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Il movimento crociato

di Franco Cardini

© 1972-2006 – Franco Cardini


Fonti e temi di ricerca

2. Alcuni argomenti da chiarire

Sui «fatti» che precedettero, accompagnarono e seguirono lo sviluppo del movimento crociato in un arco che – lontano dai vecchi limiti manualistici – va dall'XI al XVI secolo, siamo ben informati: a ciò è anzi dovuta, crediamo, la crisi delle storie generali delle crociate. Crisi nel senso che esse suscitano un interesse sempre più relativo, ma crisi anche dovuta alla loro collocazione nel «genere» storiografico delle grandi ricostruzioni événementielles nelle quali si crede ogni giorno di meno: oggi si preferisce studiare non tanto la meccanica degli avvenimenti, quanto piuttosto il loro valore sociale, spirituale, perfino psicologico, nonché la traccia ch'essi hanno lasciato nella civiltà del loro tempo. È qui che il discorso storico sente il bisogno di saldarsi più strettamente alle scienze umane dandone e ricevendone stimoli vitali. Anche per quanto attiene alla crociata è quindi augurabile un maggior riguardo a temi per ora trascurati, sottovalutati o comunque da approfondire ulteriormente. Vediamo di indicare in breve alcuni campi aperti a ricerche originali.


Cominciamo con la storia della storiografia. Tralasciamo un giudizio in merito alla storia della storiografia in sé, sulla validità della quale i pareri degli studiosi risultano assai discordi: limitiamoci a segnalarne la fecondità nel nostro caso specifico, che forse costituisce al riguardo un caso-limite. La crociata, comunque la si guardi, è stata una delle idee-forza della cristianità occidentale; dati i suoi rapporti col pellegrinaggio e la penitenza da un lato, la guerra dall'altro, l'apostolato missionario più tardi, ha condizionato a lungo tutta la tradizione teologica e canonistica; è stata causa di folli entusiasmi e di profonde crisi morali; ha proceduto di pari passo con l'intolleranza religiosa (secondo alcuni perfino con quella razziale) di cui è stata non sapremmo dire se più madre o figlia, ma al tempo stesso ha ampliato l'orizzonte culturale e spirituale oltreché economico della società europea. Un groviglio di contraddizioni, come si vede: ed è perciò tanto più sintomatico il diverso atteggiamento nei suoi confronti tenuto da uomini di periodi e correnti diverse. Resta da chiarire in merito il pensiero di molti umanisti, nei quali spesso – per esempio nel Biondo, nel Cusano, nello stesso Pio II – un ardente anelito alla pace universale e alla finale unità delle genti si mischia o si alterna a richiami allarmati alla guerra santa, in una dimensione che è essenzialmente escatologica. Resta da precisare il ruolo assegnato alla guerra contro l'infedele come momento d'unità dei cristiani e quindi come ritorno dei «ribelli» all'obbedienza romana nel pensiero controriformistico; problema che, ovviamente, avrebbe un interessante punto di confronto nella coeva storiografia protestante. Anche il Tasso, il cui poema è stato già studiato nella prospettiva delle sue fonti (cfr. p. es. V. VIVALDI, La Gerusalemme Liberata studiata nelle sue fonti, voll. 2, Trani, 1901-1907), assumerebbe nuovo significato da una rilettura del suo capolavoro che ne considerasse l'aspetto propagandistico in un momento in cui il pericolo turco, nonostante Lepanto, incombeva. Né sarebbe vano lo studiare il ruolo della polemica anticrociata inquadrandola nella ben più vasta querelle sulla tolleranza religiosa; e molto sarebbe da dire anche per il Romanticismo. Fino ad oggi solo A. S. ATIYA, The Crusade, Historiography and Bibliography, Bloomington-London, 1962, ha tentato una breve sintesi in questo senso: ma lavori specifici e sondaggi monografici in questa direzione sarebbero senza dubbio ricchi d'interesse.


Ricerche del genere di quella suggerita sopra richiedono com’è ovvio una solida preparazione nel campo della storia e della cultura europee: per chi volesse restare nell'ambito italiano o addirittura non allontanarsi dai limiti della storia cittadina, sarebbe interessante e meritorio seguire le tradizioni «crociate» locali, con le relative leggende araldiche, municipalistiche, genealogiche raccolte o costruite dai nostri eruditi soprattutto cinque-seicenteschi. Si tratterebbe, è ovvio, di quella che spesso con eccessiva leggerezza si definisce «storiografia minore»: in realtà però il rintracciare quei motivi, il comprendere la genesi e la struttura di quei miti familiari e campanilistici ci direbbe molte cose su tutta una zona del costume civile e culturale del nostro paese che è in gran parte ancor oggi in ombra.


Ma l'argomento che più d'ogni altro merita di essere approfondito è l'idea stessa di crociata nella sua evoluzione, nei suoi mutamenti, nei molteplici equivoci cui dette adito. Già due famosi lavori (H. PRUTZ, Kulturgeschichte der Kreuzziige, Berlin, 1883, e O. HENNE AM RHYN, Die Kreuzziige und die Kultur ihrer Zeit, Leipzig, 1903³) avevano posto il problema del rapporto fra il movimento crociato e la civiltà a esso contemporanea.

Queste e altre opere del genere, ispirate alla tendenza kulturgeschichtlich allora in auge, sono ormai criticamente superate. Un contributo innovatore, che potrebbe servire da punto di partenza per studi moderni, fu costituito dal X Congresso Internazionale di Scienze Storiche tenutosi a Roma nel 1955, il quale a L'Idea di Crociata dedicava appunto una delle sue sezioni di studio (pubblicata nel vol. III delle relative Rezioni, Firenze, 1955, pp. 543-652). Dal dibattito in quella sede, cui parteciparono i migliori crociatisti contemporanei, emersero con chiarezza due punti. Primo: la crociata fu qualcosa di essenzialmente nuovo nella storia dell'occidente, pur mantenendo col passato gli stretti legami dovuti al suo rapporto se non altro con le guerre che dall'VIII secolo opponevano – dalla Spagna all'Asia Minore – cristiani e musulmani (fautore agguerrito della «teoria della continuità», che scorgeva nella crociata la versione medievale dello scontro fra Asia ed Europa, era stato C. ERDMANN, Die Entstehung des Kreuzzugsgedanken, Stuttgart, 1935; la sua posizione è stata poi raccolta e portata agli estremi limiti da A. S. Atiya). Secondo: è un fatto che il movimento crociato non ebbe mai una sua vera e propria «ideologia». Ne ebbe, al contrario, parecchie, ma tutte tardive e unilaterali, spesso macchinose, più spesso astratte e confuse. Come abbiamo detto, Urbano II al famoso concilio di Clermont non poteva assolutamente prevedere a che cosa sarebbe approdato ciò che le sue parole stavano cominciando a muovere, né potevano immaginarlo i feudatari e i poveri pellegrini che risposero all'appello. I problemi e quindi gli «ideali» crociati mantennero un carattere tutto werden, difficile da chiudere in formule definitrici anche perché l'elemento caratteristico della loro genesi iniziale era la contingenza; e anche in seguito ogni ordine, ogni ambiente, ogni strato della società medievale ebbe la sua crociata. Il cavaliere vi vedeva la realizzazione dei suoi ideali eroici e al tempo stesso uno sbocco per i suoi problemi; il povero pellegrino volgeva i passi a Gerusalemme in parte perché la mobilità era una valvola di sfogo in un mondo in espansione, in parte perché nella crociata si respirava un'aria egualitaria nuova, che le speranze nella «Gerusalemme Celeste» indirizzavano in senso millenaristico; il mercante vi sfruttava la possibilità di attingere a nuovi mercati e di allargare la potenza della sua città-repubblica; la Chiesa vi trovava uno strumento estremamente valido per affermare la sua politica teocratica, e a ciò spingeva il pensiero dei suoi dottori e dei suoi giuristi.

A tale pluralità di tendenze ha risposto la discordia fra gli storici moderni: ogni modo d'intendere la crociata ha trovato il suo studioso. All'indagine sottile della psiche pauperistica ha provveduto P. ALPHANDÉRY, La Chrétienté et l'idée de croisade, voll. 2, Paris, 1954-1959, la cui opera è stata continuata da un suo allievo, A. Dupront, deciso fautore d'un rapporto sempre più stretto fra storia e scienze umane (di lui ricordiamo: Croisades et eschatologie, in Umanesimo e Esoterismo, Padova, 1960). Con A. WAAS, Geschichte der Kreuzziige ,voll. 2, Freiburg, 1956, la crociata trova viceversa la sua spiegazione negli ideali cavalleresco-feudali, mentre M. VILLEY, La croisade. Essai sur la formation d'une théorie juridique, Paris, 1942, ha esposto esaurientemente le tappe e il carattere dell'elaborazione canonistica del problema. Da parte sua P. A. THROOP, Criticism of the Crusades. A Study of Public Opinion and Crusade Propaganda, Amsterdam, 1940, ha studiato le reazioni – non sempre positive – della società cristiana di fronte al ristagno e alla strumentalizzazione degli ideali crociati. Infine E. WERNER, Die Kreuzzugsidee im Mittelalter, s.l.,1958, ha fornito una sintesi generale del problema dal punto di vista marxista. Tutti questi contributi sono preziosi e ciascuno di essi contiene una forte dose di verità: ma errato sarebbe accettare in toto l'una o l'altra delle loro conclusioni. In effetti esiste non tanto la crociata, quanto piuttosto le crociate: esistono cioè i modi secondo i quali, attraverso un concreto movimento storico, quel certo valore concettuale si è realizzato in tempi e in ambienti diversi, lontani, talvolta ostili fra loro. D'altronde queste realizzazioni si sono potute avere – e hanno potuto, pur nella loro multiformità, assumere un medesimo nome – perché si richiamavano costantemente a un substrato, a uno spirito che ne costituiva il denominatore comune e senza il quale ci smarriremmo in un pulviscolo di dati e di fatti refrattari a qualunque sintesi. Bisogna indirizzarsi con sempre maggiore chiarezza a intender questo comune valore, accogliendo le istanze di quanti vogliono vedere a questo fine utilizzate sociologia, antropologia culturale, psicologia delle religioni e così via. A patto però che tali scienze siano calate in un contesto concreto di fatti, avvenimenti, uomini, date, luoghi, e non restino a operare in un mondo indistinto di «tendenze» di «costanti», di ipotesi insomma.


Quanti fossero poi interessati a problemi di tipo giuridico-economico, potrebbero volgersi allo studio delle colonie commerciali delle repubbliche marinare italiane in Terrasanta nei secoli XII-XIII, dei loro rapporti con la madrepatria, del loro significato nella vita della città da cui avevano tratto origine.

Sull'importanza, estensione, caratteristiche commerciali delle colonie siamo in generale abbastanza informati: ma gli ultimi studi sintetici in materia risalgono a parecchio tempo fa (Heyd, Schaube, Mitrovic, Iorga), mentre gli storici dell'economia più recenti, attratti dall'abbondanza di documenti posteriori alla metà del secolo XIV, sono piuttosto portati a trascurare il periodo che va dall'XI al XIII. Oltre a rivedere dunque i vecchi dati relativi a questi temi e tentarne più moderne sintesi, resterebbero da chiarire altri punti: essenzialmente quello dei rapporti – così giuridici e istituzionali come sociali – tra colonie e madrepatria.


Suggeriamo un ultimo tema, che non è esclusivamente storico: per condurlo a buon fine, occorrerebbe anzi una preparazione da un lato sociologica, dall'altro linguistica. Si tratterebbe di studiare l'uso che si fa della parola crociata, ai più svariati livelli e con una frequenza sorprendente, nella società odierna (almeno nell'ambito euro-americano). II Medioevo conobbe tardi il termine cruciata, destinato a diventar popolare. Per indicare la spedizione armata in Terrasanta si usava iter, alludente sia alla spedizione militaresca feudale sia al pellegrinaggio (e in questo caso si specificava: iter hierosolymitamum); si parlava altrimenti di transitum, passagium, passagium ultramarinum, con allusione al viaggio navale; e quando la crociata era non la spedizione-pellegrinaggio di questo o di quel signore, bensì il risultato della mobilitazione – almeno formale – di tutto l'occidente, preceduta da una bolla pontificia che chiamava a raccolta i cristiani e prometteva ai partenti benefici spirituali (indulgenze) e materiali (sospensione dell'obbligo di pagare i debiti ecc.) si aveva il passagium universale o generale. Ancora, si poteva appuntare l'attenzione sull'indulgenza concessa ai combattenti per i loro peccati, e allora la crociata era detta, come il giubileo, perdono. Né mancavano i teologi che, alludendo al fatto che quella spedizione rimenava nella Terra Promessa la nuova Israele, il nuovo Popolo di Dio, parlavano biblicamente di exodus. In ordine a Chi si riteneva la volesse, la crociata era poi un servitium Dei, auxilium Terrae Sanctae. Vale la pena di notare quest'ultimo termine, dal momento che era lo stesso usato nel diritto feudale per determinare gli obblighi militari ed economici che il vassallo aveva nei confronti del suo signore in caso di bisogno particolare: anche la fede e la devozione a Dio erano sentiti in termini di rapporto feudale. È ovvio che fossero frequenti anche espressioni quali bellum sacrum, che sottintendevano un contenuto teologico ben più intenso della «guerra giusta» di agostiniana memoria.

La parola moderna crociata, impostasi nell'uso comune anche fra gli specialisti, nacque da un aggettivo sostantivato. Si chiamavano crucesignati, o meglio cruce signati (sottintendendo homines, peregrini, milites e così via) coloro che avevano fatto voto di raggiungere il Sepolcro di Gesù e che, in segno esteriore di tale voto, portavano una croce di stoffa cucita sulla spalla, sul petto o sulla bisaccia. Ma essi venivano anche definiti peregrini semplicemente, oppure christiani, christicolae, milites o athletae Christi (due nomi tecnici, questi ultimi, desunti dal linguaggio monastico e cavalleresco); spesso, nelle fonti soprattutto della prima crociata, Hierosolymitani.

Il termine moderno e di conio non troppo netto, crociata, ha viceversa prevalso e si è affermato in una duplice linea di valori etico-semantici, che sono anche valori culturali: positiva e negativa. Positiva: oggi si fanno crociate non solo contro idee o movimenti politici ritenuti nefasti (basti pensare con quale intensità la parola è stata usata, anche in senso semiufficiale, durante la guerra civile spagnola del '36-'39 o – da entrambe le parti – nel secondo conflitto mondiale), ma anche contro il malcostume, la fame nel mondo, certe malattie e via dicendo; così come si fanno crociate in favore di questa o di quella iniziativa. Negativa: lo stesso termine si usa, soprattutto da parte della pubblicistica politica, per indicare una iniziativa fanatica, intollerantistica, a sfondo reazionario. In questo sopravvivere e convivere nel nostro lessico di due accezioni radicali e contrapposte della medesima parola, sopravvive in realtà la duplice linea ideologica e culturale della civiltà europea. L'una tradizione si rifà a un tessuto linguistico edificante, cristiano-tradizionale, che nella crociata vede la lotta dei due opposti principi del Bene e del Male; l'altra fa capo a valori umanistico-illuministici di tolleranza e di relativismo etico, e intende la parola come fortemente pregna di pericoli: fanatismo, dogmatismo, guerra di religione. Non dubitiamo che un'indagine, condotta sia pure al solo livello statistico e descrittivo, che cercasse di delimitare con precisione gli ambienti, le sedi, i livelli, i momenti e le occasioni in cui il termine crociata – nell'una o nell'altra accezione – si presenta, sarebbe chiarificatrice e potrebbe condurre a interessanti risultati.

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UpUltimo aggiornamento: 20/06/06