso: si incominciano a imparare a memoria i testi, ripetendo quello che dice il maestro, e in seguito si impara a riconoscere le lettere sul testo. Gli alunni imparano poi a riprodurre le lettere sulla loro tavoletta, seguendo il modello disegnato dal maestro.

Nella scuola tardo-antica, e nella scuola del «grammaticus» che ne è il proseguimento nell'alto Medioevo, gli alunni, subito dopo aver imparato a leggere e a scrivere incominciavano a esercitarsi a leggere e a ripetere e a ricopiare i versi dei poeti classici. Nel monastero, e in tutta la scuola medievale fino a quella delle città comunali, il posto di questi testi è occupato dal Salterio (raccolta dei Salmi). A seconda delle scuole e degli alunni varia il numero dei salmi che si devono leggere e imparare a memoria, ma è questo il contenuto fondamentale dell'istruzione a livello elementare. Questa comprende poi il computo e il canto. I ragazzi imparano a calcolare servendosi di piccoli oggetti o delle dita: il computo ha un fine eminentemente pratico, di mettere lo scolaro in grado di compiere le operazioni aritmetiche richieste dalle necessità quotidiane, e nella scuola ecclesiastica, soprattutto alto-medievale, ha quasi esclusivamente un'utilizzazione liturgica: serve a calcolare le date delle ricorrenze dell'anno, materia che sarà sviluppata ai livelli superiori dall'aritmetica e dall'astronomia. Il contenuto dell'istruzione superiore si organizza a poco a poco nel sistema delle sette arti liberali, che più tardi verranno suddivise in due gruppi: da una parte grammatica, retorica e dialettica, raggruppate nel «trivio», dall'altra il «quadrivio», che comprende aritmetica, geometria, astronomia e musica. Questa suddivisione incomincia a stabilirsi quando lo studioso medievale prende coscienza che esistono caratteristiche specifiche, proprie le une delle discipline letterarie, le altre delle discipline scientifiche: ma anche l'insegnamento di queste ultime è sempre, per gli strumenti e i metodi, un insegnamento soprattutto letterario.

Il sistema delle arti si fonda sui contenuti della cultura della tarda romanità, consegnati alla scuola medievale con una grandiosa opera di compilazione e di sistemazione dello scibile dagli scrittori tardo-antichi e altomedievali: Marziano Capella, Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda.

Alla scuola di grammatica si studiavano le parti del discorso, l'ortografia, le regole della flessione e della concordanza, talvolta già l'etimologia, e, quando questa cessa di essere una lingua d'uso, il latino anche dal punto di vista lessicale. Si utilizzavano i manuali ereditati dall'antichità classica, specialmente l'Ars minor di Donato, le sezioni dedicate a questa disciplina negli scritti dei compilatori, e, per il lessico, i glossari. Quando lo studente si è impadronito delle regole della prosodia, egli può utilizzare la conoscenza della grammatica allo scopo cui è destinato l'insegnamento di questa materia: la lettura e l'interpretazione degli autori.

Un procedimento analogo è applicato alla lettura dei testi degli autori «profani» e dei libri sacri: il maestro, con le sue spiegazioni, e servendosi dei libri scolastici glossati guida l'allievo all'analisi e alla comprensione letterale del testo. In questo momento la conoscenza della grammatica è per lo studente qualcosa di più di un puro strumento tecnico: essa non lo introduce semplicemente alla comprensione materiale delle parole, ma della realtà stessa che le parole intimamente manifestano, essendo, per l'uomo medioevale, ben più che segni convenzionali. Il gusto per l'etimologia rappresenta bene questo atteggiamento mentale: le parole hanno un legame misterioso con le cose che indicano, così come il nome che viene imposto ai bambini alla nascita reca il segno del loro futuro destino, e sta appunto all'etimologia scoprire questo legame.

Se nell'uso scolastico la grammatica è impiegata per l'interpretazione sia della letteratura sacra sia di quella classica, bisogna osservare che questo esercizio ha un valore tutto particolare negli ambienti monastici specialmente nei primi secoli, dove ancora non si può parlare di scuole istituzionalizzate. Qui la lettura della «sacra pagina» ha soprattutto un fine ascetico, è una meditazione, una preghiera. La «lectio» scolastica tende verso la «quaestio» e la «disputatio»… la «lectio» monastica tende verso la «meditatio» e verso l'«oratio». La prima è orientata verso la scienza e il sapere; la seconda verso la sapienza e il gusto. Nel monastero la lectio divina, attività che comincia con la grammatica, sbocca nella compunzione, nel desiderio escatologico (Leclercq).

Dagli ambienti monastici vengono quindi spesso le critiche a un insegnamento della grammatica fine a se stesso, che rimane un vuoto e sterile esercizio tecnico.

Completavano il ciclo delle arti del trivio la retorica e la dialettica. Le competenze delle due discipline e la loro posizione nel curriculum degli studi letterari variano durante i secoli. Inoltre queste due arti, e specialmente la dialettica, furono in abbandono nelle scuole medievali dopo la decadenza della scuola classica, per riprendere importanza dopo il mille e nel periodo Universitario, con la fioritura della logica.

Dopo che alla scuola di grammatica si erano apprese le regole del linguaggio corretto, a quella di retorica (ma anche qui i confini delle due arti sono spesso difficili da stabilire) si apprendevano, avendo a modello sempre i poeti e, tra i prosatori, soprattutto gli storiografi, il linguaggio ornato, le figure retoriche, gli artifici dello stile.

La storia degli studi retorici è caratterizzata nei secoli dalla discussione sull'oggetto, i metodi, i fini di quest'arte, che da origine a due opposte soluzioni: ora la retorica è interpretata come un complesso di norme tecniche ora come una disciplina formatrice, inscindibile dalla sfera etica. La prima interpretazione, che era stata tipica della speculazione greco-ellenistica, e si era espressa in una vasta produzione di manuali tecnici per l'apprendimento di quest'arte, è ripresa all'inizio del medioevo da Boezio: ad essa rimane sostanzialmente fedele anche Cassiodoro, per il quale il fine della retorica è quello di ottenere un'esposizione ordinata, piacevole e persuasiva del pensiero, indipendentemente da un giudizio di valore sul contenuto. Più ampia è invece la visione di Sant'Agostino, che si rifà a Cicerone, alle dottrine platoniche e all'identificazione dell'oratore con il «vir bonus» di più antica tradizione romana: assume a modelli anche i testi della Sacra Scrittura, e traccia su queste basi le nuove linee dell'eloquenza cristiana. È questa l'impostazione che assume l'insegnamento della retorica nel primo medioevo, anche per l'influenza di Isidoro di Siviglia, vicino all'ideale agostiniano anche se raccoglie elementi della tradizione aristotelica di Boezio. Nel tardo medioevo la retorica vedrà invece ridotte le sue competenze dallo sviluppo della logica.

La logica rientra nel programma di studi superiori dapprima come la disciplina che presiede all'organizzazione del pensiero. Il compito, che dai maestri dell'epoca carolingia era affidato alla grammatica, di disciplina e guida alla comprensione degli «Auctores» è ora trasferito alla logica, considerata sulla scia della dottrina aristotelica, anzitutto un metodo, che costituisce la necessaria propedeutica allo studio delle altre scienze. Scoto Eriugena già sottolinea questo significato, che era stato attribuito alla logica da Sant'Agostino in polemica con Sant'Ambrogio. Nei primi secoli dopo il mille gli studenti di logica si esercitavano intorno a problemi di classificazione delle scienze, o studiavano le leggi del procedimento dialet­tico: a noi sembrano esercitazioni estremamente aride, perché mentre si occupano dei meccanismi del ragionamento, prescindono dal problema del suo valore conoscitivo.

Ma nel secolo XII questo problema incomincia a porsi, e sarà all'inizio della grande fioritura della logica nelle università.

Le arti del quadrivio furono piuttosto trascurate durante l'alto medioevo e anche in seguito furono, salvo eccezioni, meno coltivate delle discipline letterarie. Dell'insegnamento scientifico bisogna soprattutto dire, come già abbiamo accennato, che anch'esso si fonda sullo studio degli «auctores». La frattura fra lo studio delle scienze e la pratica sperimentale è caratteristico del Medioevo. Ma forse sarebbe bene non fare di questa affermazione, che sostanzialmente è vera, un luogo comune; d'altra parte stiamo trattando della cultura scolastica e la scuola, anche in tempi più moderni, è stata più spesso il luogo dell'insegnamento tradizionale che non della ricerca scientifica.

Mentre il calcolo che poteva servire per le esigenze quotidiane si studiava già nelle scuole di livello elementare, lo studio dell'aritmetica nelle scuole superiori comportava la lettura dei manuali «enciclopedici» nella parte dedicata a questa scienza, e dei «computi» ecclesiastici che la cultura medievale produsse in abbondanza, soprattutto nel mondo irlandese ed anglosassone. L'aritmetica, così come la musica, che utilizza anch'essa le stesse fonti, ha dunque una finalità pratica nelle esigenze della liturgia: si dibattono nelle scuole soprattutto problemi relativi alla datazione delle varie ricorrenze dell'anno liturgico. Ma benché isolati non mancano i maestri, come Gerberto d'Aurillac e Abbone di Fleury, che danno all'aritmetica un valore molto più comprensivo, cioè quello di scienza che, essendo tutto il creato costituito «in numero, peso e misura», contiene in sé i primordi di tutte le cose. La geometria si occupava specialmente del calcolo delle grandezze e dei rapporti fra queste, sempre fondandosi sulle autorità tradizionali; la musica, nel suo aspetto teorico, studiava i rapporti fisici fra le note. Ma i contenuti della scuola medievale non si esauriscono nel sistema delle arti. Vi hanno una parte importantissima, infatti, la medicina e il diritto. E dobbiamo trascurare altre forme di insegnamento, come quello delle tecniche artigianali, delle diverse forme artistiche, dell'agrimensura, non meno importanti ma che, queste sì, esulano dall'ambito della scuola nei termini entro i quali l'abbiamo definito.

Dell'insegnamento del diritto e della medicina nell'Università si dirà a suo luogo. Durante il periodo preuniversitario queste due discipline si trasmettono in effetti in modo alquanto diverso dalle arti liberali. Esse non fanno parte del programma tradizionale delle scuole, pur costituendo una componente essenziale della cultura della persona istruita.

La conoscenza del diritto civile e del diritto canonico, indispensabile all'esercizio delle funzioni pubbliche e all'organizzazione interna della chiesa, si è tramandata lungo tutto il medioevo. Si è molto discusso sulla presenza di scuole di diritto nell'Italia Longobarda, che costituirebbe l'antecedente lontano della fioritura degli studi giuridici in Italia nell'età successive. In realtà sembra che la conoscenza del diritto si tramandasse piuttosto al di fuori della scuola, fondandosi sulla pratica e sulla conoscenza dei testi; le raccolte canoniche da un lato, le raccolte giuridiche, le somme dell'arte notarile, i formulari dall'altro. Maestri famosi per le loro conoscenze del diritto non tenevano vere e proprie scuole, ma venivano consultati e richiesti del loro parere nei casi controversi.

Per quanto riguarda la medicina, permane, durante tutti i secoli precedenti la fioritura delle scuole mediche nel periodo universitario, un contrasto più o meno vivo tra gli studi di medicina e la pratica medica. Spesso quest'ultima è considerata non conveniente alla dignità degli studi; da parte delle autorità ecclesiastiche si rinnovano per monaci e chierici i divieti ad occuparsene. Non esistono d'altra parte scuole di medicina con un programma ben definito.

Ma gli studi medici sono coltivati con passione in molti luoghi. La fama di un maestro particolarmente dotto attira anche da molto lontano folle di uditori. È, come abbiamo detto, uno studio fatto sui libri, specialmente sulle opere di Ippocrate, di Galene e di Sorano, sull'Ophtalmicus di Demostene Filalete, più tardi e più raramente su Celso. Ma i cultori di questa scienza lasciano talvolta i libri per verificare con occhio curioso quanto hanno letto nella realtà di un mondo in cui il male fisico appare un fatto tanto misterioso e ineluttabile.

I più famosi di loro, come Fulberto di Chartres, vengono consultati con insistenza, e anche quando rifiutano di dare consigli, adducendo la mancanza di pratica, dimostrano un acuto interesse al rilevamento dei sintomi delle malattie.

Nota bibliografica sul curriculum degli studi

Sulle «artes» e lo studio dei classici nel Medioevo:
M. ROGER, L'enseignement des lettres classiques d'Ausane à Alcuin, A. Picard, Parigi 1905; A. VISCARDI, La scuola medievale e la tradizione scolastica classica, «Studi medievali», Nuova Serie, XI (1938), pagg. 159-170; F. SIMONE , La «Reductio artium ad sacram Scripturam» quale espressione dell'umanesimo medioevale fino al secolo XII, «Convivium», VI (1949), pagg. 887-927; G. GHIRI, La cultura classica nella coscienza medievale, «Studi Romani», II (1954), pagg. 395-410; E. JEAUNEAU, Nani sulle spalle di giganti, a cura di F. LAZZARI , Napoli 1969.


Sul «quadrivio» e le discipline scientifiche:
L. THORNDYKE , History of magic and experimental science, 6 voll., New York, Columbia University Press, 1953-1958; P. RAJNA, Le denominazioni di Trivium e Quadrivium, «Studi Medievali», Nuova Serie, I (1928), pagg. 4-36; A. PANIZZI, La scuola vescovile di Salerno, origine della scuola medica salernitana, Salerno 19682.


Sulle «artes dictandi»:
E. FARAL, Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siecle, É. Champion, Parigi 1923.


Sul problema del rapporto tra studio scientifico, tecnica e professioni:
A. FANFANI, La préparation intellectuelle et professionelle à l'activité économique en Italie du XIVe au XVIe siècle, «Le Moyen âge», LVII (1951), pagg. 327-346; G. BEAUJOUAN, L'interdépendence entre la science scolastique et les techniques utilitaires, Parigi 1957; F. ALESSIO, La filosofia e le «artes mechanicae» nel sec. XII, «Studi medievali», 3ª serie, VI, I (1965), pagg. 71-161.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05