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Il movimento crociato

di Franco Cardini

© 1972-2006 – Franco Cardini


2. La Terrasanta, conquista effimera

4. La riscossa musulmana

La caduta di Edessa del 1146, che provocò l’inutile seconda crociata, era il sintomo di un fatto assai importante: l’Islam stava abbandonando il particolarismo e puntava, lentamente ma inesorabilmente, verso una nuova unità.

Il dramma del mondo maomettano del secolo XI era stato il frazionamento politico accresciuto dalla fitta rete di odii e di rivalità – reciproco disprezzo fra Arabi e Turchi, scisma religioso fra sunniti e sciiti – che faceva capo alla drammatica divisione fra i due concorrenti califfati, quello abbàside di Baghdad e quello fatimida del Cairo: Siria e Palestina, essendo geograficamente al confine tra i due massimi potentati, ne soffrivano tutte le conseguenze.

Ma nel corso del secolo successivo le cose iniziarono a maturare. Zinki, atabeg (governatore) di Mosul e di Aleppo, riuscì a crearsi fra il Tigri e l’Oronte un forte regno nominalmente soggetto a Baghdad, ma di fatto indipendente: e dette immediati segni di voler conquistare tutta la Siria. I principi crociati mancarono in quell’occasione di senso politico: non seppero allearsi con quelle forze musulmane che avevano interesse a non venire assorbite da Zinki e – quand’egli morì – da Nur ed-Din, suo figlio e successore. La seconda crociata (1147-1148) si accanì proprio contro quella Damasco che, per paura del vicino potente correligionario, avrebbe potuto essere l’unica valida alleata dei Franchi.

Fra i generali di Nur ed-Din vi era un curdo a nome Salah ed-Din Yusuf : è a lui – il celebre Saladino – che si deve principalmente il rinnovato periodo di potenza musulmana nello scorcio del secolo. Egli seppe riunificare l’Islam sopprimendo il califfato sciita dal Cairo, ma soprattutto riuscì a soppiantare i suoi antichi padroni e a crearsi un sultanato personale dall’Egitto al Tigri, che minacciava di soffocare i principati francosiriaci.

Difatti, al momento opportuno, egli scatenò una dura offensiva: il 4 luglio del 1187 sconfiggeva i Franchi a Hattin e poche settimane più tardi, il 2 ottobre, entrava trionfante in Gerusalemme. La terza crociata, organizzata precipitosamente sulle ali della terribile notizia che la Città Santa era caduta e a cui parteciparono i più grandi sovrani europei (l’imperatore Federigo I, il re di Francia Filippo Augusto e quello d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone) si risolse in un nulla di fatto. La capitale del regno franco si spostava ad Acri, mentre Gerusalemme e tutta la costa a sud di Giaffa restavano in mani saracene.

Vero è che la terza crociata aveva portato una nuova terra ai principi franchi: Cipro, che Riccardo Cuor di Leone aveva strappato ai Bizantini e costituito in regno per la famiglia dei Lusignano da lui protetta; ben presto il re di Cipro, per avere al possesso dell’isola un titolo giuridico più forte di quello dell’occupazione di fatto, si rivolse all’imperatore romano-germanico Enrico VI per avere da lui l’isola in feudo. Poiché lo stesso fece il re armeno della Cilicia, a questo punto gli interessi svevi si estendevano – dalla Sicilia ch’era ormai il loro centro – per tutto il Mediterraneo orientale.

L’imperatore Enrico VI era certo dotato di grande lungimiranza e di un elevato concetto della monarchia universale, ma la sua morte (1197) ne troncava lo slancio politico mentre, nel 1198, un matrimonio univa le corone di Cipro e di Gerusalemme – che però non si fusero – nella persona di Amalrico di Lusignano, il quale potè parzialmente ristabilire l’ordine in Siria, approfittando del fatto che dopo la morte del Saladino il suo grande impero si era frazionato tra gli eredi in lotta.

Sarebbe stato forse il momento opportuno per una nuova crociata, e sul trono pontificio sedeva l’uomo adatto a ordinare un nuovo sforzo armato della cristianità: ma Innocenzo III fallì proprio in questo, e la quarta crociata (1202-1204), deviata sul Bosforo, finì con un’ibrida e infelice creazione politica, l’impero latino di Costantinopoli, utile solo alle mire espansionistiche di Venezia.

Innocenzo non disarmava e nel concilio lateranense del 1215 additava nel passagium universale il primo e necessario dovere cristiano: ma la spedizione, che nel 1217 partì guidata da Andrea II d’Ungheria e si concluse ingloriosamente nel 1221 dopo un’inutile occupazione di Damietta, fu l’unico e poco brillante risultato della sua iniziativa. Vero è d’altronde che a quell’ultima data il grande pontefice era sceso da cinque anni nel sepolcro e che le responsabilità politiche e strategiche della sconfìtta si dovettero tutte al Legato papale cardinal Pelagio, uomo dotato d’una miope e ostinata intransigenza.

Era una crociata sui generis quella che, nel 1229, recuperava Gerusalemme alla cristianità. L’imperatore Federigo II, dopo aver lungamente tergiversato, aveva infine preso la croce sotto l’incalzare della scomunica di Gregorio IX: un accordo col sultano cairota Malik al-Kamil, della stirpe del Saladino, a lui legato da comuni interessi mediterranei e forse da una profonda simpatia intellettuale, lo rese di nuovo padrone della Città Santa. Si trattava però di un patto assai fragile, per il quale i cristiani rientravano in possesso d’una città le cui fortificazioni erano state smantellate e che era praticamente alla mercé dei saraceni all’intorno. Anche l’effetto propagandistico, per il quale l’imperatore si attendeva di venir salutato come il recuperatore del Sepolcro, venne capovolto: egli, scomunicato, aveva ardito metter piede su quel sacro suolo e negoziare una pace vergognosa con gli infedeli!

Comunque, lo scalpore nella cristianità non fu molto quando, nel 1244, una tribù di Turchi nomadi e fuggiaschi si impadronì di nuovo di Gerusalemme massacrando e saccheggiando. A quel tempo, i Mongoli si erano affacciati sulla soglia dell’Europa orientale e per un attimo era sembrato che ne travolgessero le difese: quella era adesso la «grande paura», né c’era posto per la Terrasanta.

Vi pensò unicamente san Luigi, che nel 1248 partì per una disastrosa crociata in direzione dell’Egitto. Egli nutriva grandi speranze, inclusa quella d’un’intesa con i Mongoli: ma il suo tentativo franò nella prigionia, liberato dalla quale egli tentò invano di accordare fra loro i feudatari franco-siriani e di coordinarne le forze. Stremato e affranto, riprendeva nel 1254 la via dell’Europa: un’altra impresa crociata lo avrebbe atteso, di lì a sedici anni, e con essa la pestilenza e la morte sul lido tunisino.

Grandi cambiamenti si verificavano frattanto nel mondo islamico. Proprio mentre Luigi IX era prigioniero in Egitto, la casta degli schiavi-guerrieri (i cosiddetti Mamelucchi), che teneva virtualmente in mano il potere al Cairo, aveva deciso di dar l’estremo bando alle ultime finzioni e di eliminare gli epigoni del Saladino per eleggersi un sultano di sua scelta. I Mamelucchi erano ben più rozzi e crudeli dei predecessori, e non facevano mistero delle loro intenzioni riguardo ai principati franco-siriaci. Un ultimo barlume di speranza venne forse dalla Persia, dove il mongolo Hulagu Khan aveva eliminato nel 1258 l’ultimo califfo abbàside: ma l’avanzata mongola, fermata con la battaglia degli «Stagni di Golia» (1260), non giunse fino in Egitto, e si ha l’impressione che anche i cristiani abbiano tirato un sospiro di sollievo per questo. Iniziò così l’ultimo atto del soffocamento dei feudi crociati: nel 1265 cadevano Cesarea, Haifa e Arsuf; nel 1268 il porto di Giaffa; nel 1289 Tripoli; finalmente, nel 1291, Acri, Tiro e le piazzeforti restanti.

L’occidente aveva assistito allo sfacelo incapace di reagire. La crociata generale proclamata nel 1274 da Gregorio X al concilio di Lione non aveva avuto seguito; altri bandi di crociata uscirono dalla cancelleria pontificia, e tutti caddero ugualmente nel vuoto. La Terrasanta era irrecuperabile; e, del resto, l’attenzione della cristianità era ormai volta altrove.

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UpUltimo aggiornamento: 20/06/06