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Il movimento crociato

di Franco Cardini

© 1972-2006 – Franco Cardini


2. La Terrasanta, conquista effimera

5. Dallo spirito crociato allo spirito missionario

Per quanto solitamente si tenda a metterla in rapporto con l’intolleranza religiosa, la crociata prescindeva dal problema della liceità o meno che esistessero religioni non cristiane, per limitarsi a rivendicare alla cristianità il possesso della Terrasanta e la libertà del pellegrinaggio. Vero è che spesso le fonti – soprattutto quelle epiche – presentano i cristiani nell’atto di proporre ai «pagani» vinti la scelta tra il battesimo o la morte, e in quel caso la dimensione intollerantistica è senza dubbio presente: mai però si faceva guerra agli infedeli propriamente per convertirli (la scolastica proclamerà anzi apertis verbis che ciò non è lecito), e quindi eventuali tentativi in quel senso restavano isolati, nonché estranei al tessuto della crociata che non è «guerra santa» tout court ma, come abbiamo visto, un tipo circoscritto e particolare di essa (ammesso pure che di «guerra santa» nella sfera cristiana si possa veramente parlare).

Le cognizioni che l’occidente cristiano aveva sull’Islam e su Maometto restarono comunque, fino al secolo XII inoltrato, assai confuse e grottesche: si faceva della religione musulmana un misto di «idolatria» – cioè paganesimo classico –, giudaismo e connubio col demonio, né era infrequente scorgere in Maometto una prefigura dell’Anticristo, come dirà alla fine del secolo Gioacchino da Fiore e come molti ripeteranno anche più tardi. Oppure si ripeteva la leggenda che faceva del Profeta un ex-cristiano e della sua legge, quindi, un’eresia cristiana.

Fu per iniziativa di un gruppo di intellettuali rotanti attorno a Pietro il Venerabile che si cominciò a studiare l’arabo e la teologia maomettana, giungendo così a una prima traduzione del Corano a opera di Roberto di Chester. È da notare tuttavia che questi fecondi contatti avvenivano non in Terrasanta ma in Spagna, che è da considerarsi il tramite più importante tra i due mondi.

Lo stesso svolgersi delle vicende crociate, del resto, non poteva non avere la sua naturale conseguenza nella curiosità prima, nell’interesse poi dei cristiani per i musulmani. Coloro che – in Spagna come in Sicilia come in Siria – si trovavano per qualsiasi motivo a contatto con i saraceni, non potevano non accorgersi di quanto grossolana e fallace fosse la visione che in Europa si aveva di loro e che la poesia epica perpetuava, né potevano continuare a ignorare i profondi legami che univano cristianesimo e Islam al ceppo veterotestamentario e quindi fra loro, il rispetto e l’affetto che il Corano mostrava per Gesù e per Maria, la sostanziale somiglianza delle due leggi al livello morale. Tutto ciò mentre – con il fallimento della seconda crociata che aveva rappresentato la traduzione in pratica degli ideali bernardiani di lotta senza quartiere – una profonda sfiducia nella possibilità di domare la mezzaluna con le armi si era impadronita dell’Europa.

È a questo punto che bisogna situare un fatto capitale: il viaggio di Francesco d’Assisi in oriente durante la quinta crociata e la sua predicazione «nella presenza del Soldan superba». Francesco era un pellegrino al seguito della crociata: era egli stesso crociato, poiché abbiamo visto che tale non è soltanto chi combatte. Pure, il suo atteggiamento è ben profondamente innovatore e non – si badi bene – solo perché egli cercava la corona del martirio, come amano ripetere quanti vogliono per forza scavare un abisso tra crociate e missione ponendo proprio come spartiacque l’episodio che vede Francesco protagonista. Il martirio era la giustificazione fondamentale dell’esperienza crociata: martire era così chi cadeva in battaglia contro l’infedele come l’inerme da questo ultimo trucidato, e le fonti cronistiche mostrano ciò con estrema consapevolezza, usando il linguaggio preciso dei martirologi e della letteratura agiografica.

Ma la novità introdotta da Francesco è ben altra: essa risiede nella discussione, nel confronto delle due leggi e dei rispettivi effetti, nell’ansia di dimostrare la superiorità del proprio credo, nell’amore per l’avversario che traspare da quella stessa sete di commuovere e di convincere.

I francescani furono fedeli all’insegnamento del loro maestro: a essi (e anche ai domenicani) si dovettero le fondazioni degli Studia Arabica dove i giovani si esercitavano nello studio della lingua e del messaggio di Maometto e affinavano le armi della confutazione alla luce di una cognizione di causa circa le idee da confutare.

Può sembrare strano che gli ordini mendicanti assolvessero a due tanto diverse funzioni, da un lato monopolizzando – come di fatto monopolizzarono fino a tutto il Quattrocento – la predicazione e la propaganda crociata, dall’altro incoraggiando studi e attività in chiara alternativa con la «guerra santa» contro l’infedele. Ma il fatto è che l’alternativa, che a noi sembra lampante, non lo era per gli uomini di quel tempo: crociata e missione potevano benissimo andare di pari passo o addirittura presentarsi come complementari, mirando la prima a tenere lontani i pagani dall’eredità del Popolo di Dio, la seconda a salvarne le anime. Lo stesso millenarismo di marca gioachimita, che tanta importanza ebbe in certi settori del francescanesimo, poteva giocare in tal senso: se è vero che in Maometto si vedeva una prefigura dell’Anticristo, è altresì vero che la conversione di tutti i popoli al Cristo era sentita come condizione fondamentale della Seconda Venuta.

Non si deve tacere poi il fatto che la cultura scolastica assolse una funzione forse fondamentale nella elaborazione dello spirito missionario: il metodo della discussione, della confutazione, del confronto sottile con l’avversario era caratteristico della scolastica e della stessa pratica universitaria di quel periodo, ed era appunto a quel metodo che guardavano coloro che intendevano affrontare la predicazione in terra pagana.

Né l’Islam era l’unica terra incolta da lavorare: col Duecento il mondo tartaro si era svegliato ed era entrato in contatto con l’occidente. Era un mondo giovane, che faceva paura ma che al tempo stesso affascinava, sia per i vantaggi economici che avrebbe ottenuto chi fosse riuscito a penetrarlo, sia per le strane leggende che aleggiavano intorno a esso. Ai Mongoli si ricollegava la stirpe dei Re Magi e quel mitico re-sacerdote chiamato «Prete Gianni» che avrebbe dovuto muoversi dall’oriente in aiuto dei cristiani: e in effetti, comunità cristiano-nestoriane erano frequenti tra quelle tribù. Nacque così l’idea, dura a morire, che fosse possibile convertire i Tartari e farsene degli alleati per la crociata: tale idea sarebbe stata una grande illusione per tutto il Duecento. Ormai il mondo da cui la crociata era nata si stava incommensurabilmente allargando, e i vecchi ideali si rivelavano inadeguati. Due grandi filosofi francescani – Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone – non esitavano a criticare severamente le spedizioni crociate e a guardare alle religioni non cristiane con occhi sereni, pronti a coglierne i punti universali di contatto col cristianesimo. Su questa strada proseguirà quell’originale e per molti aspetti sconcertante pensatore che fu il catalano Raimondo Lullo, francescano egli stesso, zelatore della crociata ma contemporaneamente animatore dell’attività missionaria, indagatore geniale del mondo filosofico e scientifico arabo ed ebraico e dei relativi contatti con la Rivelazione cristiana. Queste aspirazioni ecumeniche lasceranno una forte impronta nella cristianità: un’opera fondamentale per chi voglia indagare il mondo religioso umanistico, quel De pace Fidei nel quale Nicolò Cusano accomuna tutti i popoli in un suggestivo coro delle nationes in lode dell’Altissimo, ne è la prova.

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UpUltimo aggiornamento: 20/06/06