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Didattica > Fonti > L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale > I, 6

Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione I – La borghesia e l'avvento del comune

6. Giuramento dei consoli e del podestà

Il passaggio dal periodo consolare a quello podestarile non portò con sé mutamenti profondi nelle forme esteriori di potere, pur basandosi questo potere su una diversa forza politica.

Il giuramento prestato dai consoli del comune di Genova alla cittadinanza nel 1143, il primo breve consolare conservato in Italia, (cfr. lettura a) e quello richiesto al podestà nel momento dell'assunzione del potere contenuto negli statuti di Sarzana del 1330 (cfr. lettura b) sono apparentemente poco diversi: in realtà la sostanza dei contenuti e la situazione politica da essi sottintesa, sono nettamente differenti.

Fonti: a) Codice diplomatico della repubblica di Genova, a cura di C. IMPERIALE DI SANT'ANGELO, in «Fonti dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 77, Roma, 1936, vol. I, n. 128, pp. 153-166; b) I. GIANFRANCESCHI, Gli statuti di Sarzana del 1330, in «Collana Storica della Liguria Orientale», III, Bordighera, 1965, pp. 17-18.


a/ In nome del Signore. Amen. Dalla prossima festa della purificazione di S. Maria per la durata di un anno noi consoli eletti agiremo a favore delle comunità e opereremo per l'onore del nostro arcivescovato e della nostra madre Chiesa e della nostra città in tutte le cose, mobili ed immobili, con querele o senza querele, quando sapremo che si tratta di interessi della comunità.

Noi di nostra scienza e volontà non arrecheremo danno all'onore della nostra città, né all'utilità ed all'onore della nostra madre Chiesa.

Noi non violeremo i diritti di qualche nostro concittadino a vantaggio del comune, né i diritti dei comune a vantaggio di qualche nostro concittadino, ma equamente osserveremo e terremo in giusto conto tali diritti, come in tutta onestà e secondo ragione crederemo essere giusto…

Se qualche genovese, privatamente e personalmente da qualcuno di noi o pubblicamente da molti, sarà chiamato e richiesto di entrare nella nostra compagna [1] e dopo quaranta giorni dal momento in cui sarà stato chiamato, non vi sarà ancora entrato, non avremo più alcun rapporto con lui e non ascolteremo né lui, né le sue istanze per i prossimi quattro anni, a meno che il comune di Genova non promuova contro di lui una qualche azione, nel qual caso lo ascolteremo e poi agiremo in tutta onestà; e non lo eleggeremo né console, né chiavario e non lo manderemo in nessun luogo come nostro ambasciatore, né lo accetteremo come avvocato nel tribunale nel quale dovremo giudicare, né gli daremo alcun ufficio del comune. E proibiremo al popolo di trasportare lui, che non volle essere della compagna del comune, ed il suo denaro per mare. Se poi qualcuno avrà trasportato lui ed il suo denaro, non appena ne verremo a conoscenza, faremo vendetta contro costui, in tutta onestà, secondo il nostro arbitrio. E se chi sarà stato invitato ad entrare nella compagna ed avrà rifiutato, come è detto sopra, avrà un qualche contrasto con un uomo della nostra compagna e noi lo sapremo, faremo in modo che nessun uomo della nostra compagna gli dia consiglio ed aiuto in quel contrasto e raccomanderemo al popolo che dia consiglio all'uomo della nostra compagna…

Non faremo bando per un esercito generale, né comincieremo una nuova guerra, né stabiliremo divieti e tasse sulla terra, se non con il parere della maggior parte dei consiglieri in rapporto al numero delle persone convocate al consiglio con il suono della campana e che presenzieranno al consiglio stesso. Non imporremo tasse sul mare, se non in occasione di una guerra sul mare. E tutto ciò con l'approvazione della maggior parte dei consiglieri, come è detto; e se imporremo delle tasse, non le condoneremo ad uno, se non [lo faremo anche] a tutti…

Io da solo non farò giurare qualche testimonio nella città o nei sobborghi, o nel castello, né gli chiederò conto del giuramento che ha fatto, se non sarò con l'altro console mio socio o se sarò mandato fuori città per qualche affare che competa al mio ufficio di console…

Se troveremo un uomo in qualche parte di questa città, gli faremo giurare di essere in eterno abitatore di questa città e di venire ad abitare in Genova con la moglie e con i figli che convivono con lui nella sua famiglia, se ne avrà, e con i suoi beni mobili e questo perché sia in perpetuo abitatore di questa città, secondo la consuetudine degli altri cittadini, senza frode, ad eccezione del marchese e del conte e di quelli che abitano da Chiavari sino a Portovenere; e se troveremo qualche abitatore che compia qualche frode nella suddetta abitazione, non saremo tenuti a nulla verso di lui…

Noi non ci permetteremo né per amore, né per timore, né per odio, né per parentela, né per altra causa di non compiere tutto ciò che sopra è detto, così come è stato determinato, in tutta onestà e senza frode o animo cattivo, se potremo, salvo quello che non potremo fare per giusto impedimento divino o per dimenticanza.


b/ Del giuramento del podestà

Giuro io podestà o rettore che sarò in Sarzana, avendo fatta la santa invocazione sui santi vangeli di Dio, toccando il volume, nel primo giorno del mio incarico o nel seguente, presente il parlamento generale del detto comune di compiere il mio ufficio bene e secondo la legalità, allontanati da me odio e amore, preghiere, denaro o paura,… per giovamento, utilità e pace del comune e degli uomini di Sarzana. [Giuro] di difendere e migliorare i diritti, la pubblica giurisdizione, le consuetudini e la posizione del detto comune in buona fede e senza frode e di non sminuirli o permettere che vengano sminuiti in nessun modo o maniera.

E [giuro] di rendere giustizia ai richiedenti nelle cause civili e criminali secondo le leggi e i capitoli della detta terra.

E per rendere giustizia sarò presente ogni giorno e nell'orario prestabilito al banco della giustizia, se sarà necessario.

E darò spiegazione del mio operato ogni giorno, se qualcuno me lo chiederà.

Nel consiglio generale della detta terra con il consenso degli assessori di Sarzana, o quando sarà opportuno, farò le condanne e le assoluzioni, ogni due mesi, ed esigerò le multe, passati dieci giorni, secondo le mie possibilità, a meno che non siano prorogate con una richiesta di appello. Delle quali multe la metà toccherà al comune di Pisa e l'altra metà sarà riservata al comune di Sarzana.

Osserverò e farò osservare gli statuti, le riforme e i decreti del comune di Sarzana, presenti e futuri, purché non siano contrari a qualche statuto contenuto nel presente volume. Né consentirò che qualche statuto del detto comune sia cassato, mutato, sospeso o gli sia fatta qualche deroga in qualche atto pubblico o privato, a meno che ogni volta i detti statuti siano riconosciuti unanimamente passibili di rinnovamento. E se qualche cosa sarà fatto contro questi, non abbia alcun valore. Né intorno a questa questione impetrerò licenza di dispensa, né per me, né per altra persona; né consentirò che sia concessa questa licenza se dagli anziani di questa città non sarà stata prima impetrata tale licenza.

Manterrò nei loro diritti i pupilli, le vedove, gli orfani, gli ecclesiastici e le altre persone sottoposte alla mia giurisdizione.

Non pernotterò fuori la detta terra senza licenza degli anziani del popolo della città di Pisa.

E tutte le condanne, gli introiti e i redditi del detto comune farò pervenire nelle mani del camerario della detta terra al più presto possibile.

Né consentirò che delle sostanze del detto comune si spenda qualcosa in contrasto con gli statuti o con le riforme degli stessi statuti comunali.

Non accetterò il salario attinente al mio ufficio dal detto comune se non per il periodo in cui io effettivamente presterò servizio e non prenderò nulla di più di quello che a me tocca a seconda dello statuto.

E farò in buona fede e senza frode tutte le altre cose che saranno opportune al mio ufficio.

E starò al sindacato [2] nel tempo stabilito nelle presenti costituzioni.

Un giuramento simile sono tenuti a prestare il giudice ed il notaio riguardo ai compiti loro spettanti nel detto tempo e nel detto luogo.

[1] Tale termine originariamente era usato per indicare l'aggruppamento della popolazione genovese corrispondente ai tre nuclei urbanistici costituenti la città (il castello, la città vera e propria ed i sobborghi) al fine di salvaguardare comuni interessi economici. Verso la fine del secolo XI diventò la «compagna comune» e riunì in sé i tre nuclei precedenti, dando luogo ad un solido potere politico nell'interno della città e precedendo immediatamente l'organizzazione comunale, con cui per un certo tempo coesistette.

[2] Severo controllo a cui veniva sottoposto l'operato del podestà al termine della sua carica; per questo motivo al momento dell'assunzione al potere pagava una cauzione (per risarcire gli eventuali danni) e talvolta era costretto persino ad offrire ostaggi.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05