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Didattica > Fonti > L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale > VI, 5

Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione VI – Momenti di vita familiare borghese

5. La dote

L'istituto dotale, caduto in disuso nell'alto medioevo, riacquistò una grande importanza dalla prima metà del secolo XII, mentre nascevano e si affermavano i comuni, e diventò di uso normale e frequente dalla seconda metà del secolo XII, in concomitanza con il nascere e lo sviluppo del ceto borghese. L'entità della dote era naturalmente molto varia, dipendendo essa dalla condizione familiare della sposa e dello sposo. La moglie conservava la proprietà della dote, ma il marito ne diveniva l'amministratore. Per tutto il periodo comunale perdurò viva la coscienza che la dote doveva servire «per affrontare gli oneri del matrimonio». La dote non sempre veniva corrisposta subito per intero: la mancanza di disponibilità di denaro faceva sì che sovente la dote pattuita fosse corrisposta a rate.

Fonti: a) Codex Astensis qui de Malabayla communiter noncupatur, ed. Q. SELLA, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1887, vol. II, p. 268, doc. 209; b) G. ROSSO, Documenti sulle relazioni commerciali fra Asti e Genova (1182-1312), in «Biblioteca della Società Storica Subalpina», LXXII, Torino, Deputazione Subalpina di Storia Patria, 1913, pp. 120-121, doc. CCCXXXIX.


a/ Nell'anno del Signore 1208, indizione undecima, l'11 aprile, alla presenza dei testimoni sotto indicati, piacque alla signora Gaslia dare in moglie la propria figlia Richelenda al figlio di Aicardo del fu Enrico di Veneis, di nome Bandraco, con una dote di ventisette lire astesi, delle quali Aicardo e Bandraco incassarono venticinque lire; la rimanenza verrà versata in beni entro i prossimi sei anni ed il detto Bandraco deve sposare Richelenda.

Inoltre i detti Aicardo e Bandraco promisero di dare a Richelenda ogni anno tre moggi, metà di vino e metà di grano.

E se dovesse avvenire che non andassero d'accordo o che morissero entro i detti termini, devono restituire quindici lire e per questo motivo diedero in garanzia una parte di una loro vigna affinché la potesse tenere sino al pagamento delle quindici lire…


b/ Noi Giliomo di Asti, figlio del fu Ansaldo di Giliomo, e Signorile promettiamo e ci impegniamo con te Ribaldo di Rivo di dare e versare a te o ad un tuo sicuro procuratore cinquanta lire genovine a titolo di dote e come dote di Sibilla, sorella del detto Giliomo e figlia di Signorile, sposa e moglie tua entro i detti termini, cioè io, detta Signorile, [darò] dieci lire genovine ed io, detto Giliomo, quindici lire genovine entro il prossimo mese di settembre a patto che tu entro questo termine debba prendere in moglie la detta Sibilla, a meno di un giustificato impedimento di Dio e per nostro permesso.

Ugualmente io Giliomo prometto di darti e versarti dieci lire genovine per la prossima festa di San Michele dell'anno prossimo. Ugualmente altre quindici lire nel prossimo anno. Se poi dovesse esserci qualche deroga alle cose predette,e ogni qual volta avvenisse questa deroga, promettiamo di darti il doppio come pena per ogni danno e spesa a te consequenti e impegniamo tutti i nostri beni, quelli che possediamo e quelli che possederemo, promettendo di mantenere ed osservare tutte le cose suddette ciascuno di noi per proprio conto, rinunciando ad ogni nostro diritto ecc. e alla legge che stabilisce ciò a cui sono impegnati i fideiussori ed i concedenti le doti, nonostante tu ti sia dichiarato soddisfatto e pagato nella carta di dote della detta Sibilla ed io, detta Signorile, in modo particolare, rinunciando al diritto dell'ipoteca ed al senato consulto velleiano [1], facendo queste cose per consiglio di Robaldo drappiere e di Pergamo, mio genero, che qui chiamo a testimoni ecc. Furono testimoni Robaldo drappiere e Pietrobono drappiere e Merlo de Curlo e Pergamo.

Atto rogato in Genova nella casa di Guglielmo di Ravera nella quale abita Signorile, madre della detta Sibilla, il 12 luglio 1226 dopo il vespro.

[1] Si tratta di un decreto del senato di Roma nel periodo imperiale che considerava nulli gli obblighi finanziari assunti da donne a nome di terzi.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05