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Il movimento crociato

di Franco Cardini

© 1972-2006 – Franco Cardini


2. La Terrasanta, conquista effimera

2. Gli ordini monastico-militari

Più grave era il problema della difesa: i cavalieri franchi rimasti in Terrasanta erano pochi, e della popolazione indigena non ci si poteva fidare. I coloni latini erano sì atti alle armi, ma conducevano una vita autonoma rispetto al potere feudale e, come osservava il cronista Giacomo di Vitry, badavano essenzialmente a salvaguardare la propria libertà. Periodicamente – e soprattutto per la Pasqua, quando all’inizio della primavera si apriva anche la stagione della navigazione e dei traffici – giungevano dei pellegrini, e molti di loro «davano una mano» in spedizioni stagionali: poi ripartivano però quasi immediatamente, con la palma di Gerico in ricordo del voto sciolto, e il regno restava nella sua cronica povertà di uomini validi aggravata dal fatto che, riavutosi dal primo stupore, l’Islam si stava riorganizzando alle frontiere e dinanzi al nuovo inatteso nemico pareva addirittura superare gli atavici conflitti intestini.

A ciò si aggiunga che, nei due secoli di vita del regno gerosolimitano, gli «aiuti» dell’occidente si rivelarono spesso controproducenti. Sia le sette grandi crociate seguite alla prima e risoltesi tutte in altrettanti insuccessi, sia le spedizioni particolari di questo o quel grande signore europeo – pellegrinaggi armati, in fondo piccole «crociate» – avevano il denominatore comune di non conoscere la situazione della Terrasanta e di concepire la guerra, la strage, il saccheggio come il solo modo di trattare con gli infedeli. Ai crociati giunti di fresco, dunque, i signori franco-siriaci che vivevano e vestivano alla orientale, che conoscevano l’arabo, che ostentavano la loro amicizia con emiri e mercanti saraceni, che spesso erano imparentati con casate indigene, parevano corrotti e traditori della cristianità. Quanto più i rapporti tra Franchi e musulmani si qualificavano come risolvibili al livello politico, tanto più era necessario disporre di una forza militarmente stabile ed efficace ma anche buona conoscitrice dei problemi dell’ambiente nel quale era chiamata a operare.

Tali esigenze parvero risolte con la creazione di parecchi ordini monastico-militari, i più importanti dei quali furono Templari, Ospedalieri di San Giovanni – più tardi detti Cavalieri di Rodi e poi di Malta – e Teutonici. La fondazione di ordini di monaci che includessero la guerra fra i loro obblighi e le loro consuete attività costituisce uno dei fenomeni più sconcertanti ma anche più qualificanti nella storia della Chiesa, e dimostra sia come essa abbia saputo inserirsi nella società guerriera del tempo, sia come la crociata, da episodio inizialmente semicasuale, fosse diventato un problema che toccava in profondità la coscienza cristiana anche al livello del pensiero e dell’atteggiamento disciplinare ecclesiastico. Originariamente sorti forse come libere associazioni di poveri cavalieri che avevano fatto voto di difendere i pellegrini, tenere sgombre dai predoni le strade che da Gerusalemme portavano al mare e combattere gli infedeli, gli ordini monastico-militari si dettero più tardi una vera e propria regola e una struttura approvata dalla Chiesa. Ciascun appartenente ad essi pronunziava, oltre ai tradizionali voti di castità, obbedienza e povertà personale, anche quelli particolari di fedeltà al papa e di guerra senza quartiere all’infedele.

Il problema della guerra fu difficile da inquadrare negli ideali monastici. La Chiesa latina, a differenza di quella greca, aveva sempre tenuto un atteggiamento distinzionistico al riguardo: mentre i teologi greci condannavano l’assassinio in qualunque sua forma, i latini preferivano sviluppare la teoria agostiniana della «guerra giusta» e permettere ai cristiani l’uso delle armi quando ve ne fosse causa giusta e legittima, fermo restando l’obbligo – sancito con fermezza dai canonisti del secolo XI – di far penitenza dopo aver ucciso, sia pur con ragione, il fratello in Cristo. Ma il cristianesimo non conobbe mai un ideale paragonabile alla «guerra santa» per la propagazione e per la difesa della fede, come invece esisteva presso i musulmani. La guerra rimaneva radicalmente estranea alla lettera e allo spirito del Vangelo. Nonostante ciò, già la cristianizzazione della cavalleria e la propaganda per la cacciata dei mori dal suolo spagnolo ponevano la questione in modo un po’ diverso: pur indicando ai cavalieri mète sante quali la difesa degli oppressi, dei deboli, della terra natia e via dicendo – cioè costringendoli a combattere appunto solo per giuste cause – restava il fatto che non si poteva accogliere completamente nel proprio seno una categoria di uomini (i cavalieri appunto) il cui compito specifico e caratteristico era il guerreggiare, senza modificare alquanto l’atteggiamento nei confronti della guerra in sé.

In un primo tempo la Chiesa eluse il problema fondamentale e pose l’accento sulla santificazione del cavaliere che, morendo in battaglia nel nome della fede, veniva avvicinato al martire: era il martirio che giustificava e sublimava il sacrificio del guerriero cristiano, redimendone anche i passati errori. Questa posizione s’incontra con chiarezza nelle Chansons de Geste.

Ciò era già molto, ma non bastava ancora. Fu Bernardo di Clairvaux a tentare una cristianizzazione integrale degli ideali cavallereschi e una loro totale funzionalizzazione rispetto alla fede cristiana e alla disciplina ecclesiastica. Nel Liber de laude novae militiae, a buon diritto considerato il «manifesto» dell’ordine templare, il santo si scagliava contro la mondanità e lo sfarzo, la violenza privata e la vanagloria dei cavalieri del suo tempo, e a essi contrapponeva appunto i milites novi, i Templari, dei quali esaltava la povertà assoluta e la lotta contro gli infedeli che – una volta accettata come unica ragione di vita – diveniva simbolo della psicomachia», la lotta del Bene contro il Male che si combatte a livello cosmico dal tempo della Creazione e che ciascun cristiano rivive quotidianamente nell’anima sua. La lotta temporale era svalutata a mera apparenza di quella spirituale, l’uccisione dell’infedele diventava «malicidio». Naturalmente, Bernardo non giunge a sostenere che l’infedele va ucciso in quanto tale né che dev’essere soppresso se non si converte (sebbene questo fosse praticamente il pensiero di molti crociati): la crociata resta una guerra di difesa contro l’oppressione saracena e di liberazione di quella Terra Promissionis che spettava alla cristianità in quanto erede d’Israele. Ciò nonostante, questa difesa della milizia templare e questa giustificazione della nuova figura del monaco combattente non potevano non approdare, come di fatto accadde, a una rivalutazione pratica della guerra in sé, qualunque ne fosse il contesto.

Forti del consenso ecclesiastico, gli ordini crebbero enormemente, e i loro monasteri-fortezze si eressero ben presto a guardia di tutta la Terrasanta. Il loro coraggio, la loro disciplina, la loro iniziale povertà li fecero stimare da tutti, saraceni compresi. Ben presto «commende» di essi si aprirono anche in Europa, mentre lasciti e donazioni frequenti li arricchivano; poi furono loro affidati anche compiti finanziari, come la raccolta delle decime ecclesiastiche e la custodia e gestione di molti beni.

Tanta potenza economica non tardò a tradursi in termini politici: gli ordini si dettero a perseguire fini propri, a comportarsi come altrettanti stati nello stato in cui agivano. Con i  saraceni facevano guerra o trattavano  la pace indipendentemente dal parere e dalle necessità dei feudatari laici di Terrasanta; le loro contese con questi ultimi, ma anche fra loro – la rivalità di Ospedalieri e Templari divenne celebre – pregiudicavano la vita dell’oltremare cristiano, mentre la loro prosperità economica faceva invidia a molti. Sui Templari inoltre – senza dubbio i più odiati – pesava, oltre all’invidia per le loro enormi ricchezze e all’astio per la loro rissosità e tracotanza (il detto «superbo come un Templare» era passato in proverbio), la voce pubblica che li voleva in collusione con i saraceni e dediti a oscuri studi di magia. La perdita totale della Terrasanta, con la caduta di Acri (1291), sembrò dar l’ultimo colpo all’utilità pratica degli ordini: i Templari furono liquidati nel 1312 da papa Clemente V, costretto a favorire in ciò il re di Francia Filippo IV che ambiva metter le mani sulle finanze dei cavalieri ed eliminare nel contempo dal suo regno in via di organizzarsi centralisticamente una forza fedele al pontefice.

L’abolizione del Tempio segnò la fine degli ordini monastico-militari non come tradizione, ma come forza qualificata e indipendente nella cristianità. I Teutonici, cui da tempo era affidato l’incarico di evangelizzare il nord-est europeo, rimasero confinati in Prussia dove all’alba del Cinquecento passarono alla Riforma protestante; l’ordine di Malta – ultima veste assunta nel tempo dagli Ospedalieri giovanniti – sopravvive ancora, caratterizzato in modo del tutto particolare: ma le sue funzioni sono ovviamente ridottissime, pur rimanendo esso ancor oggi fedele alla sua primitiva vocazione assistenziale.

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UpUltimo aggiornamento: 20/06/06