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Il movimento crociato

di Franco Cardini

© 1972-2006 – Franco Cardini


TESTI

16. Dalla crociata alla missione: il francecanesimo

In Francesco d'Assisi l'antica aspirazione cristiana al martirio, già viva anche fra i migliori crociati, si sostanzia d’un nuovo amore per tutti gli uomini. Il fine del martirio non è solo la glorificazione di Dio e la salvezza della propria anima, né la testimonianza di fede in sé: esso risiede anche nella conversione degli infedeli e, quindi, nella salvezza delle loro anime. Al capo XVI della regola francescana del 1221 (dalla Regula Prima «non bullata», in Gli scritti di san Francesco d'Assisi e «I Fioretti», a c. di A. VICINELLI, Milano, 1955, pp. 102-103) facciamo seguire una poco nota versione della predica di Francesco dinanzi al sultano (da G. GOLUBOVICH, Biblioteca bio-bibliografica della Terrasanta e dell'Oriente francescano, I, Quaracchi, 1906, pp. 36-37): trattasi di un testo che un anonimo compilatore dugentesco attribuisce a frate Illuminato, compagno del santo durante il viaggio oltremare; chiudiamo con la relazione del martirio di quattro missionari francescani a Gerusalemme nel 1391 (da Archives de l’Orient Latin, I, Paris, 1881, pp. 540-541), che è uno specchio della tecnica missionaria del tempo – invero non sempre felice – ma anche della ricca e bella letteratura martirologica francescana.


a) XVI. Di quelli che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli.

Dice il Signore: «Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe». Onde quelli dei frati che per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni e gli altri infedeli, vadano col permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi ne dia loro licenza e non li contraddica, se li riscontrerà adatti a ciò: poiché sarà tenuto a rendere ragione al Signore se in questa o in altre cose avrà usato poca discrezione. Quanto ai frati che vanno, possono spiritualmente comportarsi tra gli infedeli in due modi: uno è di non far liti, né contese, ma essere «soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio» e confessare la fede cristiana; l'altro è questo, che quando credano piaccia a Dio annunzino la Sua parola affinché quelli credano in Dio Onnipotente, Padre Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, siano battezzati e divengano cristiani, poiché «chi non rinasce per acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio».

E tutti i frati, dovunque si trovino, tengano presente di aver donato e abbandonato i loro corpi al Signor Nostro Gesù Cristo, e di dovere per amor Suo esporsi ai nemici visibili e invisibili perché, dice il Signore, «chi perderà la sua vita per amore mio la salverà» per la vita eterna.


b) Riferiva il ministro generale [1] che il compagno del beato  Francesco [2], ch'era con lui quando questi andò dal sultano di Babilonia, era solito così narrare. Essendo, diceva, alla corte del sultano, questi volle saggiare la fede e la devozione che il beato Francesco mostrava di portare al Nostro Signore crocifisso con il seguente esperimento: fece stendere dinanzi a sé un bel tappeto fittamente ricamato di simboli a forma di croce e disse agli astanti: «Sia chiamato adesso questo uomo che sembra un così sincero cristiano: se venendo alla mia volta pesterà le croci del tappeto, gli diremo che ha fatto ingiuria al suo Dio; se invece non vorrà avvicinarsi, gli chiederò ragione del suo disdegno nei miei confronti». Fu dunque chiamato quell'uomo pieno di Dio ed egli, da questa pienezza ben diretto nell'agire e nel rispondere, camminando sul tappeto giunse dinanzi al sultano. Allora questo ultimo, vedendosi a portata di mano un pretesto per confondere l'uomo di Dio come se egli avesse fatto ingiuria a Cristo Signore, disse: «Voi cristiani adorate la croce come simbolo specifico del vostro Dio: perché dunque non hai avuto scrupolo di calpestare delle croci?». Rispose il beato Francesco: «Dovete sapere che col Signore Nostro crocifisso c'erano anche dei ladroni: noi abbiamo la vera croce del Signore e Salvatore Nostro Gesù Cristo e l'adoriamo e con tutta devozione l'abbracciamo: infatti, essendo stata a noi data la croce del Signore, a voi sono rimaste quelle dei ladroni: e quindi non ho avuto scrupolo a calpestare i segnacoli dei ladroni. Infatti presso di voi e fra voi non c'è niente della santa croce»… Il sultano gli pose poi un'altra questione dicendo: «Il vostro Signore v'insegnò nei Suoi Vangeli a non restituire male per male… a maggior ragione quindi i cristiani non debbono invadere le terre nostre». «Non sembra che voi abbiate letto – ribatté il beato Francesco – tutto il Vangelo di Cristo Nostro Signore: infatti esso dice altrove: ‘Se il tuo occhio ti scandalizza stràppatelo e gettalo via lontano’, con la qual cosa ci ha voluto insegnare che nessun uomo deve esserci tanto caro né vicino, neppur se lo amassimo come un occhio della testa, da non doverlo noi abbandonare, strappare e quasi sradicare da noi se egli tenta di stornarci dalla fede e dall'amore di Dio. Per la qual cosa i cristiani giustamente attaccano voi e la terra che occupate, poiché bestemmiate il nome di Cristo e avete allontanato dalla sua religione tutti quelli che avete potuto. Ma se vorrete conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore, [i cristiani] vi ameranno come se stessi».


c) Nel nome del Signore, amen. A lode, gloria e onore di Dio Onnipotente, di tutta la vera fede e di tutta la celeste gloriosa Corte e della Santa Chiesa Cattolica Romana.

Sappiano tutti quelli che riceveranno la presente lettera che hanno subìto in Cristo un durissimo martirio nell'anno del Signore 1391, l’11 di novembre, quattro frati minori di diverse province residenti nel convento di Monte Sion a Gerusalemme, uomini adorni d'ogni virtù, devotissimi a Dio, obbedientissimi ai loro superiori e di vita rigidissima nonché perfetti in ogni perfezione. I loro nomi sono: frate Deodato di Roneurgue della provincia d'Aquitania, frate Nicolò della provincia di Schiavonia, frate Stefano de Cunis della provincia di Genova e frate Pietro di Narbona della provincia di Provenza; essi erano stati per più anni con grande onore nell'ordine, alcuni nel vicariato di Bosnia, altri in quello di Corsica, e infine per loro grande devozione si erano trasferiti nella santa città di Gerusalemme, dove a lungo dimorarono seguendo la regola.

Ora i frati sopraddetti, dopo essersi a lungo consultati su come poter guadagnare a Dio le anime che il Diavolo ambiva strappare e offrire all'Altissimo un ricco frutto in questa santa terra di Gerusalemme… nel giorno e anno di cui sopra… uscirono per compiere quanto avevano a lungo meditato; e… camminando insieme, e avendo ciascuno una carta arrotolata scritta in volgare italico e in arabo su cui era vergato quanto diremo, si diressero alla volta del Tempio di Salomone, ma non furono fatti entrare. Interrogati dai saraceni, risposero: «Vogliamo dire al cadì (che in latino sarebbe come dire vescovo o prelato) cose utilissime e saluberrime per le vostre anime». Fu allora risposto loro: «La casa del cadì non è qua: venite, ve la mostreremo». Giuntivi, spiegarono i loro rotoli e senza timore li lessero al suo cospetto:
«Signor cadì, e voi tutti presenti, vi preghiamo di ascoltarci e meditare attentamente su quanto udite, perché ciò che vi diremo è utile, veritiero, giusto, né inganna ma al contrario giova all'animo di chi lo accetta. Voi siete in stato di eterna dannazione perché la vostra legge non è di Dio né da Dio, né è buona, anzi è assolutamente malvagia: non vi sono compresi né il Vecchio né il Nuovo Testamento. Inoltre nella vostra legge sono contenute molte menzogne, cose impossibili o ridicole, contraddizioni e molte altre cose che non inducono l'uomo al bene e alla virtù ma al male ed a moltissimi vizi: il che non avviene nella legge di Mosè, che viene da Dio, né in quella di Cristo… Se infatti la vostra legge fosse d'origine divina, perché tutti i profeti l'avrebbero tenuta nascosta? Non abbiamo infatti mai trovato che Mosè o un altro profeta o Cristo stesso ne abbiano parlato: quindi, contenendo aperte menzogne, non è legge di Dio… E infatti dice la legge vostra che alla fine i demoni saranno salvati [3], perciò la vostra legge piace loro. Dice inoltre che il Cristo non fu figlio di Dio e non morì nella   croce [4]…, che gli apostoli erano saraceni [5] e molte altre menzogne».

Poi i frati predicarono contro lo stesso Profeta: dissero ch'egli non fu messo di Dio com'è invece affermato dai saraceni e da lui stesso nella sua legge; e che non è attestato che egli abbia fatto miracoli, mentre invece i profeti ne facevano moltissimi. Infatti Elia ed Eliseo e gli altri profeti compirono grandi miracoli, inauditi prima; e lo stesso Cristo si manifestò con enormi e infiniti prodigi. Maometto fu viceversa lussurioso, omicida, goloso, ladrone, e predicò che il destino beato dell'uomo nell'Aldilà consisterebbe nel mangiare, godere i piaceri della carne e indossare vesti preziose in deliziosi giardini. Egli ammette inoltre la poligamia e il commercio carnale non solo con mogli, ma anche con ancelle e concubine. Egli volle infatti semplificare la religione espungendone quanto era arduo a credersi o difficile ad attuarsi, e rese lecito al contrario tutto ciò a cui gli uomini viziosi e soprattutto gli Arabi erano proclivi – la lussuria, la gola e gli altri vizi – mentre non parlò neppure né dell'umiltà, né della carità, né delle altre virtù. E poiché capiva che in queste cose la sua falsità avrebbe potuto essere dimostrata facilmente, comandò che non si credesse niente di contraddittorio rispetto alla sua legge e che tutti coloro che vi si opponessero fossero uccisi [6].

Quando i frati ebbero con fervore di spirito e fede incrollabile proferito queste parole, il cadì e quanti lo attorniavano arsero di sdegno; e poiché la voce si era sparsa, giunsero da fuori innumerevoli saraceni, e vi furono chiamati anche il Padre Guardiano del convento di Monte Sion con un compagno e lo spedalingo dell'ospedale dei pellegrini di Gerusalemme. Allora il cadì interrogò pubblicamente i quattro frati: «Quando avete proferito quelle parole, eravate saggi e padroni di voi stessi, oppure pazzi e fuor di senno? Inoltre, siete stati inviati dal papa o da qualche re cristiano?». Risposero i frati con grande sicurezza, coraggio, discrezione, zelo, fede fervente e desiderio di salute delle loro anime: «Nessuno ci ha inviati se non Iddio, che si è degnato di ispirarci affinché vi predicassimo la verità nell'interesse della vostra salvezza, poiché dice il Cristo nel Vangelo: ‘Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvo; chi non avrà creduto sarà condannato’ [7]. Quindi, se non crederete e non vi battezzerete, sarete dannati nel profondo dell'inferno».

Li interrogò di nuovo il cadì: «Rinnegate quanto avete detto e fatevi saraceni: altrimenti morrete»; ed essi risposero chiaramente: «Non vogliamo in alcun modo rinnegare, anzi siamo preparati a morire per questa verità e per la fede cattolica del Cristo: è giusto morire e sostenere ogni supplizio difendendola coraggiosamente, giacché tutto quel che abbiamo detto è vero, santo e cattolico».

Udito ciò, il cadì e il suo consiglio pronunziarono sentenza di morte; appena poi essa fu proferita, tutti i saraceni presenti insorsero gridando «A morte! A morte!», [s'impadronirono dei frati] e li picchiarono tanto da lasciarli a terra come privi di vita. Ciò fu circa all'ora nona; un'ora dopo i frati ripresero conoscenza e articolarono qualche parola, al che il cadì li fece legare strettamente mani e piedi e lasciare così in mezzo al tumulto della gente fino a mezzanotte circa: a quel punto li fece spogliare nudi, legare forte a pali e frustare violentemente finché i loro corpi non furono pieni di ferite ed essi neppure in grado di tenersi in piedi. Quindi li mandò in un carcere sotterraneo e li fece mettere in ceppi, sì che non avessero pace né riposo ma continuassero a soffrire indicibilmente.

Nel terzo giorno furono alfine condotti sulla piazza dove si è soliti punire i malfattori, in presenza dell'emiro, del cadì e di un'infinita moltitudine di saraceni con le armi sguainate; là era stato acceso un gran fuoco. Di nuovo chiesero loro se volevano rinnegare quel che avevano detto e farsi saraceni oppure morire, ed essi ribadirono: «Al contrario, siamo noi ad esortarvi affinché vi convertiate e vi battezziate; altrimenti, come figli della dannazione estrema, andrete a soffrire nel fuoco eterno. Ci chiedete di diventare saraceni: sappiate che per il Cristo e la Sua fede noi non temiamo né morte né fuoco»: e così i santi uomini sfidavano gli infedeli. Udendo ciò, i saraceni che erano presenti, ubriachi di rabbia, si gettarono su di loro: e si riteneva felice chi poteva ferirli più crudelmente, tanto che li fecero a pezzi e nei loro corpi non rimase nulla di umano. Ciò fatto, li gettarono su quell'enorme fuoco, ma i loro corpi così straziati non riuscirono per tutto quel giorno a bruciare. La folla restò a guardare fino a notte, aggiungendo legna su legna [al rogo], spargendo le ceneri e nascondendo le ossa affinché i cristiani non ritrovassero le reliquie.

[1] Bonaventura da Bagnoregio.

[2] Frate Illuminato.

[3] Proposizione di tipo origenistico, che non si trova nel Corano.

[4] Cfr. Corano, IV, 156.

[5] Cfr. Corano, III, 45-46.

[6] Inutile sottolineare fino a che punto sia ingiusta, unilaterale e calunniosa questa grossolana presentazione dell'islamismo.

[7] Marco, 16, 16.

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UpUltimo aggiornamento: 20/06/06