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Didattica > Fonti > L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale > I, 1

Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione I – La borghesia e l'avvento del comune

1. Caratteri del comune

Ottone, vescovo di Frisinga (1115 circa – 1158) e zio di Federico Barbarossa, scrisse i Gesta Friderici I imperatoris poco prima della sua morte (opera poi continuata dal suo cappellano Rabevino fino al 1160). Ottone di Frisinga, pur non approvando gli ordinamenti comunali in quanto lesivi dell'autorità imperiale, di cui egli era un fedele e tenace assertore, cercò di capirli, esaminandone gli elementi costitutivi. Pur commettendo alcuni errori di interpretazione, Ottone coglie abbastanza vivamente l'essenza del governo comunale, anche se insiste troppo su una sua pretesa democrazia (la partecipazione al potere dei «giovani di bassa condizione» e degli «artigiani praticanti spregevoli arti meccaniche») che, già si è detto, era invece generalmente inesistente. Tuttavia proprio questo allargamento della base politica a quelli che noi abbiamo chiamato homines novi (e che si possono identificare nei nuovi elementi al potere menzionati da Ottone) fu il motivo, secondo il cronista tedesco, per cui i comuni italiani riuscirono a superare tutte le altre città della terra per ricchezza e potenza.

Fonte: OTTONIS ET RAHEVINI, Gesta Friderici I imperatoris, a cura di G. WAITZ – B. DE SIMSON, M. G. H., Scriptores in usum scholarum, Hannover – Leipzig, 1912, pp. 116-117; trad. in La città medievale italiana, a cura di G. FASOLI – F. BOCCHI, Firenze, Sansoni, 1973, p. 155.


[I latini] imitano ancor oggi la saggezza degli antichi romani nella struttura delle città e nel governo dello stato. Essi amano infatti la libertà tanto che per sfuggire alla prepotenza dell'autorità si reggono con il governo dei consoli anziché di signori. Essendovi tra essi tre ceti sociali, cioè quello dei grandi feudatari, dei valvassori e della plebe, per contenerne le ambizioni eleggono i predetti consoli non da uno solo di questi ordini, ma da tutti e, perché non si lascino prendere dalla libidine del potere, li cambiano quasi ogni anno. Ne viene che, essendo la terra suddivisa fra le città, ciascuna di esse costringe quanti abitano nella diocesi a stare dalla sua parte ed a stento si può trovare in tutto il territorio qualche nobile o qualche personaggio importante che non obbedisca agli ordini della città. Esse hanno anche preso l'abitudine di indicare questi territori come loro «comitati» e per non mancare di mezzi con cui contenere i loro vicini, non disdegnano di elevare alla condizione di cavaliere e ai più alti uffici giovani di bassa condizione e addirittura artigiani, praticanti spregevoli arti meccaniche, che le altre genti tengono lontano come la peste dagli uffici più onorevoli e liberali. Ne viene che esse sono di gran lunga superiori a tutte le città del mondo per ricchezza e potenza. A tal fine si avvantaggiano non solo, come si è detto, per la saggezza delle loro istituzioni, ma anche per l'assenza dei sovrani che abitualmente rimangono al di là delle Alpi. In un punto tuttavia si mostrano immemori dell'antica nobiltà e rivelano i segni della rozzezza barbarica, cioè che mentre si vantano di vivere secondo le leggi, non obbediscono alle leggi. Infatti mai o quasi mai accolgono con il dovuto rispetto il sovrano a cui dovrebbero mostrare volenterosa obbedienza… a meno che non siano costretti dalla presenza di un forte esercito a riconoscerne l'autorità…

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05