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Fonti

Istruzione e educazione nel Medioevo

a cura di Carla Frova

© 1973-2005 – Carla Frova


Sezione VII – L'Università

Introduzione

Il periodo che, nella storia politica, economica e sociale, è segnato dal rifiorire della vita cittadina e dal primo organizzarsi degli stati nazionali, nella storia della cultura è illustrato dalla cosiddetta rinascita del secolo XII, ed è caratterizzato, per quanto riguarda la storia della scuola, dallo sviluppo dell'università.

Chiunque voglia fissare alcuni punti per la comprensione, anche elementare, di questo fenomeno, senz'altro il più grandioso nella storia della scuola medievale, si trova anzitutto di fronte ad una notevole difficoltà nella definizione dell'ambito del discorso.

L'università è infatti un'entità giuridica: il riconoscimento ufficiale degli studi in essa compiuti è forse l'aspetto che più immediatamente la distingue rispetto alle istituzioni scolastiche che l’hanno preceduta nell'antichità e nel medioevo. Come entità giuridica va considerata nei suoi rapporti con le autorità laiche ed ecclesiastiche; si deve vedere in che modo sia presente nella legislazione dei papi, dei sovrani e delle città, si debbono studiare gli aspetti istituzionali della sua organizzazione interna.

Ma l'università è anche un fenomeno sociale. Essa è una associazione di maestri e di studenti, e per comprendere che cosa significhi nella società del suo tempo bisogna studiare chi questi siano, da dove vengano, quali ragioni li spingano a frequentare un certo tipo di studi in una determinata città. E poi naturalmente vedere come si organizzino tra di loro, osservarne la vita quotidiana, talvolta ricca di episodi clamorosi e di aspetti curiosi, seguirne la carriera quando hanno terminato il corso degli studi.

Ancora (e non pretendiamo certo di aver accennato a tutti gli aspetti del problema) l'università è un fatto culturale, d'importanza tanto più grande quanto più si estese a tutti i paesi d'Europa, esercitando lungamente per le sue stesse caratteristiche istituzionali, un monopolio pressoché completo sull'istruzione superiore. Da questo punto di vista è importante vederne gli antecedenti nella cultura letteraria e scientifica dei secoli precedenti; i caratteri distintivi rispetto a quella; studiare i contenuti della cultura universitaria, gli strumenti e i metodi a cui si affida, l'uso al quale è destinata.

Tra i diversi punti di vista dai quali si può guardare al fenomeno dell'università, è per noi specialmente significativo quello dei contemporanei. Quale immagine ha di se stesso il maestro, lo studente dell'università medievale? Come sente la sua appartenenza al proprio gruppo sociale, e la funzione di questo nel complesso della società?

È evidente che da questa pluralità di aspetti possono derivare interpretazioni molto diverse di questo momento fondamentale nella storia della scuola nel medioevo. Notevoli divergenze si manifestano infatti già intorno al problema dell'origine dell'università, che naturalmente è indicata in momenti e fatti diversi a seconda che si considerino determinanti gli aspetti culturali, sociali o giuridici del fenomeno.

È opportuno in ogni caso fare un breve cenno ai termini con i quali esso venne designato dai contemporanei e all'evoluzione del loro significato; il che permette anche di seguire nelle grandi linee l'evoluzione giuridica di questa istituzione.

Intorno all'inizio del secolo XIII divenne di uso comune, ad indicare un centro di studi superiori come istituto di insegnamento, il termine di studium generale. È il periodo in cui alcune località acquistano una sempre maggior forza di richiamo per gli studenti di paesi anche molto lontani: Parigi per gli studi di teologia e delle arti liberali, Bologna per il diritto, Salerno per la medicina. Una caratteristica, e in questo momento la principale, che contraddistingue lo studium generale, è appunto il fatto che esso estende la sua importanza al di là dell'ambito della città e delle terre sottoposte alla giurisdizione di questa, attirando studenti da ogni parte. Esso deve inoltre impartire un insegnamento superiore in almeno una disciplina: la legge, appunto, o la teologia, o la medicina, e avvalersi di una pluralità di maestri.

Le caratteristiche giuridiche dell'istituzione, all'inizio poco definite, vanno progressivamente precisandosi. Prima qualsiasi città, ospitando un centro di studi superiori con le caratteristiche sopra descritte, poteva, almeno in teoria, avere uno studium generale: ma a poco a poco assume una importanza preminente il valore del titolo che lo studio concede. Uno studium generale sarà anzitutto quello i cui licenziati hanno la possibilità e il diritto di insegnare ovunque.

Questa significativa evoluzione, della quale sono ben coscienti i contemporanei, coincide con l'interesse sempre maggiore che i due poteri universali, papa e imperatore, manifestano per l'istruzione superiore. Abbiamo già accennato a questa circostanza e a quanto essa sia importante, anzitutto, ma non soltanto, per la storia delle istituzioni scolastiche. È evidente che l'iniziativa delle autorità costituite (e subito saranno i sovrani delle nascenti monarchie nazionali), affiancandosi o intervenendo su un fenomeno che si era originato in larga misura in modo indipendente da essa, sarà determinante per la sua storia successiva, per il fissarsi delle caratteristiche formali dell'università, dei contenuti e dei fini stessi dell'insegnamento. In qual misura, dipenderà dalle circostanze. L'università potrà essere sempre espressione di forze non completamente riducibili al potere politico o ecclesiastico costituito: il che consentirà ai contemporanei di individuare, accanto alle due tradizionali autorità del Regnum e del Sacerdotium, un nuovo potere: quello dello Studium.

È certo comunque che, già nella prima metà del secolo XIII, papa e imperatore si occupano sempre di più degli studi superiori. È del 1224 la fondazione dello studio generale di Napoli, un momento fondamentale nel programma di riorganizzazione politico-amministrativa concepito da Federico II; cinque anni dopo Gregorio IX istituisce lo studio generale a Tolosa. Nel 1224-45 Innocenzo IV concede speciali privilegi allo Studium Urbis, lo studio generale che viene istituito presso la stessa corte papale.

Il riconoscimento del papa o dell'imperatore diviene determinante affinché ai licenziati di uno studio sia riconosciuto il jus ubique docendi, la facoltà di insegnare in altri centri. E nel contempo si fa sempre più chiaramente strada l'idea che proprio qui, nel potere di rilasciare un titolo di maestro universalmente valido, risieda la caratteristica distintiva di uno studium generale rispetto agli altri centri di insegnamento superiore. Molti studi, che non sono sorti per iniziativa del papa o dell'imperatore, ma spontaneamente, per filiazione o per secessione da altri centri, Padova per esempio, richiedono un riconoscimento ufficiale.

È un processo di strutturazione burocratica che naturalmente è meno importante per gli studi di antica tradizione e di indiscusso prestigio, come Parigi o Bologna: molti di essi potevano permettersi, contravvenendo a qualsiasi bolla papale, di non accettare maestri provenienti da altri centri di studio, se non dopo un esame interno. Ma è significativo che, benché sia accettata l'autorità di uno studio che è tale ex consuetudine, anche questi centri aspirino alla legittimazione di un'origine illustre, come Parigi, che dal secolo XIII indica quale proprio fondatore Carlomagno, che avrebbe trasportato lo studio da Roma in Francia con la translatio Imperii; o Bologna, che poco dopo la fondazione dell'università di Napoli si creò una carta di fondazione attribuendola a Teodosio II. E nel 1292 il jus ubique docendi sarà conferito ufficialmente da Niccolò IV anche ai licenziati di Bologna e di Parigi.

Ma questa prerogativa giuridica, il diritto di conferire il jus ubique docendi, anche se importantissima, non è sufficiente a definire lo studium generale. Esso presuppone, nella sua forma più matura, la presenza di un'organizzazione scolastica di maestri e di scolari, di una universitas, dotata di particolari privilegi. A poco a poco i due termini, università e studio generale, coincidono e divengono sinonimo.

Già prima che si diffondesse l'uso del termine studium generale (e talvolta anche in scuole che studi generali non furono mai), maestri e scolari avevano incominciato ad associarsi in organizzazioni spontanee, che, come organizzazioni analoghe di appartenenti ad altre categorie professionali, presero il nome di universitates.

Questo fenomeno, così tipico dell'università medievale, rispecchia a livello delle istituzioni scolastiche quello spirito associativo, quella nuova concezione del potere che sono caratteristici di tutta la società del tempo. Da questi organismi di maestri o di scolari, che con il tempo si danno statuti e strumenti di governo sempre più perfezionati, dipende tutta la vita dello studio. L'autorità, concedendo loro privilegi di varia natura, darà la sanzione ufficiale all'esercizio di un potere che esse hanno coscienza di esercitare legittimamente per la forza stessa della solidarietà che le ha fatte sorgere.

L'idea che studenti e maestri medievali si rappresentano di uno studio appare definita soprattutto dalle caratteristiche di questa organizzazione interna. Le università nuove, che non sorgano per bolla papale o imperiale, si rifanno sostanzialmente a due modelli: Parigi o Bologna, proprio in quanto la prima costituisce il modello dell'universitas magistrorum, la seconda dell'universitas scholarium. Naturalmente, come tra queste due costituzioni tipo si hanno influenze reciproche, così le università che derivano da uno dei due modelli possono trarre qualche elemento anche dall'altro, o riprodurre successivamente modelli diversi.

L'università di Parigi si sviluppò dalla scuola della cattedrale di Notre-Dame, il cui cancelliere aveva la prerogativa di concedere la licentia docendi, indispensabile per svolgere con diritto la funzione di maestro. Non è evidentemente possibile fissare il momento preciso in cui maestri e scolari di Parigi vennero a costituire una università, ma è certo che essa andò sviluppandosi dalle associazioni di maestri, già presenti, sia pure con un'organizzazione molto ridotta, nel secolo XII, e dalle lotte di queste con il cancelliere.

Nel 1200 Filippo Augusto, a seguito di disordini che avevano turbato la vita scolastica parigina concludendosi con la morte di alcuni studenti, concede agli studenti stessi un privilegio giudiziario che li sottrae alla giurisdizione ordinaria istituendo per loro tribunali propri. Non si può comunque considerare questo un atto di fondazione, mentre più significativo per le origini dell'università è il primo fissarsi di statuti scritti dell'universitas magistrorum, che si può datare al 1210 circa.

A partire da questo periodo si acuisce il contrasto tra il cancelliere vescovile, che non vuole perdere il controllo sulla vita dello studio che gli deriva dalla facoltà di concedere la licenza, e anche di revocarla, e i maestri, che a poco a poco riescono a contrapporre di fatto la loro autorità a quella del cancelliere, servendosi della facoltà di ammettere o di rifiutare un maestro nel loro consortium. Un'autorità di fatto che progressivamente risulta legalizzata, poiché con il ricorso all'appoggio della sede papale (che ha saputo individuare in essa una forza dal potere sempre crescente) l'università riesce ad ottenere a proprio vantaggio una diminuzione dei poteri del cancelliere.

Nella lotta le parti in causa fanno ricorso a tutti gli strumenti di pressione di cui dispongono: da una parte la scomunica, dall'altra la sospensione delle lezioni e addirittura (fatto che diverrà usuale nei contrasti fra università e potere costituito) l'abbandono della città. La bolla «Parens scientiarum» di Gregorio IX dimostra quanto il contrasto stia volgendo a favore degli studenti e dei maestri.

Ma l'appoggio papale non è tanto una causa quanto una conseguenza del potere assunto dall'organizzazione interna dell'università. Proprio attraverso lo scontro con il cancelliere essa è andata sviluppando quelle strutture che ora sono in grado di reggere e di amministrare autonomamente la vita di maestri e studenti.

Già prima della metà del secolo XIII risulta ben stabilizzato l'istituto del rector e dei procuratores, gli organi principali del governo dell'università, mentre più o meno nello stesso periodo si fissano i compiti e le prerogative dei bidelli, funzionari addetti agli studenti. I maestri della facoltà delle arti – il gruppo più organizzato e più potente – sono raggruppati a seconda della provenienza nelle quattro nazioni: dei Franchi, dei Piccardi, dei Normanni e degli Inglesi, a capo di ciascuna delle quali sta appunto un procurator: tutte insieme eleggono il rettore. Attraverso questa organizzazione la facoltà delle arti riuscirà ad esercitare una forma di predominio sull'intera università, anche sulle facoltà di diritto e di teologia. Quest'ultima infatti, accentuando i suoi legami di dipendenza dal cancelliere, un'autorità non accademica, non potrà per lungo tempo avere, nel governo dell'università, un potere pari al suo prestigio culturale, che la colloca al primo posto tra le facoltà parigine.

Si organizza in questo periodo anche il sistema dei collegi, originariamente luoghi istituiti allo scopo di assicurare vitto e alloggio agli studenti, ma destinati a diventare veri e propri centri di insegnamento, tanto che nel secolo XV una buona parte dell'attività didattica dell'università si svolgerà in essi.

La storia dell'università di Parigi dalla seconda metà del secolo XIII è determinata dalla presenza degli ordini mendicanti e dai contrasti cui essa diede luogo all'interno dell'università. Questa presenza ne definì non solo le caratteristiche come centro di cultura, dando luogo alla grandiosa fioritura degli studi teologici e filosofici, ma influì sulla stessa evoluzione costituzionale, e soprattutto, a causa dell'appoggio dato ai Mendicanti dalla sede papale, spezzò quell'accordo, che era stato caratteristico del primo periodo della storia dell'università, tra questa e il papato.

L'università di Bologna è, per la sua cultura, la sua origine, la sua organizzazione, la tipica espressione della vita cittadina italiana. La cultura della scuola bolognese è quella scienza giuridica che in Italia era sempre stata in special modo coltivata, sia come parte degli studi liberali, sia, per quanto limitatamente, nella tradizione del notariato. Ora essa, soprattutto per opera di Irnerio, nella prima metà del secolo XII, si alimenta di una conoscenza molto più ampia e diretta delle fonti giuridiche romane (anche se è tradizione leggendaria quella che mette in relazione la fioritura degli studi di diritto a Bologna con la scoperta di un manoscritto del Digesto durante la conquista pisana di Amalfi del 1135); mentre, verso la metà del secolo, l'opera di Graziano contribuisce a fare anche del diritto canonico una vera e propria scienza, indipendente dalla teologia.

Una cultura nuova destinata a una nuova classe di scolari, che dagli studi trarranno non solo prestigio culturale, ma forza politica ed economica. Non stupisce che proprio da loro si origini quella tendenza associativa che farà di Bologna il prototipo dell'universitas scholarium.

L'importanza che essi hanno raggiunto è già evidente intorno alla metà del secolo XII, quando Federico Barbarossa emana in loro favore il privilegio noto come Autentica «Habita» (lo riportiamo nella prima sezione della raccolta). Essa non si può, come il documento di Filippo Augusto a favore di Parigi del 1200, considerare una carta di fondazione: soprattutto non vi è riconosciuta l'esistenza di una universitas di scolari o di maestri; ma certo risponde in modo particolare agli interessi degli studenti e dei maestri bolognesi, e inoltre costituirà sempre un punto di riferimento per la legislazione scolastica successiva.

Circa il sorgere delle associazioni di maestri e di scolari e il processo attraverso il quale queste ultime assunsero progressivamente il governo dell'università rimangono alcuni punti oscuri. È certo che mentre ai maestri rimane la prerogativa di esaminare il candidato e di conferirgli la licenza nella cerimonia del conventus, gli studenti conquistano il predominio su tutti gli altri aspetti della vita universitaria, dalla scelta dei maestri alla determinazione dei loro impegni didattici, ai rapporti finanziari tra maestri e scolari. Questo predominio si esplica attraverso una struttura sempre meglio definita dagli statuti, che precisano i compiti e le competenze dei diversi organi e dei loro rappresentanti.

Cresce così, all'interno della città, un vero e proprio centro di potere autonomo; e proprio nell'atteggiamento delle città nei confronti di queste universitates scholarium va ricercato lo sfondo politico dell'organizzarsi di queste associazioni studentesche.

I rapporti tra studenti e amministrazione cittadina conoscono momenti di acuta tensione, che dà luogo a episodi clamorosi, come la fuga degli studenti verso altri centri più ospitali (così quella che nel 1222 diede origine allo studio di Padova); altre volte sono caratterizzati da una sostanziale concordanza di interessi, considerata l'importanza di uno studio nella vita economica e culturale della città. Attraverso queste vicende le organizzazioni studentesche, in cui, come i maestri a Parigi, gli studenti forestieri sono divisi per nazioni, conquisteranno privilegi fiscali e giurisdizionali sempre più ampi.

Più tardi si svilupperanno a Bologna, accanto agli studi di diritto civile e canonico, anche quelli delle arti liberali e di medicina. Queste facoltà, dapprima subordinate a quella di diritto, conquisteranno anche sul piano organizzativo una dignità sempre più grande: le diverse facoltà tuttavia continueranno a vivere in maniera piuttosto indipendente l'una dall'altra.

Abbiamo osservato nelle linee generali le caratteristiche delle due università medievali più celebri e più tipiche. Diamo ora qualche notizia, necessariamente molto sommaria, sulla vita, la carriera e gli studi di uno studente universitario. Nella nota conclusiva accenneremo alla difficoltà di risolvere un problema peraltro importantissimo: quante persone accedevano all'insegnamento universitario? Più facile che stabilire una valutazione sul loro numero è indicare alcune altre caratteristiche degli studenti medievali. Anzitutto: a quale età si frequentavano gli studi universitari? Dobbiamo subito distinguere i due periodi nei quali si svolgeva la carriera dello studente, ben caratterizzati fin dall'inizio in quasi tutte le università. Durante il primo periodo, della durata di 4 o 5 anni, lo studente doveva ascoltare le lezioni dei diversi maestri e al termine otteneva il titolo di baccelliere; nel secondo, al termine del quale egli diventava maestro, o dottore, continuando a frequentare le lezioni dei maestri, teneva a sua volta delle lezioni su alcuni punti particolari del programma, commentava cioè, in giorni e momenti fissati, un libro o parte di libro che costituiva la base delle lezioni. Il curriculum del baccellierato si iniziava tra i tredici e i sedici anni, quello del dottorato intorno ai venti, e poteva durare, secondo la facoltà e l'università, dai cinque ai sette anni. Naturalmente gli studenti, specialmente nelle facoltà di teologia e di diritto, potevano anche essere uomini più avanzati in età.

Allo studente si presenta anzitutto il problema del costo degli studi, che comprende i compensi che egli deve versare ai maestri per frequentare le loro lezioni, il costo dell'alloggio e del mantenimento, le spese per i libri e per gli esami. All'organizzazione finanziaria è dedicato un notevole spazio negli statuti universitari, e appositi funzionari provvedono al buon andamento di questo aspetto della vita dello studio.

Molti degli studenti provengono ovviamente da famiglie in grado di mantenerli agli studi; se ecclesiastici possono godere di un beneficio sufficiente a pagar loro le spese. Tuttavia la presenza dello studente povero è un dato costante, e spesso anche un fattore di disordine, nell'università medievale, ben attestato anche dalla letteratura. Costoro potevano essere mantenuti con una borsa di studio istituita dal governo del paese d'origine; o ricevevano vitto e alloggio gratuiti nelle fondazioni a scopo istituite; potevano anche ottenere dai maestri una dilazione nel pagamento con l'impegno di saldare il loro debito non appena avessero raggiunto sufficienti possibilità economiche. Dal canto suo l'amministrazione delle città che ospitavano gli studi provvedeva a fissare le norme e gli istituti destinati ad assicurare i prestiti agli studenti.

La giornata dello studente, se trascuriamo i momenti di svago o di «dissipazione», che pure sono parte integrante della vita delle città universitarie, e dei quali abbiamo già presso i contemporanei tante pittoresche descrizioni, trascorreva nell'ascolto delle lezioni, nelle esercitazioni, nelle dispute, nelle resumptiones – queste ultime svolte sotto la guida di un maestro o di un baccelliere, per fissare o ampliare il contenuto delle lezioni.

Norme precise stabiliscono le modalità e il contenuto delle lezioni nelle diverse facoltà e nelle varie fasi del curriculum degli studi. Non possiamo naturalmente esaminarle in particolare. Ma è fondamentale il fatto che, come indica il termine stesso di lectio (mantenutosi nella terminologia scolastica fino ai giorni nostri, pur essendo notevolmente mutata la realtà cui si riferisce), l'insegnamento del maestro avesse sempre per base un testo, sul quale egli svolgeva la sua spiegazione e il suo commento. È un dato tradizionale che l'università eredita dalla scuola precedente, anche se il notevole ampliarsi delle fonti con il ricorso anche ad autori moderni, l'uso di gran lunga più originale che ne viene fatto, le caratteristiche nuove dell'istituzione, gli fanno assumere, come già abbiamo osservato, un significato diverso.

Gli uomini dell'università sentono di essere non dei ripetitori, ma dei creatori di cultura. Poiché il sorgere e lo svilupparsi dell'università è un fatto nuovo nella storia della scuola medievale: le esigenze da cui nasce, i suoi contenuti culturali, il modo in cui si svolge l'insegnamento, strutturato con una precisione sconosciuta alle scuole precedenti, la sua organizzazione interna: tutto questo contribuisce a dare agli uomini che l'università forma una mentalità nuova: una coscienza di sé e dei propri compiti che potremmo dire «professionale», sconosciuta agli studiosi dell'età precedente.

Nota bibliografica sull'università

Uno dei lavori d'insieme di più utile consultazione è:
H. RASHDALL, The Universities of Europe in the Middle Ages, nuova edizione a cura di F. M. Powicke e A. B. Emden, Clarendon Press, Oxford 1936, alla quale rimandiamo per la bibliografia precedente e in particolare per l'indicazione delle numerose raccolte documentarie delle singole università.


Della bibliografia successiva indichiamo, sul problema dell'origine dell'università:
A. SOLMI, Le scuole del Medioevo e l'origine della Università, «Rivista storica di diritto italiano», XIV (1941); M. GRUNDMANN, Vom Ursprung der Universität im Mittelalter, in «Berichte ûber die Verhandlungen der Sachsischen Akademie der Wissenschaften zu Leipzig», 103/2 (1957); M. GRUNDMANN, La genesi dell'Università nel Medioevo, in «Bollettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», LXX (1958), pagg. 1-18.


Sull'origine di alcune università italiane:
G. CENCETTI, Studium fuit Bononiae. Note sulla storia dell'Università di Bologna nel primo mezzo secolo, in «Studi Medievali», 3ª serie, VII (1966), pagg. 781-833; G. CENCETTI, Genesi e sviluppo dello «Sudium Parmens», in «Studi Medievali», 3ª serie, XI, I (1970), pagg. 331-360; A. PAZZINI, La scuola vescovile di Salerno, origine della scuola medica salernitana, Salerno 1968².


Su alcuni aspetti dell'organizzazione interna delle Università:
H. WIERUSZOWSKI, Medieval Universities, Masters, Students, learning, Londra 1966; A. L. GABRIEL, Garlandia – Studies in the History of the Medieval University, J. Knecht, Francoforte 1969.


Sull'università vista dai contemporanei e dai protagonisti:
P. MICHAUD – QUANTIN, La conscience d'être membre d'une universitas, in «Miscellanea Mediaevalia», III (1964): Beiträge zum Berufsbewusstsein des mittelalterlichen Menschen, pagg. 1-14 (la comunità dei maestri come espressione delle tendenze associative dell'epoca); A. L. GABRIEL, Motivation of the founders at mediaeval colleges, ibidem, pagg. 61-72; I. LE GOFF, Quelle conscience l'université médiévale a-t-elle eu d'elle-même?, ibidem, pagg. 15-29.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05