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Tolleranza e guerra santa nell'Islam

di Biancamaria Scarcia Amoretti

© 1974-2007 – Biancamaria Scarcia Amoretti


DOCUMENTAZIONE

2. La guerra santa
2. Sulla propaganda religiosa e il «gihād»

Una puntualizzazione del modernista ‘Ali ‘bd al-Rāziq (cfr. REI, 1934, pp. 174-176) sugli obiettivi di conquista del Profeta e dei suoi successori. In questo autore la critica all'Islam, se nella sostanza non permette un reale superamento della teoria classica, nella forma si mostra più scientifica e quindi più radicale che in altri modernisti. La conquista viene giudicata tale, ma il missionarismo religioso, e qui sta forse la contraddizione di fondo, viene mantenuto estraneo alla dinamica della conquista. L'autore commenta anzi, con queste pagine, due versetti coranici contrari a ogni forma di costrizione in materia religiosa, quali «Avverti, perché non sei che un ammonitore. Non hai su di essi autorità dispotica» (Cor., LXXXVII, 21-22).


Non c'è dubbio che il regime profetico possedesse certe apparenze di governo politico o certi tratti imperiali e monarchici. Il primo esempio che viene in mente a proposito dell'esistenza di certi interessi sovrani al tempo del Profeta è la guerra santa. Infatti il Profeta attaccò con le armi le genti della sua nazione, Arabi come lui, che si mostravano ostili alla sua religione. Conquistò i loro paesi, s'impadronì dei loro beni, fece prigionieri. uomini e donne. Non c'è dubbio neppure che le mire del Profeta andassero oltre la penisola araba, e che egli si preparasse a invadere con i suoi eserciti i diversi paesi della terra. Cominciò infatti a combattere l'impero romano in Occidente e in Oriente, e invitò a sottomettersi alla sua religione i sovrani di Persia, d'Abissinia, d'Egitto.

È assolutamente evidente che scopo della guerra santa non dovesse essere solo la propaganda religiosa, né il solo intento di condurre le genti a credere in Dio e nel suo Profeta. Tale guerra non era condotta che in vista dell'affermazione di una autorità imperiale, e per ingrandire il regno. La propaganda religiosa è un appello a Dio, e non può basarsi se non sull'eloquenza e sull'arte di commuovere i cuori, usando dei mezzi propri a conquistarli e a convincerli. La forza e la costrizione sono incompatibili con una propaganda che ha lo scopo di guidare i cuori e purificarne le credenze. Nella storia dei profeti non si trova nessuno che abbia condotto le genti alla fede sulla punta della spada, o che abbia attaccato con le armi un popolo per fargli adottare la sua religione…

Tali principi formali mostrano che la missione del Profeta, come quella dei suoi predecessori, riposava unicamente sulla persuasione e sull'esortazione, e non poteva appoggiarsi sulla forza bruta. Se il Profeta è ricorso alla forza e all'intimidazione, ciò non è stato in vista di una propaganda religiosa per far pervenire un messaggio al mondo. Non possiamo comprendere un tale atteggiamento, se non motivandolo con il desiderio di stabilire un impero e di fondare un regime islamico. Ora un governo non può poggiare che sulla forza delle armi e sulla potenza dominatrice: ecco, per la maggioranza dei musulmani, la vera ragione e il senso profondo del gihād

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Ultimo aggiornamento: 14/02/07