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Didattica > Fonti > Istruzione e educazione nel Medioevo > III, 5

Fonti

Istruzione e educazione nel Medioevo

a cura di Carla Frova

© 1973-2005 – Carla Frova


Sezione III – Il curriculum degli studi

5. La grammatica e lo studio degli autori, fondamento degli studi liberali

La lettera 101 di Pierre de Blois, di cui l'inizio e la conclusione sono riportate nella sezione dedicata alla pedagogia, tratta nella parte centrale dei contenuti e dei metodi dell'insegnamento intorno al secolo XII. È una testimonianza interessante sulla scuola del tempo, vista per certi aspetti in una luce fortemente critica, e con il contributo dell'esperienza personale dello scrittore.

Fonte: PIERRE DE BLOIS, Epistola 101, ed. J. P. Migne, Patrologiae cursus completus, Series Latina, XXVII, coll. 312-314.


…Tu dici che tuo nipote Guglielmo ha ingegno più sottile e intelligenza più acuta, perché, senza soffermarsi sullo studio della grammatica e degli autori ha subito spiccato il volo verso le sottigliezze dei dialettici; e la dialettica non l'ha appresa, come si fa abitualmente, sui libri, ma sui fogli di appunti e sui quaderni. Non è questo un buon fondamento per lo studio delle lettere, e questa sottigliezza, che tu vanti tanto, è esiziale a molti. Dice Seneca: «Niente è più esecrabile della sottigliezza e null'altro». A che giova spendere le giornate in cose che non servono né in pace né in guerra, né in piazza, né nel chiostro, né in consiglio, né in chiesa, non servono a nessuno e da nessuna parte, se non nelle scuole? Scrive Seneca a Sucilio: «Che c'è di più fine della resta di una spiga, e di che utilità è? Così è l'intelligenza che, appagandosi della sua sottigliezza, non ha alcun peso né fondamento».

Proprio mentre con giovanile leggerezza spicca il volo verso il cielo, Jcaro precipita nei flutti del mare. Così coloro, che nello studio delle arti procedono con temeraria rapidità, crollano poi rovinosamente. Certi maestri, invece di cominciare a dare ai discepoli i primi fondamentali elementi, li mettono a disquisire sulle questioni più sottili e complesse: il punto, la linea, la superficie, la quantità dell'anima, il fato, l'inclinazione della natura, il caso e il libero arbitrio, la materia e il moto, i principi delle sostanze, l'origine delle quantità e la divisione delle grandezze, la natura del tempo, del nulla, del luogo, l'identità e la diversità, il divino, il divisibile e l'indivisibile, la sostanza e la forma del suono, l'essenza degli universali, l'origine, l'uso, il fine della virtù, le cause delle cose, il riflusso dell'Oceano, le sorgenti del Nilo, i vari segreti della natura, i primi inizi dell'universo, e così via: tutti argomenti che richiedono cultura vasta e profonda, e intelligenze ben formate.

In tenera età ci si deve esercitare nelle regole dell'arte grammatica, nello studio delle analogie, dei barbarismi, dei solecismi, dei tropi e degli schemi: a questa disciplina si applicarono con diligenza Donato, Servio, Prisciano, Isidoro, Beda e Cassiodoro: e certo non l'avrebbero fatto, se essa non fosse il fondamento indispensabile di ogni scienza. Anche Quintiliano scrive di grammatica, ne afferma l'utilità e la loda incondizionatamente, al punto di affermare che senza di essa non può darsi vera scienza. Cesare compose dei libri sull'analogia, ben sapendo che né la prudenza, virtù che possedeva in massimo grado, né l'eloquenza, nella quale eccelleva, possono ottenersi senza lo studio della grammatica, Cicerone, come ci rivelano numerose sue lettere, invita caldamente il figlio, che amava di tenerissimo affetto allo studio della grammatica.

A che serve dunque leggere e rileggere i foglietti di appunti, studiarsi a memoria i compendi, rompersi la testa sulla astrusità dei sofismi, e disprezzare gli scritti degli antichi, rifiutando tutto quanto non si trova nei riassunti dei propri maestri? Sta scritto: presso gli antichi risiede la scienza. E Geremia non è tratto fuori dalla cisterna, finché per mezzo di funi non gli sono stati mandati giù abiti vecchi e consunti dall'uso. Poiché non si ascende dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della scienza se non si sono letti e riletti con studio devoto gli scritti degli antichi. S. Gerolamo si gloria di aver passato ore e ore di studio assiduo sugli scritti di Origene. E Orazio si vanta di aver letto e riletto Omero: «Egli mi ha insegnato che cosa è bello, che cosa è brutto, che cosa utile o inutile, più e meglio di Crisippo e di Crantore».

L'ho sperimentato io stesso: quando fanciullo muovevo i primi passi nell'arte dei versi, molto mi giovò il fatto che, per incitamento del maestro, non traevo materia dalle favole ma dalla verità della storia.

Mi giovò l'esser stato costretto, da ragazzo, a mandare a memoria e a ripetere le epistole di Ildeberto, che sono modelli d'eleganza e di stile. Oltre ai testi d'uso frequente nelle scuole mi giovò l'aver scorso con assiduità Troga Pompeo, Giuseppe Flavio, Svetonio, Egesippo, Curzio Rufo, Cornelio Tacito, Tito Livio, tutti autori che inframmezzano spesso alla narrazione storica passi utili all'edificazione dei costumi e all'apprendimento delle arti liberali.

Questo per quanto riguarda gli storici: ho letto poi un numero incalcolabile di altri autori. In essi, come in giardini profumati, i moderni possono, se sono accorti, andar cogliendo fiori, per rivestirsi delle grazie di un eloquio ornato.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05