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Didattica > Strumenti > Tolleranza e guerra santa nell'Islam > Documentazione 3, 7

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Tolleranza e guerra santa nell'Islam

di Biancamaria Scarcia Amoretti

© 1974-2007 – Biancamaria Scarcia Amoretti


DOCUMENTAZIONE

3. Mediazione e fanatismo in seno alla comunità islamica
7. La crisi islamica

II testo che segue è di ‘Alt ‘Abd al-Rāziq (al-Islam wa usūl al-hukm = «L'Islam e le basi del potere», I ed., Cairo, 1925, cfr. L. Bercher, in REI, 1933, pp. 368-385) ed è stato oggetto di riflessione da parte di alcuni marxisti egiziani contemporanei. L'interesse è duplice: adozione di una metodologia d'analisi europea, una conseguente radicalizzazione nel dare della propria storia un giudizio negativo; problematica del ritardo politico del mondo islamico e pseudo-storicistica messa in relazione di questo ritardo con l'istituzione califfale. Ci sembra che questo brano, tratto dal secondo capitolo dell'opera citata, sia abbastanza significativo della tendenza a subire colonizzazioni culturali, punto di partenza di molta stampa inneggiante a un nazionalismo viscerale e pronta a negare la validità della lezione storica dell'Islam, affidando poi le realizzazioni ottenute a una forma esoterica (sia essa mistica o filosofica) di cultura che è sempre stata presente nelle pieghe dell'Islam ufficiale. Inutile ripetere come l'effettiva crisi del potere e una reale partecipazione dài massa a una nuova gestione del medesimo sembrano proprio dover passare per un'analisi del passato metodologicamente diversa da quella qui adottata.


Gli autori islamici pretendono che il consenso ininterrotto della comunità islamica nel primo periodo dell'Islam dopo la morte del Profeta abbia stabilito la necessità di avere una Guida (che è il fondamento dell'istituzione califfale)… Ammettiamo che il consenso è principio giuridico valido e non andremo ad aumentare la schiera di chi lo nega; ammettiamo anche che il consenso in sé è un fenomeno che si può produrre effettivamente… ma, nel caso, la pretesa all'esistenza del consenso è assolutamente inammissibile…

Si è osservato, facendo la storia delle scienze presso i musulmani, che essi hanno riservato uno spazio molto ridotto alle scienze politiche, in confronto ad altre scienze. Le prime sembrano essere appena esistite. Nessun autore o interprete musulmano si è occupato di politica. Non è neppure a nostra conoscenza che si siano fatte ricerche sull'organizzazione del potere e sui principi di governo. O, perlomeno, è così poco che non se ne può tener conto a paragone dell'attività scientifica in altri campi che non siano quello della politica. Eppure i nostri dotti avevano più d'una ragione per studiare attentamente le scienze politiche. Moventi notevoli dovevano spingerli ad approfondirne lo studio; non ultimo questo, che, per la finezza innata del loro spirito e per zelo scientifico, si erano innamorati della scienza e della filosofia greca. I libri greci che essi avevano tradotto e studiato avrebbero dovuto appassionarli sufficientemente alla politica, sì da far loro amare questa scienza che aveva costituito il campo di attività di tanti filosofi antichi e che, nella filosofia come nella vita stessa dei greci, aveva occupato un posto tanto preponderante.

Ma c'era un movente ancora più forte. La dignità califfale, a partire dal primo califfo, Abū Bakr, fino ai giorni nostri, è sempre stata esposta agli attacchi di chi si rivoltava contro di essa e rifiutava di riconoscerla… Questa è senza dubbio la sorte dei monarchi presso tutti i popoli, presso tutte le sette e in tutti i tempi. Ma, secondo noi, nessuna nazione può eguagliare i musulmani sotto questo aspetto, poiché l'opposizione all'istituzione califfale si è manifestata fin dal suo sorgere, ed è durata per tutto il tempo che essa è stata in vita.

… Un fatto di questo genere era tale da spingere ad approfondire la questione del potere, ad analizzarne le componenti e le finalità, a studiarne l'esplicazione e quanto ad essa connesso, a fare insomma un esame critico dell'istituzione califfale e dei suoi fondamenti, in breve a interessarsi a tutte le questioni che costituiscono oggetto delle scienze politiche. Sicuramente gli Arabi avrebbero avuto più ragione di chiunque altro a occuparsi di queste ricerche e a continuarle. Perché dunque essi sono rimasti come interdetti di fronte a questa scienza? Perché si sono ritirati indietro, oppressi davanti agli argomenti di ricerca che essa offriva? Perché hanno trascurato l'analisi della Repubblica di Platone e della Politica di Aristotele, essi che ammiravano così entusiasticamente Platone da chiamarlo il Primo Maestro?…

Se i nostri sapienti non si sono preoccupati delle scienze politiche, diversamente da quel che hanno fatto per altre scienze, non è né per disattenzione né per ignoranza dell'importanza della materia. La causa è altrove. Il guaio sta nell'equivoco privatistico dell'istituzione califfale presso i musulmani: «Questa carica è un contratto che dipende dalla scelta di coloro che hanno diritto a decidere», come dice Ibn Khaldūn. Il califfato è un contratto che si perfeziona con l'investitura conferita da coloro che hanno il diritto di decidere a colui che essi hanno scelto come califfo per la nazione, dopo aver deliberato tra di loro. Questo può voler dire che l'istituzione califfale riposa presso i musulmani sul fondamento dell'investitura attraverso una scelta, e sul desiderio e l'accordo di coloro che hanno tra i musulmani diritto di decisione. Ora ciò non è realistico. Solo in teoria si può ammettere che esista un'istituzione califfale corrispondente a quella definizione, ma, se ci si pone sul terreno dei fatti, si constata che l'istituzione califfale, nell'Islam, non poggia su altro fondamento che l'intimidazione, e che questa è sempre stata, salvo rare eccezioni, una forza materiale e armata. La sede califfale non era circondata che di lance e di spade, e di truppe armate fino ai denti. Con questi mezzi, e non con altri, la sua posizione era assicurata e la sua autorità resa effettiva… Si noterà forse che in certi momenti della storia califfale questa forza armata non è stata del tutto evidente, ma non bisogna credere che il principio ne sia scalfito. Questa forza esisteva necessariamente, e su di essa si fondava l'istituzione califfale; può solo capitare che ci siano periodi in cui non si è dato il bisogno di utilizzarla, e, restando a lungo nascosta agli occhi della gente, essa possa essere stata dimenticata. Ma, se non fosse esistita, il califfato non sarebbe sopravvissuto… Da tutto ciò nasce l'oppressione della monarchia nei confronti della libertà scientifica, e l'accaparramento delle strutture scolastiche da parte dei re, appena ne avessero l'opportunità. È evidente che le scienze politiche sono tra le più pericolose per il potere regale, perché mettono in luce le diverse forme di governo, le loro particolarità, i loro rispettivi regimi ecc. Era dunque una necessità, per i sovrani, combattere questa scienza e interdirne l'accesso al pubblico. Questa è la spiegazione del fenomeno della deficienza del rinascimento islamico in campo di scienze politiche, dell'assenza di attività intellettuale di cui hanno dato prova i musulmani in tal genere di ricerche, del rifiuto degli intellettuali di occuparsene in modo degno della loro finezza di spirito e in conformità con l'attività scientifica esplicata in altri campi…

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Ultimo aggiornamento: 14/02/07