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Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione III – La borghesia e la vita economica

5. L'usura

La Chiesa dettò rigide norme economiche riguardo all'usura. Questo divieto è da considerare elemento soggettivamente e fortemente ostacolante per il mercante italiano, anche se non danneggiò in alcun modo, come si è detto, il rifiorire dell'economia mercantile nel XIII e XIV secolo. Si trattava tuttavia di un freno tenace di carattere morale, di un'idea forza che determinò, apparentemente, lo stile di vita della classe borghese. Tuttavia Paolo da Certaldo severamente vieta l'usura non per le condanne ecclesiastiche, ma perché chi vi fa ricorso va incontro a sicura rovina: è il solito criterio dell'utile, caratteristico dell'etica borghese, che solo superficialmente tiene conto dei dettami del cristianesimo (cfr. lettura a).

La novella del Sacchetti illustra invece, come numerose altre novelle del Trecento, la figura del predicatore che non era mai ascoltato da nessuno e che riuscì ad attirare la folla alle sue prediche soltanto annunciando una predica sul tema se il dare denari ad interesse fosse o no peccato. La tematica di questa novella dimostra come il problema dell'usura fosse sentito dagli stessi prestatori che cercavano una soluzione al loro dilemma morale (cfr. lettura b).

Fonti: a) PAOLO DI MESSER PACE DI CERTALDO, Il libro di buoni costumi, cit., pp. CXXXI-CXXXII, n. 321; b) F. SACCHETTI, Il Trecento Novelle, novella 32.


a/ … L'usura come guasta l'avere e l'onore del mondo, così guasta l'anima e il corpo. E à questa proprietà in sé l'usura che non si lascia conoscere né a quel che la fa, cioè a quel che presta, né a quel ch'acchatta, se non quando ti mostra la coda e quando con essa ti trafigge: allora conosci ciò ch'ella è e ciò che ti fa; che se tu la fai, ti toglie al di sezo [1] in questo mondo l'onore e la buona fama e nell'altro l'anima: dunque vedi com'ai ben guadagnato con lei! E se tu accatti denaro ad usura sopra terra o casa o altro pegno, non t'avvedi mai del danno tuo se non al da sezo, al fare della ragione, quando di fiorini cento che tu accatti, ti conviene pagare fiorini duecento d'oro e tutte le spese che montano per più di dieci per centinaio talora: allora t'avvedi del danno che ti fa quando rimani povero e mendico e quando ti caccia fuori delle tue case e delle tue terre o pigliati e metteti in prigione e fatti morire in prigione di fame e di vituperio. Così ti toglie anche il corpo in questo mondo e, morendo a questo modo, l'anima corre grande rischio per l'offesa che ti pare ricevere e per lo dolore e perché muori malvolentieri.

E però ti guarda quanto puoi di non prestare e di non accattare a usura né piccola somma né grande che se l'userai te ne diserterai [2] per lo modo che t'ò detto. Se tu avessi bisogno di denari, innanzi vendi la cosa per meno, che non vale dieci per centinaio se tu la impegni; però che pure di carte e di altre spese va dieci per centinaio e più. Sicché guardatene e non vi t'avanzare [3] alle piccole cose, ché mai non te ne sapresti rimanere né nelle piccole né nelle grandi somme.


b/ Un frate predicatore in terra di Toscana, di quaresima predicando, veggendo che a lui udire non andava persona, trova modo con dire che mostrerà che l'usura non è peccato che fa concorrere molta gente a lui ed abbandonare gli altri.

In una terra delle grandi di Toscana, predicandosi nel tempo di quaresima, come è d'usanza, in più luoghi, un frate predicatore, veggendo che agli altri che predicavano, come spesso interviene, andava molta gente ed a lui quasi non andava persona, disse uno mercoledì mattina in pergamo: – Signori, egli è buona pezza che io ho veduto tutti li teologi e predicatori in uno grande errore; e questo è ch'egli hanno predicato che il prestare sia usura e grandissimo peccato e che tutti i prestatori vanno a dannazione. Ed io, per quello che io posso comprendere e che io ho trovato, ho veduto che il prestare non è peccato. Ed acciocché voi non crediate che io dica da beffe o che io faccia stremi argomenti di loica [4], io vi dico ch'egli è tutto il contrario di questo ch'egli hanno sempre predicato. E perché non crediate che io dica favole, perché la materia è grande, se io averò il tempo, io ne predicherò domenica mattina e, se io non avesse il tempo, un altro dì che mi venga a taglio sì che ne anderete contenti fuori di ogni errore –.

La gente, udendo questo, chi mormora di qua e, chi borboglia di là. Finita la predica, escono dalla chiesa, la voce va qua e là; ciascuno pensa: – Che vuol dire questo? – Li prestatori stanno lieti e gli accattatori tristi e tale non avea prestato che comincia a prestare. Chi dice: – Costui deve essere un valentissimo uomo; – e chi dice che deve essere una pecora. E in breve tutta la terra aspettava la domenica mattina, la quale venuta che fu, come li popoli sono sempre vaghi di cose nuove, tutti corsono a pigliare luogo e gli altri predicatori poterono predicare alle panche. Costui aveva prima degli uditori si' radi che dall'uno all'altro avea parecchie braccia; ora v'erano si' stretti che affogava l'un l'altro e questo era quello che ehi avea desiderato…

Allora [il frate] disse: – … Voi sapete, signori, che la carità è accetta a Dio quanto altra virtù che sia o più. E la carità non è altro che sovvenire al prossimo e il prestare è sovvenimento; adunque dico che il prestare si può fare che egli è licito ed ancor più, che chi presta, merita. Ma dove sta il peccato? e dove è il peccato? è nel riscuotere e però il prestare e non riscuotere, non che sia peccato, ma egli è grandissima mercé ed essere accetto a Dio. E ancora dico più che il riscuotere si può fare con modo, che non sia peccato, ma è grandissima carità. Verbigrazia, uno presta ad un altro fiorini cento, riscuote li fiorini cento e non più; questo prestare e riscuotere è lecito e molto piace a Dio e ancora piacerebbe più se per via d'amore e di carità non si riscuotessino, ma liberamente si lasciassono al debitore. Sicché avete che l'usura sta nel riscuotere più che la vera sorta [5], perocché il peccato nel tenimento non sta nei fiorini cento, ma sta in quello che si da di più che la vera sorta; e questa piccola quantità fa perdere tutta la carità che sarebbe nei fiorini cento ed ancora il servigio bene, che averebbe fatto al buon uomo che gli accattoe, torna in cosa inlicita di restituzione… E con questo ve ne andate e gagliardamente prestate; che sicuramente potete prestare per lo modo che ho predicato e guardatevi di riscuotere e così facendo sarete figlioli del vostro padre qui in celis est.

… Corse a questa predica prestatori e chi aveva voglia di prestare e questi rimasono scherniti come meritavano; come ch'egli hanno preso tanto del campo che da loro hanno fatto un concetto che Dio non veggia e non intenda ed hanno battezzato l'usura in diversi nomi come dono di tempo, merito [6], interesso, cambio, civanza [7], baroccolo [8], ritrangola [9] e molti altri nomi, le quali cose sono grandissimo errore, perocché l'usura sta nell'opera e non nel nome.

[1] A dassezzo, alla fine.

[2] Andrai in rovina.

[3] Farvi ricorso.

[4] Logica.

[5] Denaro, capitale dato a prestito.

[6] Ricompensa.

[7] Utile, guadagno.

[8] Usura mascherata sotto forma di vendita a prezzo altissimo.

[9] Riscatto.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05