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Didattica > Strumenti > Tolleranza e guerra santa nell'Islam > Documentazione 3, 4

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Tolleranza e guerra santa nell'Islam

di Biancamaria Scarcia Amoretti

© 1974-2007 – Biancamaria Scarcia Amoretti


DOCUMENTAZIONE

3. Mediazione e fanatismo in seno alla comunità islamica
4. L'esperienza mistica e la sperimentazione della moderazione

II brano che segue è preso dall'introduzione dell'opera di Ghazzālī, il già citato teologo e mistico del XII secolo, al-Munqidh min al-dalal (Damasco, 1934). L'autore motiva la sua scelta, riconduce a un linguaggio moderato le finalità del mistico, e pone l'accento sull'esperienza necessaria alla conoscenza: esperienza intesa come metodo scientifico, non diversamente da quanto sostenevano, in contesto diverso, filosofi e teologi.


Come Dio m'ebbe per Sua grazia e grande generosità guarito dalla malattia del dubbio, di cui ho già detto, ero convinto che le categorie dei ricercatori si riducessero a quattro:

1) i teologi, che pretendono di esser loro a possedere facoltà, speculazione e giudizio; 2) i batiniti [interioristi], che asseriscono esser loro i detentori dell'Insegnamento, loro in particolare trasmesso dall'infallibile imām; 3) i filosofi, che asseriscono essere loro a conoscere e logica ed arte dell'argomentazione; 4) i mistici sūfī, i quali pretendono d'esser loro i prescelti ad adire la Presenza, e che hanno la Visione e la Rivelazione. Dissi allora fra me: Il vero non esorbita certo da queste quattro categorie, e sono certo costoro a percorrere i sentieri della ricerca sua. Se dunque la verità sfugge loro, non resta più speranza di afferrarla, poiché non v'è modo di tornare al conformismo dopo essersene allontanati. Il conformista è infatti tale solo se ignora d'esserlo: ove lo sappia, ecco andare in frantumi l'involucro cristallino del suo conformismo, e in modo tale che la rottura non si ripara, e la dispersione non si ricompone, per quanto ci si dia a rincollar fra loro i frammenti e a ricombinarli, a meno che non si torni a liquefarli col fuoco e a far daccapo. Cominciai quindi a percorrere le vie di quei gruppi di ricercatori della verità e a investigare i risultati loro; prima la teologia, poi la filosofia, in terzo luogo l'Insegnamento dei batiniti, e infine la Via dei sūfī.

…Quando ebbi terminato di occuparmi di queste scienze, rivolsi le mie cure alla Via dei sūfī, e appresi che tale lor via si perfeziona mediante la scienza e la pratica. La pratica mira ad annullare gli ostacoli dell'anima concupiscente, e a farsi indenne dalle sue riprovevoli tendenze e dalle sue male qualità, in modo da svuotare il cuore di quanto non sia Dio eccelso e da adornarsi della menzione continua di Lui.

Più facile per me la scienza della pratica. Dapprima mi resi edotto della loro scienza leggendo i loro testi… e appresi l'essenza dei loro intenti, e pervenni a conoscere tutto quanto è possibile conoscere, studiando e ascoltando. Mi resi conto che quanto v'è di più specifico in loro non può raggiungersi con lo studio, bensì con il gusto…

Fra le cose che mi sono apparse assolutamente evidenti praticando la Via dei mistici è la verità della profezia, sul cui fondamento è indispensabile richiamare l'attenzione perché ve n'è bisogno urgente… Ma il gusto è altro… Accertare per dimostrazione è scienza: trovarsi effettivamente in quello stato è gusto, e accettare per sentito dire o per osservazione del gusto altrui senza diffidenza, è fede. Questi sono tre gradi: «ché Iddio innalzerà d'alti gradi coloro di voi che credono e cui fu data scienza» (Cor., LVIII, 11)…

Quanta differenza c'è fra il conoscere la definizione della salute e della sazietà, con relative cause e condizioni, e l'esser sano e sazio, tra il conoscere la definizione dell'ubriachezza e l'essere ebbro. L'ubriaco non conosce la definizione e la spiegazione scientifica dell'ubriachezza; egli è ubriaco, nulla sa della scienza concernente il suo stato. Il sobrio conosce la definizione e i fondamenti dell'ubriachezza, ma da questa è del tutto indenne. Il medico, se si ammala, conosce la definizione della salute, le cause e le medicine, ma manca di salute. Così pure c'è differenza tra conoscere che cosa sia l'ascesi in realtà, quali siano le sue condizioni e le sue cause, ed essere asceta e distaccato dalle cose di questo mondo.

Seppi allora con certezza che i sūfī sono uomini d'esperienze, non di parole. Ciò che si poteva ottenere mediante la scienza io l'avevo ottenuto e restava solo ciò che non si poteva raggiungere ascoltando e studiando, bensì gustando e percorrendo la via mistica. Ma ormai, dalle discipline cui m'ero applicato e dalle vie percorse nell'investigazione delle due specie di scienze, quelle rivelate e quelle razionali, era in me sopravvenuta una fede certa in Dio, nella Rivelazione e nel Giudizio Finale. Questi tre principi della fede mi si erano saldamente radicati nell'animo, non per prova determinata e precisa, ma per motivi ed esperienze i cui particolari non si possono qui compendiare. Mi era apparso ormai ben chiaro che non avrei potuto sperare nella felicità dell'Oltre se non temendo Iddio e distogliendo l'anima dalle passioni; l'essenziale era spezzare il legame del cuore col mondo, abbandonando la dimora dell'inganno, e volgendomi a quella dell'eternità ricolmo di zelo verso Dio. Tutto questo non poteva compiersi se non rifiutando ricchezza e onori, e rifuggendo da vincoli e impegni.

Considerando invece le circostanze della mia vita, mi accorsi di essere sommerso dagli impegni che mi avevano da ogni parte accerchiato. Pensai alle mie attività, la migliore delle quali era l'insegnamento entro e fuori la scuola, e mi resi conto che in quell'ambito mi stavo dedicando a scienze senza importanza alcuna, e senza utilità ai fini dell'Oltre. Riflettei su ciò che mi ripromettevo dall'insegnamento, e mi accorsi che non si trattava di Dio, ma che movente e impulso erano in me ricerca di onori, e ottenimento di più vasta fama. Ebbi la certezza di trovarmi sull'orlo franante di un dirupo, sul punto di cadere nel fuoco, se non avessi posto riparo al mio stato. A lungo meditai su queste cose, essendo ancora in condizione di scegliere… Divenni bersaglio di strali, per tutti gli uomini di religione più autorevoli dell'Iraq, nessuno tra loro riuscendo a concepire che a distogliermi dalla mia posizione fosse un motivo religioso, poiché quella che svolgevo era secondo loro la funzione più elevata in campo religioso e «quello il loro punto d'arrivo della scienza» (Cor., LIII, 30).

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Ultimo aggiornamento: 14/02/07