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Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione I – La borghesia e l'avvento del comune

2. Le libertà comunali

Le magistrature comunali, pur essendo riuscite ad imporre in pieno il loro predominio nell'ambito delle città, mai disconobbero apertamente il potere imperiale, anzi ogni città tese ad acquistare dapprima la propria autonomia e in seguito il riconoscimento sociale di questa autonomia, così da potersi permettere di usare in proprio e in piena legalità delle regalie, dei poteri sovrani (diritto di legiferare, diritto di battere moneta, di aprire mercati, ecc.). Ogni qualvolta fu loro possibile, i comuni cercarono di ottenere pacificamente dall'impero tali diritti, ma quando Federico I e Federico II con le armi si sforzarono di restaurare l'autorità imperiale, esautorata dai movimenti autonomistici delle città italiane, i comuni seppero difendere con il proprio esercito lo stato di fatto ormai consolidato.

Diamo qui un esempio di pacifica concessione di libertà da parte del Barbarossa ad un comune importante, Pavia, l'8 agosto 1164.

Fonte: J. F. BÖHMER, Acta imperii selecta. Urkunden Deutscher Könige und Kaiser (928-1398), Innsbruch, 1870, pp. 112-14; trad it. in G. GALASSO, Critica e documenti storici, Napoli, Martano, 1972, vol. I, pp. 341-43.


Nel nome della santa Trinità. Federico augusto imperatore dei Romani per favore della divina clemenza.

Per i tanti e grandissimi ed a tutti noti servizi, resi così frequentemente con fedeltà e devozione a noi ed all'Impero dalla città di Pavia, con altrettanti e maggiori privilegi e onori noi per gratitudine dobbiamo onorare, favorire e promuovere i consoli e tutti i cittadini. Per questo motivo sappiano tutti i fedeli dell'Impero, che sono e saranno in Italia, che noi dall'alto della nostra imperiale munificenza abbiamo conferito riconoscenti questi doni alla città di Pavia e a tutto il suo popolo, cioè [la facoltà] di eleggere secondo la tradizione e di confermare i consoli ad onore del nostro Impero e della città.

I consoli eletti, prima di iniziare le loro mansioni di governo, se già prima non avevano giurato fedeltà a noi, lo faranno, estendendo il giuramento ai nostri successori e così reggeranno la città di Pavia ed il suo contado ad onore e servizio dell'Impero e a vantaggio della cittadinanza.

Ed essi faranno giurare tutto il popolo secondo la consuetudine della città e così si atterranno al loro dovere verso l'Impero e verso la città e faranno giurare sempre ogni sei anni fedeltà all'imperatore a tutti quelli che non lo avranno fatto prima.

Così vogliamo che i consoli eletti, se noi ci troveremo in Lombardia, chiedano alla nostra maestà l'investitura e la conferma e la ricevano. Se non ci saremo in quella circostanza, chiedano la stessa investitura e conferma a quel nostro rappresentante che noi avremo mandato a tale scopo, e la ricevano. Se infine succeda che noi non abbiamo inviato un rappresentante in Italia, rimangano quivi il primo anno, ma l'anno seguente vengano, uno o due, da noi in Germania a chiedere e ricevere la predetta investitura e conferma del consolato.

Quelli che sono rimasti, si occupino nel frattempo del governo della città. Se capiti che qualcuno dei nostri successori o rappresentanti non voglia investire dell'autorità consolare, dietro richieste degli stessi, i consoli eletti, concediamo che le nostre donazioni non perdano di valore, né per i privilegi relativi al consolato, né per quelli relativi a tutto il resto.

Concediamo pertanto ai cittadini, tutti sempre fedeli a noi ed all'Impero, di usufruire dei propri beni e dei propri privilegi ed agli attuali consoli cittadini e a quelli che lo diventeranno, che sia lecito fare il duello in loro presenza, aiutare i minori, offrire la propria autorità nelle vendite di beni di questi, fare da procuratori e da tutori, indagare per un giusto e libero giudizio, vendicare le offese, disporre del diritto di danno, di giustizia ed imporre le tasse ed anche conserviamo e confermiamo ad essi quei diritti giurisdizionali che il marchese nella sua marca o il conte nella sua contea hanno avuto, cioè nel distretto le albergarie [1], il carreggio [2] e tutti gli altri privilegi, tanto nella città quanto nei sobborghi, ed in tutti i castelli, le valli, le pievi e verso gli uomini di tutti quei luoghi che sono sotto indicati e nelle dipendenze di questi e conferiamo infine l'uso totale di quelle buone consuetudini che erano soliti avere nei feudi, nei contratti di fitto, nelle precarie [3] e verso coloro colpevoli di qualche delitto.

Concediamo inoltre ad essi che i contratti enfiteutici [4] vengano fatti nello stesso modo che era in uso prima delle disposizioni della dieta di Roncaglia [5] relative ai feudi e per quanto riguarda il resto nulla sia mutato senza il permesso dei signori.

Inoltre concediamo a tutti gli abitanti delle città, dei sobborghi, dei castelli, delle ville menzionate, delle dipendenze citate di poter liberamente vendere, comprare, pignorare tutto ciò che giustamente e a ragione è lecito, e di fare gli altri legittimi contratti secondo la loro volontà, ed anche concediamo ai nostri fedeli cittadini che i loro mercanti possono andare per mare e per terra liberamente e sicuri per tutta l'Italia e che non siano costretti a dare un maggior diritto di guida, di passaggio o di pedaggio, se non secondo le buone, vecchie e giuste consuetudini.

Benevolmente ancora permettiamo che senza alcuna molestia il comune ed i singoli continuino a tenere i possessi, i diritti allodiali [6] e feudali, le precarie che erano soliti avere, a qualunque modo e a qualunque titolo; mentre noi riserviamo per noi il ponte e la riva [del Ticino] che il comune di Pavia soleva possedere.

Per quanto riguarda i confinanti concediamo ai predetti cittadini che le città di Tortona e Castelnuovo non siano sgravate di nulla e non si fortifichino.

Inoltre concediamo e confermiamo tutte le regalie [7], qualunque esse siano, relative alla città e a tutti i luoghi e alle loro dipendenze… [segue un lungo elenco di località].

E stabilendo tutto ciò, comandiamo che nessun arcivescovo, vescovo, duca o marchese, podestà o rettore, nessuno, qualunque sia la sua autorità, presuma di molestare, infastidire o arrecare danno ai nostri fedeli cittadini. Se qualcuno oserà violare le disposizioni di questo editto e con esse la nostra autorità, sappia che dovrà pagare come composizione mille lire d'oro, che andranno metà alla nostra camera e metà ai predetti consoli di Pavia…

[1] L'albergaria era l'obbligo delle città e dei borghi di alloggiare e fornire viveri e foraggio all'imperatore ed ai signori laici ed ecclesiastici con il loro seguito.

[2] Il carreggio era l'obbligo di porre gratuitamente carri e cavalli a disposizione di un pubblico servizio.

[3] La precaria era la concessione di beni immobili in godimento temporaneo e fisso dietro corresponsione di un censo annuo.

[4] L'enfiteusi era una concessione in usufrutto di un fondo con l'obbligo per l'affittuario di migliorarlo e di pagare un canone annuo, in denaro o in natura. A tali condizioni l'enfiteuta acquistava però pienamente il dominio utile del fondo, poteva cioè trasferire la proprietà ai suoi eredi, alienarla, ipotecarla, gravarla di servitù.

[5] Nella dieta di Roncaglia del 1158 Federico Barbarossa aveva rivendicato nei confronti dei comuni italiani i diritti fiscali ed i poteri giurisdizionali spettanti di diritto all'imperatore.

[6] I beni allodiali erano le libere proprietà private, non sottoposte ad alcun onere e vincolo signorile, in contrapposizione ai beni di diritto signorile ed alle proprietà collettive o communia. Per tutta questa terminologia cfr. V. CASTRONOVO, Guida alle letture di Storia Economica, Torino, Giappichelli, 1967.

[7] Regalie erano i diritti appartenenti al sovrano. Comprendevano le grandi regalie (amministrazione della giustizia, imposizione dei tributi) e le piccole regalie, dal significato prevalentemente fiscale (su strade, spiagge, pedaggi), che potevano anche essere appaltate o donate.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05