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Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione V – L'etica borghese

11. Il sentimento civico nella letteratura borghese

L'amar patrio ed il sentimento civico, propri del borghese nell'epoca comunale, sono testimoniati in genere in epoca abbastanza tarda (fine secolo XIII – secolo XIV).

Tale mancanza di documentazione, al di là di una fortuita, quanto casuale ed anche improbabile, dispersione di materiale, sembra dovuta, oltre che ad una successione pressoché continua di condizioni stanche, politiche e sociali – generali e locali – sfavorevoli all'evolversi di una tradizione letteraria cittadina, anche e soprattutto al fatto che tali sentimenti, caratteristici dell'animus borghese, vengono alla superficie soltanto quando questo nuovo ceto diventa cosciente della propria forza politica ed economica, quando i mercanti e gli operatori economici, spesso lontani dalla propria città per i propri affari, sentono nascere in sé legami di affetto e di interesse con la città natale, che ha permesso ed aiutato la loro affermazione.

Questa coscienza civica si riflette in ogni aspetto, in ogni momento della vita cittadina. Le lodi che vengono innalzate sono rivolte alle strutture urbanistiche della città (cfr. lettura a), alla serietà dei costumi (cfr. lettura b), alla solennità delle feste (cfr. lettura c), alla ricchezza degli abitanti ed alla loro operosità, al sentimento del dovere, all'organizzazione dei mestieri (cfr. letture d ed e).

Resta da sottolineare che non sempre alla città sono rivolte lodi; talvolta l'ardore delle passioni che dilaniavano la città, il rimpianto temporis acti (che trovò il suo massimo esponente in Dante) fanno contrapporre alle cronache sobrie e tutto amore per la gloria della propria città scoppi di violento biasimo contro i propri concittadini e contro le magistrature comunali, come ben si può osservare nello scritto di un anonimo astigiano (cfr. lettura f) in chiara ed aperta polemica con la cronaca di Ogerio Alfieri, di cui si sono riportate alcune parti nella lettura e.

Fonti: a) G. DATI, L'istoria di Firenze dal 1380 al 1405, a cura di L. PRATESI, Firenze, B. Seeber, 1904, pp. 140-142; b) G. VILLANI, Historie fiorentine, cap. LXX; c) G. DATI, op. cit., n. 117, pp. 90-91; d) G. VILLANI, Historie fiorentine, cap. XCIII ; e) Codex Astensis qui de Malabayla communiter noncupatur, a cura di P. VAYRA e Q. SELLA, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1887, vol. II, p. 66; f) Ivi, vol. I, p. 59.


a/ L'ordine della città è diviso principalmente in quattro parti e ciamansi quartieri: il primo di Santo Spirito, il secondo di Santa Croce, il terzo quello di Santa Maria Novella, il quarto quello di Santo Giovanni. Ciascuno quartiere è diviso per quattro gonfaloni che sono in tutto sedici e ogni gonfalone ha il suo segno.

Appresso v'è l'ordine delle Arti che sono partite in venti una, i nomi delle quali è buono a sapere per molte cose che hanno a seguire per meglio intendere. La prima è l'Arte dei Giudici e Notai e questa ha un proconsole sopra i suoi consoli e reggesi con grande autorità e si può dire essere il ceppo della ragione di tutta la notaria che si esercita per la cristianità e indi sono stati grandi maestri e autori e compositori d'essa. La fonte dei dottori delle leggi è Bologna e la fonte dei dottori della notaria è Firenze; il detto proconsole ha di salario ogni mese fiorini 25.

Merciai. Appresso è l'Arte dei Mercatanti che trafficano in grosso fuori di Firenze che niuna altra città ne potrebbe dei suoi tanti annoverare quanti sono il numero di quelli.

Cambio. La terza è l'Arte dei Cambiatori, che si può dire l'arte del cambiatore per tutto il mondo, sia quasi tutta nei fiorentini, che per tutte le città buone di mercanzia tengono fattori a fare cambi.

Lana. La quarta è l'Arte della Lana e più panni e più fini si fanno in Firenze che in alcun altro luogo del mondo e i suoi maestri sono grandi e onorati cittadini e sanno fare.

Seta. La quinta è l'Arte della Seta e dei drappi d'oro e di seta e degli Orafi, della quale si lavora meglio in Firenze il damasco che in Romània e Venezia o Lucca o Bologna o altre terre del mondo: i drappi di Firenze vantaggiamo tutti gli altri.

Speziali. La sesta è l'Arte degli Speziali e dei Medici e Merciai e borsai e barbieri ed è grande Arte in numero di persone.

Vaiai. La settima è quella dei Vaiai e pellicciai e insino a qui si ciamano le sette maggiori arti.

Poi sono le 14 le quali si ciamano Arti minori, ciascuna è distinta e ordinata secondo la sua faccenda: cioè linaioli, rigattieri, calzolai, fabbri, pizzicagnoli e beccai, vinattieri, albergatoi, coreggiai, coiai, calzatoli, corazzai, maestri di murare, maestri di legname e fornai; e alle sopraddette 14 Arti sono appiccate a ciascheduna più altri artefici, che per loro non arebbono arte, e per avere ricorso ai loro bisogni e ancora per acquistare il consolato essi artefici s'appiccano come è detto di sopra.


b/ … Al tempo di detto popolo [1260] i cittadini di Firenze vivevano sobrii e di grosse vivande e con picciole spese e di molti costumi grossi e rudi e di grossi drappi vestivano loro e le loro donne; e molti portavano le pelli scoperte, senza panno, con berrette in capo e tutti con usatti [1] ai piedi; e le donne fiorentine senza ornamenti e passatasi [2] la maggior donna d'una gonnella assai stretta di grosso scarlatto[3], cinta ivi su d'uno scheggiale [4] all'antica e uno mantello foderato di vaio col tassello [5] disopra e portavanlo in capo; e le donne della comune foggia vestivano d'un grosso verde di cambrasio[6]. Per lo simile modo e usavano di dare in dote cento lire la comune gente e quelle che davano alla maggioranza duecento o sino in trecento lire era tenuta senza modo gran dota; e la maggior parte delle pulzelle che n'andavano a marito avevano venti anni o più. E di così fatto abito e costume e grosso modo erano allora i Fiorentini con loro leale animo e tra loro fedeli e molto volevano vedere lealmente esporre le cose del comune…


c/ Della festa di San Giovanni Battista

Quando ne viene il tempo della primavera, che tutto il mondo rallegra, allora i fiorentini cominciano a pensare di fare bella festa per santo Giovanni, che è poi a mezza la estate, e di vestimenti e di ornamenti e di gioie e ciascuno si mette in ordine a buon'otta; chiunque ha a fare conviti di nozze o altra festa, gli giova in quel tempo di fare onore alla festa. Due mesi innanzi si comincia a fare il palio e le vesti dei servidori e i pennoni e le trombette e i pali del drappo che le terre accomandate e del comune donano per censo e i ceri e altre cose che si debbono offrire, e invitare genti, e procacciare cose per conviti, e venire cavalli per correre il palio, e tutta la città si vede in faccende per lo apparecchiamento della festa questo tempo e gli animi dei giovani e delle donne che stanno in tali pensamenti non restano intanto i dì delle feste, che sono innanzi insino al dì della vigilia di Santo Giovanni (come per santo Zenobio e per l'Assunzione e per lo Spirito Santo, per la santa Trinità e per la festa del Corpo di Cristo), di fare tutte quelle cose che l'allegrezza e gli animi pieni di letizia dimostrano: ballare e sonare e cantare e conviti e giostre ed altri giucchi leggiadri che pare niuna cosa s'abbia a fare…

Giunti al dì della vigilia di santo Giovanni, la mattina di buon'ora tutte le Arti fanno la mostra fuori alla porta delle loro botteghe di tutte le ricche cose ed ornamenti e gioie; quanti drappi d'oro e di seta si mostrano che adornerrebono dieci reami, quante gioie e cose d'oro e d'argento e capoletti [7], tavole dipinte e intagli mirabili e cose che s'appartengono a fatti d'arme, sarebbe lunga cosa raccontare per ordine.

…appresso per la terra così adorna, in sull'ora della terza si fa una solenne processione di tutti i chierici e preti, monaci e frati, che son gran numero di regole. … Poi, doppo mangiare, e alquanto passato il caldo di mezzogiorno, circa all'ora del vespro, tutti i cittadini sono radunati ciascheduno sotto il suo gonfalone, i quali sono sedici gonfalonieri e per ordine primo, secondo e così succedendo vanno l'uno gonfalone drieto l'altro e ciascuno gonfalone ha tutti i suoi cittadini innanzi a due e due, i più antichi e più degni e così seguendo insino a' garzoni, i quali sono coperti di zendadi [8], riccamente vestiti, a offrire alla chiesa di Santo Giovanni un torchietto di cera di libbre uno per uno in mano… e fatta l'offerta ciascun cittadino si torna a casa a dare ordine per la mattina seguente.

La mattina di Santo Giovanni chi va a vedere alla piazza dei signori, gli pare vedere una cosa trionfale, magnifica e meravigliosa che appena l'animo vi basta. Sono intorno alla gran piazza cento torri che paiono d'oro, portate quale con carretta e quale con portatori, i quali si chiamano ceri, fatti di legname e di carte e di cera e d'oro, colorati con figure rilevate e voti dentro; entro vi stanno uomini che fanno volgere di continuo e girare quelle figure; quivi sono uomini a cavallo correndo l'uno dietro l'altro, quali sono giovani armeggiando a cavallo, quali sono pedoni e quali sono donzelle che danzano a rigoletto [9] e in su e si sono scolpiti animali e uccelli di diverse regioni, alberi, pomi e tutte cose che hanno dilettevole il vedere…

Poi doppo mangiare e passato il meriggio… ne vanno in quei luoghi dove hanno a passare i corsieri che corrono il palio, i quali passano per una via diretta piena di fiori; vi sono le donne con ricche gioie e ricchi adornamenti della città e con gran festa e sonvi sempre molti signori e cavalieri e gentili uomini ché ogni anno molti delle terre circostanti vengono a vedere la bella festa e evvi tanta gente che pare cosa mirabile a forestieri e cittadini… Di poi, al suono dei tre tocchi della campana grossa del Palagio dei Signori i corsieri apparecchiati alle mosse si muovono a correre… venuti di tutti i confini d'Italia i più vantaggiosi corsieri barbareschi del mondo e il primo che giunge guadagna il palio.


d/ … In questi tempi [fine secolo XIII] avea in Firenze circa a venticinquemila uomini da portare arme da quindici in settantanni…

Le botteghe dell'arte della lana erano duecento e più e facevano da settantamila in ottantamila panni di valuta di più di mille duecento migliala di fiorini d'oro; che bene il terzo e più rimaneva nella terra per ovraggio [10], senza il guadagno dei lanaioli. Del detto ovraggio viveano più di trenta mila persone.

Ritrovammo che da trenta anni addietro erano trecento botteghe o circa e faceano per anno centomila panni, ma erano più grossi e della metà valevano però ch'allora non ci entrava e non sapevano lavorare lana d'Inghilterra, come hanno fatto poi.

I fondachi dell'Arte di Calimala di panni franceschi e oltramontani erano da venti che facevano venire per armo più diecimila panni di valuta di più di trecentomila fiorini d'oro che tutti si vendevano in Firenze senza quelli che mandavano fuori di Firenze. E avevano banchi di cambiatori da ottanta. La moneta dell'oro batteva per anno trecentocinquantamila fiorini d'oro, talora quattrocento mila e di denari da quattro più di ventimila libbre.

Le botteghe dei calzolai e pianellai e zoccolai erano da trecento in più. Il collegio dei giudici da ottanta a cento. I notai da seicento, medici, fisici e cerusici da sessanta e botteghe di speziali erano da cento. Mercatanti e merciai grande numero da non potere bene stimare per quelli che andavano fuori da Firenze a mercantare e molti altri artefici di più mestieri, maestri di pietra e di legname, aveva allora Firenze centoquarantasei. E troviamo per la gabella della macinatura e per li forni che ogni dì bisognava alla città dentro centocinquanta moggia di grano, onde si può stimare quello bisognava l'anno, non contando che la maggior parte degli agiati e ricchi e nobili cittadini con loro famiglie più di quattro mesi, e tali più dell'anno, stavano in villa in contado. Troviamo che intorno gli anni 1280, che era la città in felice e buono stato, ne voleva la settimana da ottocento moggia. Di vino troviamo per la gabella della porta v'entrava l'anno da cinquantacinque migliala di cogna [11] e in abbondanza talora più di diecimila cogna. Bisognava l'anno quattromila tra buoi e vitelli. Castroni e pecore sessantamila. Capre e becchi ventimila…


e/ [Sulla città di Asti]

44 Nell'anno del Signore 1280 la città di Asti per grazia divina fu quasi interamente ricostruita, piena di ricchezze, cinta da buone mura e quasi tutta occupata da molti edifìci, torri, palazzi e nuove case.

45 Ugualmente la città di Asti è ornata di sapienti e nobili cittadini, ricchi e potenti.

E la città di Asti è ornata di un popolo saggio e onesto e colmo di ricchezza che volentieri custodisce i beni e l'onore del comune astigiano.

E la città di Asti è ornata di bellissime donne coperte di ornamenti di oro e di argento e di vesti pregiate, le cui ghirlande l'oro e d'argento sono ricche di perle e di pietre preziose.

E la città di Asti è ornata di borghi così numerosi che quasi circondano completamente la città.

46 E la città di Asti è ornata dei nuovi ordini religiosi per tutto il suo circuito.

47 E la città di Asti è ornata di frumento e di buon vino, anzi ottimo, e di tutti gli altri prodotti necessari alla vita.

48 E la città di Asti ha in case, terre e possedimenti una denuncia catastale che ammonta a cinquemila lire.

49 E la città di Asti ha una somma di duemila e più lire di beni mobili nella denuncia catastale fatta su ordine di Manfredi Pelletta e compagni, compresi nella città e nei borghi vicini alla città.

50 E la città di Asti può raccogliere tra la cittadinanza centosessanta cavalieri, forniti di un cavallo o di una cavalla.


f/ [Sulla città di Asti]

E nella città di Asti ci sono e vi abitano alcuni uomini sapienti, anche abbastanza ricchi; tutti pieni di falsità, di astuzie e di inganni; con questa astuzia ed ignavia sono capaci di trasformare il bene in male ed il male in bene, il falso in vero ed il vero in falso. Costoro talvolta fingono di agire per il bene del comune ed invece agiscono per meglio prendere e rubare, nella quasi totalità, tutte le ricchezze del comune. Costoro sono quelli che si impegnano animo e corpo per ottenere il danno e la rovina del comune di Asti e di costoro molti già andarono in rovina e così i loro figli, dopo di loro, fallirono ed andarono incontro alla più forte povertà.

E nella città di Asti abitano alcuni popolari malandrini, che frequentano i consigli del comune perché aspirano a divenirne rettori, ambiscono di avere le cariche comunali per poter meglio rubare le ricchezze del comune e operare per il danno e la rovina del comune astigiano. E di costoro molti si trovano in difficoltà economiche perché amano troppo il vino ed i cibi pesanti ed abbondanti e molti già andarono in rovina ed i loro figli ugualmente fallirono e sono rovinati.

[1] Sorta di stivali in cuoio pesante.

[2] Era soddisfatta.

[3] Ruvido panno tinto in color scarlatto.

[4] Fibbia.

[5] Ampio bavero.

[6] Ruvida tela di cotone di Cambray (Francia).

[7] Arazzi, drappi che si appendevano a capo dei letti.

[8] Veli finissimi di seta.

[9] Danza in tondo.

[10] Per il pagamento della manodopera.

[11] Dal latino congium, barile. Misura per liquidi.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05