Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Fonti > L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale > V, 3

Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione V – L'etica borghese

3. La concezione borghese della donna

Non inutilmente i Padri della Chiesa avevano tuonato contro la donna, essenza di ogni male (si ricordi San Gerolamo per cui la donna è la porta del demonio, la via della perfidia, l'aculeo dello scorpione). Non è raro trovare nelle fonti medievali invettive contro la femmina o avvertimenti di starne lontani in quanto la donna e la facile esca per ogni vizio ed è un focolaio di mali (cfr. la matricola dei giureconsulti di Padova nella lettura a).

La tradizione cristiana introdusse nel modo di considerare la donna anche un'altra visione, sostanzialmente diversa: la donna pia e caritatevole, la moglie e la madre duttile di fronte alle esigenze del padre di famiglia, che ha il dovere di proteggere la sua naturale fragilità (cfr. lettura g). Il ritratto ideale di una donna borghese è quello della madre di Fra Salimbene da Parma, sfocato nei caratteri fisici ma preciso nei presupposti teorici (cfr. lettura b), e quello di Mea, la sorella del cronista Giovanni Morelli, mercante e gonfaloniere di giustizia di Firenze, elegantemente ritratta dal fratello, che ne mise sapientemente in risalto le caratteristiche fisiche e morali. Le prime, mediate da quelle di Elena, l'eroina dell'Istorietta troiana, romanzo popolare di larga diffusione nella Toscana del Tre e del Quattrocento, risentono quindi delle reminiscenze tipiche della cultura medievale. Nelle sue qualità morali risiede invece la vera originalità del personaggio di Mea: è la perfetta sposa di un uomo d'affari, capace di dirigerne la casa (cfr. lettura c). Queste doti, apprezzate dallo spirito borghese, sono sottolineate anche da Paolo di Certaldo (cfr. lettura d, e, f), che insiste particolarmente sulla soggezione in cui devono essere tenute le donne di casa e sul cauto riserbo che l'uomo deve adottare quando vuole cercarsi una donna fuori casa: tanto più – aggiunge Paolo di Certaldo – che veramente non merita di andare incontro al disonore, ad uno sciupio di denaro, o se non altro, ad una perdita di tempo, in quanto «tutte sono femmine e tutte sono fatte ad un modo»!

Fonti: a) E. BESTA, Le persone nella storia del diritto italiano, Padova, Cedam, pp. 133-134; b) SALIMBENE DA PARMA, Cronica cit., p. 77; c) GIOVANNI DI PAGOLOMORELLI, Ricordi, a cura di V. BRANCA, Firenze, Le Monnier, 1956, p. 178; d) PAOLO DI CERTALDO, Il libro di buoni costumi cit., p. LXXVII, n. 126; e) Ivi, p. LXXXT-LXXXII, n. 135; f) Ivi, p. LVII, n. 59; g) G. PISTARINO, Testi per lo studio del Medio Evo in Liguria, Genova, Bozzi, s.d., pp. 245-246 (dagli statuti di Taggia 1381).


a/ Che cos'è una donna? Confusione dell'uomo, bestia non socievole, continua preoccupazione, battaglia senza pausa, danno quotidiano, casa della tempesta, impedimento al ben provvedere, naufragio dell'uomo incontinente, vasodi adulterio, guerra continua, animale pessimo, serpe insaziabile, schiavitù umana.


b/ Mia madre fu donna Imelda, donna umile e devota a Dio, dedita ai digiuni e generosa nelle elemosine ai poveri.

Non fu mai vista in collera, non percosse mai di propria mano una sua ancella.

Per amore di Dio durante l'inverno sempre era solita tenere in casa una qualche donnetta povera delle montagne, perché svernasse con lei, a cui dava vitto ed indumenti, nonostante avesse serve che facevano i lavori di casa.


c/ Questa [Mea] fu di grandezza comune, di bellissimo pelo, bianca e bionda, molto ben fatta della persona, tanto gentile che cascava di vezzi. E fra l'altre adornezze de' suoi membri, ell'avea le mani come di vivorio, tanto bene fatte che pareano dipinte pelle mani di Giotto: ell'erano distese, morbide di carne, le dita lunghe e tonde…, l'unghie d'esse lunghe e ben colme, vermiglie e chiare…

E con quelle bellezze rispondeano le virtù, che di sua mano ella sapea fare tutto ciò ch'ella voleva, che a donna si richiedesse; e' in tutte sue operazioni virtuosissima, nel parlare dilicata, piacevole, con atto onesto e temperato, con tutte effectuose parole: baldanzosa, franca donna e d'animo virile, grande e copiosa di tutte virtù.


d/ La femina è chosa molto vana e leggiera a muovere e però quand'ella sta sanza il marito sta a grande pericolo. E però se ai temine in chasa, tielle a presso il più che tu puoi e torna spesso in chasa e provedi i fatti tuoi e tielle in tremore e in paura tuttavia. E fa sempre ch'abiano che fare in chasa e non si stieno mai, ché stare la femina e l'uomo ozioso è di grande pericholo, ma più è di pericholo a la femina.


e/ Guardati non t'innamori di femina niuna se non è tua moglie e pensa che tutte sono temine e tutte sono fatte a uno modo; e però non porre più amore a l'una ch'a l'altra, che troppo è grande pericholo. In però che tutti i grandi disonori, vergongnie, pecchati e spese s'aquistano per femine; e aquistansene le grandi nimistà e perdonsene le grandi amistadi. E però lascia stare le femine altrui e tolgli di quelle che di conchordia troverai, sanza dispiacerne a persona.


f/ Tenera chosa è nelle femmine la fama della chastità e chome fiore bellissimo; e però sempre ti guarda tu, femmina, di non chorrere per tuoi mali atti o chostumi in mala femmina, ché troppo ti fia malagievole a uscirne.


g/ Delle pene per coloro che abbiano abbandonato o scacciato la moglie.

Se qualche marito, dopo aver sposato una donna e aver vissuto con lei in una sola casa, senza causa, che mi possa parere giusta, l'avrà abbandonata e non l'avrà trattata da buon marito, se verrà fatta denuncia davanti a me e se entro dieci giorni, da quando sarà stato da me rimproverato, non la richiamerà e non la tratterà da buon marito nel talamo e nella mensa e nelle altre necessità, a seconda dei suoi mezzi, io chiamerò la moglie e crederò al suo giuramento intomo alle predette cose, a meno che non sia una donna di cattiva e disonesta reputazione.

E se avrà giurato che il marito contro la mia ammonizione avrà agito, assegnerò alla stessa donna metà del patrimonio del marito e le farò dare il pieno possesso dei beni del marito; e poi, in quanto la donna rimarrà senza marito, costringerò il marito a darle gli alimenti secondo i suoi mezzi.

Tuttavia non sia costretto entro i sei mesi ad un rapporto carnale. Passati poi i sei mesi, se continuerà a non accoglierla nel talamo, incorra nella sopraddetta pena, a meno che non possa provare con giuramento la sua impossibilità fisica.

Se poi raccoglierà entro i dieci giorni dopo la mia ammonizione, riceverò da lui come pegno la dote, perché non la scacci nuovamente senza una giusta causa e perché la tenga e la tratti come è detto sopra. Di tutte le cose predette verrò informato con giuramento dalla moglie.

Nello stesso modo sia punito il padre del marito, se permetterà che il figlio scacci la moglie e questo sia valido per i padri che hanno il figlio in tutela e che tengano la dote della nuora.

E tutte le cose predette abbiano valore e debbano essere fatte nel caso il marito abbia già riscosso la dote o il padre per lui.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05