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Didattica > Strumenti > Tolleranza e guerra santa nell'Islam > Documentazione 1, 15

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Tolleranza e guerra santa nell'Islam

di Biancamaria Scarcia Amoretti

© 1974-2007 – Biancamaria Scarcia Amoretti


DOCUMENTAZIONE

1. L'Islam e l'Occidente
15. Il bene e il male

I due passi che seguono riguardano ancora la definizione di buono e cattivo. Il primo, tratto dalla Risālat at-Tawhīd, Cairo, 1932-1933, p. 50 e segg., è del modernista ‘Abduh, il secondo proviene da un credo «eretico» (sciita) di tendenza moderata (vedi Ibn Mutabbar al-Hillī, al-Bābu’l hādi-‘ashar, trad. McElwee Miller, London, 1858, pp. 40-42), del XIV secolo. L'impostazione non cambia. Il tema della giustizia sociale legata al bene sociale e quindi al concetto etico di bene in assoluto rimane una costante di tutta la storia della problematica islamica del potere.


I. La mente umana ha conosciuto a lungo gli effetti [derivanti dalle cause]. Li ha divisi in dannosi e utili, ha chiamato i primi cattive azioni, i secondi buone azioni. Su questa divisione si basa la distinzione tra virtù e vizi. Il pensiero umano li ha definiti con maggiore o minore precisione, a seconda del grado di intelligenza del pensatore, e ha fatto dipendere da essi la felicità o la miseria dell'uomo in questa vita… sebbene le persone capaci di dir ciò davvero correttamente siano state poco numerose.

Le azioni volontarie sono belle o brutte sia in sé, sia per le loro conseguenze sul piano particolare o generale. La ragione umana, insieme ai sensi, può distinguere le azioni belle dalle brutte, secondo i diversi significati attribuibili, senza la necessità di trovare un supporto nella rivelazione.


II. A proposito della giustizia, ci sono più campi da analizzare. Primo, la ragione passa di necessità a esprimere un giudizio su quali sono le azioni buone (restituire un deposito, adoprarsi per il meglio, sostenere la veracità che porta profitto e simili), e quali sono le azioni cattive (tipo l'ingiustizia, o una
menzogna ingiuriosa)… Il significato supremo di Giustizia è che Dio è alieno da ogni atto cattivo e dall'inadempienza di ciò che Gli compete. Ma siccome il tema della giustizia dipende dalla conoscenza del bene e del male com'essa è determinata dalla ragione, la discussione deve vertere prima di tutto su questo punto… L'espressione bene e male può essere usata in tre sensi. Anzitutto si può parlare dell'essere di una cosa come qualità di perfezione (come quando si dice che la conoscenza è bene) o viceversa dell'essere di una cosa come qualità di imperfezione (come dire che l'ignoranza è male). Un secondo modo è definire l'essere di una cosa in termini di piacevolezza nei confronti della natura (il piacere) o in termini opposti (il dolore). Ultimo modo è chiamare «bene» ciò che merita lode in questo mondo e premio nell'altro, e «male» ciò che merita rimprovero sulla terra e punizione nell'aldilà. Per i primi due sensi non c'è controversia, e tutti accettano là l'intervento della ragione. Nel terzo senso i teologi scolastici sono divisi. Per gli ash ‘ariti (scuola teologica ortodossa fondata nel X secolo) la ragione non possiede nessun elemento atto a guidare alla conoscenza del bene e del male nel terzo senso intesi, e solo la legge può fornire un metro di giudizio, per cui quanto la legge fissa come bene è bene, e quanto essa chiama male è male. Ma i mu‘taziliti (scuola razionalista sorta nelI'VIII secolo) e gli imamiti (aderenti della shi‘a moderata, partito sorto intorno alla polemica sulla legittimità o meno dei primi califfi, a sostegno di ‘Alī) dicono che la ragione ha i mezzi per guidare al bene e al male, anche nel terzo senso, in quanto esiste il bene in sé e il male in sé, al di fuori della norma espressa o meno dal legislatore. E portano i seguenti elementi a conforto della loro tesi:

1) Sappiamo necessariamente che ci sono cose buone, come quelle menzionate all'inizio, o salvare qualcuno che sta per morire, senza aver bisogno che la legge ce lo dica. Ugualmente per ciò che concerne il male. Un giudizio di questo tipo è inerente alla natura umana, come quando si dice a uno; Di' là verità e otterrai un dinār, e quello, senza pregiudiziali, spinto solo dalla ragione, riconoscerà la verità e deciderà di dirla.

2) Se ciò che fa distinguere il bene dal male fosse la legge e nient'altro, sarebbe logica conseguenza l'assoluta inconoscibilità del bene e del male fuori della legge. Tale condizione di necessità è falsa come lo è il suo presupposto… perché, se la conoscenza del bene e del male consistesse in quanto si sa dalla legge, proprio chi sostiene una tale teoria non potrebbe esprimere una sua opinione in proposito, che è il punto di partenza per la teoria stessa.

3) Se si nega un bene e un male razionali, non si può che negare anche un bene e un male legali. Il che si smentisce nei fatti…

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Ultimo aggiornamento: 14/02/07