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Didattica > Fonti > Pisa e il Mediterraneo > Indice > Parte IX

Fonti

Pisa e il Mediterraneo

Antologia di fonti scritte, dal secolo IV alla metà del secolo XII
scelte da Michele Campopiano e Catia Renzi Rizzo

© 2005 - Michele Campopiano e Catia Renzi Rizzo per “Reti Medievali”


IX
Pisa, la Reconquista e la I Crociata

(A) Gesta Triumphalia per Pisanos facta de captione Hierusalem et civitatis Maioricarum et aliarum civitatum et de triumpho habito contra Ianuenses, in Gli Annales Pisani di Bernardo Maragone, a cura di M. Lupo Gentile, Bologna 1930 (Rerum Italicarum Scriptores, VI/2), pp. 89-96, p. 89.
(B) Anne Comnène, Alexiade. Règne de le l'empereur Alexis I Comnène, 1081-1118 , text établi par B. Leib, 4 Voll., Paris 1967-1989, III, XI, 10, 1-6, pp. 41-44 ; traduzione italiana di M.C.
(C) Monachus Anonymus Littorensis, Historia de translatione Sanctorum Magni Nicolai, terra marique miraculis gloriosi, ejusdem avunculi, alterius Nicolai, Theodorique, martyris pretiosi, de civitate Mirea in Monasterium S. Nicolai de littore Venetiarum, in Recueil des Historiens des Croisades, Historiens Occidentaux, V, Paris 1895, pp. 253-292, pp. 257-259.
(D) Historia Compostellana, ed. E. Falque Rey, Turnholti 1988 (Corpus Christianorum. Continuatio Medievalis, LXX), I, 103, p. 175.

La spedizione pisana in appoggio ai crociati si svolse sotto la guida di Daiberto, arcivescovo della città e legato pontificio. La flotta, composta da 120 navi, salpò probabilmente nell'autunno del 1098, svernò verosimilmente nell'Italia meridionale e prese nel 1099 Leucade e Cefalonia, perchè le due isole -secondo le fonti pisane- avevano ostacolato il pellegrinaggio gerosolimitano (A). Si trattò presumibilmente di spedizioni volte a indurre i Bizantini a trattare in modo adeguato crociati e pellegrini, ma assai diverso fu lo svolgimento dei fatti secondo Anna Comnena. La principessa bizantina, decisamente ostile ai Pisani, dei quali sottolinea la barbaritas, racconta infatti che essi avevano aggredito Leucade, Cefalonia, Corfù e Zante per fare bottino e si erano poi scontrati con una flotta greca allestita dall'imperatore per combatterli (B). La flotta pisana giunse in Siria nel settembre del 1099, dopo la presa di Gerusalemme ad opera dei crociati, fu impegnata nell'assedio di Laodicea e in seguito in quello di Ğabala (Gibellum). Daiberto fu eletto patriarca di Gerusalemme nel Natale del 1099.

Come le precedenti grandi spedizioni contro i Saraceni, la partecipazione alla I Crociata sembra essersi svolta nello stesso clima di entusiasmo e di partecipazione civica che aveva caratterizzato le imprese precedenti e ha lasciato una traccia profonda nella produzione cronachistica pisana. In questo contesto va probabilmente inquadrata una notizia riportata nel racconto anonimo della traslazione delle reliquie di S. Nicola (C). La fonte veneta, che narra di uno scontro davanti a Rodi tra la flotta veneziana e una parte di quella toscana, racconta infatti che i Pisani inalberavano sulle loro navi insegne imperiali, ritenendosi signori della terra.

I Pisani parteciparono anche a scontri tra cristiani e musulmani in Spagna. A parte l'insuccesso della spedizione di Valenza (1092), del quale tacciono le fonti pisane, occorre ricordare la collaborazione con i Galiziani tra il 1115 e il 1125, di cui narra la Historia Compostellana (D). A quanto narra la fonte ispanica, fu l'arcivescovo di Santiago, Diego Gelmírez, a rivolgersi alle città italiane, inviando messi a Pisa e a Genova, per ottenere aiuto nella costruzione di imbarcazioni e nelle tecniche di navigazione. Il cronista evidenzia l'eccellenza dei navigatori italiani, paragonandoli a Palinuro, nocchiero di Enea.


(A) Anno igitur Dominice Incarn. millesimo nonagesimo nono, Ecclesie Romane presidente D. Papa Urbano II, Pisanus populus in navibus centum viginti ad liberandam Ierusalem de manibus Paganorum profectus est, quorum rector et ductor Daibertus Pis. Urbis Archiep. extitit, qui postea Ierosolimis factus Patriarcha remansit. Proficiscendo vero Lucatam et Cefaloniam urbes fortissimas expugnantes expoliaverunt, quoniam Ierosolimitanum iter impedire consueverant. In eodem autem itinere Pisanus exercitus Maidam, urbem fortissimam, cepit et Laudociam cum Boamundo et Gibellum cum ipso et Raimundo Comite S. Egidii obsedit. Inde igitur digressi, venerunt Ierosolimam, que anno millesimo centesimo a Christianis capta fuit et retenta fuit; ibique Pisani morantes per aliquantum temporis, et inopem urbem rehedificantes ad propria regressi sunt.

Gesta Triumphalia per Pisanos facta de captione Hierusalem et civitatis Maioricarum et aliarum civitatum et de triumpho habito contra Ianuenses, in Gli Annales Pisani di Bernardo Maragone, a cura di M. Lupo Gentile, Bologna 1930 (Rerum Italicarum Scriptores, VI/2), pp. 89-96, p. 89.


(B) Quando i Franchi partirono per Gerusalemme per conquistare le città della Siria, fecero grandi promesse al vescovo di Pisa, se li avesse aiutati nell'obiettivo da essi stabilito; egli fu persuaso dai loro discorsi e invitò gli altri due colleghi della costa a fare la stessa cosa (…) armò circa novecento tra biremi, triremi, dromoni e altre navi veloci, e part come per andare verso i Franchi di Siria. Ma separ una parte di queste navi e le inviò per bottino verso Corfù, Leucade, Cefalonia e Zante.

Venendo a conoscenza di queste cose, l'imperatore ordinò a tutte le province dell'impero romano di fornirgli navi, ne allestì buona parte nella stessa città imperiale e talvolta, salendo su una monère, suggeriva ai lavoranti come occorresse approntarle.

Sapendo i Pisani esperti della guerra sul mare e temendo la battaglia con essi, allestì su ogni prora di nave delle teste di leone e di altri animali terrestri, di bronzo o ferro, con le bocche aperte, coprendole d'oro affinchè si mostrassero spaventose alla sola vista; quanto al fuoco che doveva essere lanciato dai tubi contro i nemici, egli dispose che fosse fatto passare attraverso le gole dei leoni e degli altri animali, affinchè sembrasse che lo vomitassero.

Dopo aver fatto questi preparativi, egli chiamò Tattichio, appena giunto da Antiochia, e dopo avergli affidato tali navi, lo nominò capo illustrissimo; invero affidando a Landolfo l'intera flotta, lo promosse gran duca in quanto miglior esperto nelle battaglie navali. Lasciarono quindi la capitale nel mese d'aprile e con la flotta romana raggiunsero Samo e, avendo accostato le navi alla spiaggia, sbarcarono sul continente per rafforzarle maggiormente con il bitume.

Avendo appreso del passaggio della flotta pisana, tolsero le ancore e li rincorsero verso Cos. E mentre i Pisani vi arrivarono di mattina, essi la raggiunsero alla sera. Non avendo incontrato i Pisani, si diressero verso Cnido, situata presso l'Anatolia. Giungendo colà mancarono la loro preda e, avendo trovato pochi Pisani ivi abbandonati, chiesero dove fosse andata la flotta pisana: essi risposero verso Rodi. E tolte immediatamente le ancore le piombarono addosso molto rapidamente tra Patara e Rodi. I Pisani, avendoli visti, si disposero immediatamente in ordine di battaglia, non solo affilando le spade ma infiammando anche i cuori per il combattimento. Quando sopraggiunse la flotta romana, un conte del Peloponneso, chiamato Perichytes, il quale sapeva navigare benissimo, fece forza sui remi scagliando la sua monre contro di loro. Passò in mezzo a questi come un fulmine, poi ritornò verso la flotta romana, che non si schierò ordinatamente in battaglia, ma li attaccò rapidamente e senza ordine.

Landolfo in persona per primo attaccò le navi pisane ma lanciò il fuoco maldestramente e non ottenne null'altro che disperderlo. Allora il conte Eleemone attaccò audacemente una nave grandissima da poppa, incorrendo nei suoi timoni e, non potendo muoversi facilmente da l, sarebbe stato preso se non avesse fatto prontamente uso dell'equipaggiamento, gettando con abilità il fuoco contro i Pisani. Poi, portando audacemente la sua nave contro un'altra, incendiò tre delle più grandi imbarcazioni dei barbari.

Contemporaneamente anche una tempesta improvvisa piombò sul mare, sfracellò le navi e minacciò di sommergerle in un solo colpo (l'onda rumoreggiò, le antenne e le vele si squarciarono); i barbari, da un lato terrorizzati dal fuoco gettato (né erano abituati a tali armi: il fuoco, il quale per natura si muove verso l'alto, veniva invece scagliato ovunque volesse il lanciatore, sovente verso il basso o ai lati), dall'altro scompigliati dalla tempesta, presero la via della fuga.

Mentre tali erano i propositi dei barbari, la flotta romana approdò in un'isoletta chiamata Seutlo. Fattosi giorno, se ne andarono di lì e approdarono a Rodi. Quindi, sbarcati dalle navi quanti avevano fatto prigionieri, tra i quali c'era lo stesso nipote di Boemondo, per spaventarli dissero loro che volevano venderli o sgozzarli tutti. Allorchè li videro impassibili a ciò, non tenendo in alcun conto i vantaggi della vendita, subito ne fecero scempio con le spade.

Quelli della flotta pisana che erano riusciti a fuggire si diedero a saccheggiare le isole che si trovavano in quella zona e Cipro; Philokale Eumathio, trovandosi lì, si precipitò contro di loro. Quelli sulle navi, presi dalla paura, non curandosi della schiera sbarcata per il bottino, ma avendone abbandonato la maggior parte sull'isola, dopo aver levato le ancore salparono disordinatamente per Laodicea nell'intenzione di raggiungere Boemondo. E appena giunti lo andarono a trovare, dicendo di stringere alleanza con lui, ed egli, come suo solito, li accolse con gioia.

Quanto a quelli che erano stati abbandonati sulla spiaggia per il saccheggio, tornati indietro, non vedendo più la loro flotta, si gettarono in mare per la disperazione e annegarono.

Anne Comnène, Alexiade. Règne de le l'empereur Alexis I Comnène, 1081-1118 , text établi par B. Leib, 4 Voll., Paris 1967-1989, III, XI, 10, 1-6, pp. 41-44 ; traduzione italiana di M.C.


(C) Omnibus ergo counitis et in servitio Dei confirmatis, nuntiatum est Pisanorum classem adesse contra eos, armatam et praeparatam in praelium, qui in tantum superbiae fastum ascenderant, quod navim imperialem et signa imperialia sibi fecerant, et seipsos totum mundum devincentes appellabant. Venetici vero, oculo discretionis vigilantes, cum consilio, ne post factum paeniteant, cuncta facientes, legatos eis satis humiliter rogando miserunt, ut a damnis et opprobriis, quae et Graecis et Veneticis inferebant, cessarent, atque ut boni christiani et peregrini pacifici transmearent. Illi autem, hoc audire dedignantes, dixerunt se, sicut dominos terrae, quocumque vellent, ad eorum dedecus, ituros, et in portum, ubi hiemabant, ipsis nolentibus, etiam intraturos. Quorum praesumptione audita, Venetici subito de terra classem in aequora trudunt, et, dimissis in portu reliquis, cum triginta tantum armatis navibus, contra quinquaginta obviam illis, imperialia signa usurpantibus, procedunt. Quid plura? Inito certamine, prius illi adeo minaces, praecedentibus tantum quatuor Veneticorum navibus superati, ferocitatem et impetus usurpationem amiserunt, in tantum quod de quinquaginta navibus eorum, viginti duae vix, nocte superveniente, liberatae, aliis omnibus sine sanguine captis, evaserunt. Refrenata tandem eorum contumacia, cum im portum tripudianter fuissent subducti, ducique exercitus et episcopo triumphaliter praesentati, quid excusationis, quid satisfactionis, quid obligationis obtulerunt, disserere, taediosa narrationis series fuerit. Videntes imperatoris ministri, qui illi praerant regioni, suos infestissimos hostes, et imperii fasces mentientes, in civitate sua captos detineri, modis omnibus elaborant, ut imperatori reddantur, et, ei praesentati sicut damnatitii, capite puniantur. Sed victores, in Domino timorati, se vere cruciferos, immo crucifixos, exemplo patientiae demonstrarunt, cum nec imperatori, nec alicui mortali, sed soli Deo triumphum, quem dederat, ascribere voluerunt.

Pietatis itaque visceribus affluentes, ferme quatuor milia virorum cum navibus suis, et armis, omnibusque sibi restitutis, absolute dimiserunt. Nec a captis aliam obligationem receperunt, nisi quam liberi Pisis se facturos, Venetiam in haec verba mandaverunt, se nunquam scilicet deinceps Romaniam causa mercimonii intraturos, vel praelium in christianos ullo modo excitaturos, nisi forte venerabilis Sepulchri devotione transituros. Deliberatis ergo Pisanis et quocunque vellent ire permissis, triginta sex viros maioris auctoritatis, non quidem coactos, sed spontaneos, ex illis retinuerunt, partim pro testimonio veritatis, partim si illi, qui de praelio evaserant, aliquos suorum cepissent, per istos facilius recuperare suos possent.

Monachus Anonymus Littorensis, Historia de translatione Sanctorum Magni Nicolai, terra marique miraculis gloriosi, ejusdem avunculi, alterius Nicolai, Theodorique, martyris pretiosi, de civitate Mirea in Monasterium S. Nicolai de littore Venetiarum, in Recueil des Historiens des Croisades, Historiens Occidentaux, V, Paris 1895, pp. 253-292, pp. 257-259.


(D) Verum enim vero Galliciani nec naves construere exceptis sarcinariis nec veliferis biremibus pelagi alta secare in consuetudine habebant. (…)

Predictus itaque episcopus incircumscripta Dei providentia fultus et Christianorum captivitate conpunctus nuntios suos Pisam atque Genuam direxit. Ibi namque optimi navium artifices nauteque peritissimi, qui Palinuro Enee naute non cederent, habebantur.

Historia Compostellana, ed. E. Falque Rey, Turnholti 1988 (Corpus Christianorum. Continuatio Medievalis, LXX), I, 103, p. 175.

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Torna suUltimo aggiornamento: 10/06/05