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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


Documenti

2. Il «Capitulare de villis»

Fra i documenti dell'epoca carolingia che hanno direttamente servito all'attività rurale occupa un posto di primo piano il Capitulare de villis, non datato, ma steso fra il 770 e l'800 o tra il 794 e l'813, a seconda che il sovrano che lo fece redigere sia stato Carlomagno prima dell'incoronazione imperiale – e l'atto in tal caso avrebbe avuto valore per l'insieme del regno franco – oppure il figlio Ludovico quando era re d'Aquitania. In quest'ultimo caso la portata del capitolare dovrebbe essere ristretta a quest'unica provincia. Lo status questionis di questo dibattito ancora aperto può trovarsi in F. L. GANSHOF, La Belgique carolingienne, Bruxelles, 1958. Il testo e tratto da Capitulare de villis et curtis (ed. A. Boretius), in Monumenta Germaniae Historica, Leges, Capitularia regum Francorum, I, 1883, pp. 82-91. Per quanto quest'atto non avesse lo scopo di innovare, ma piuttosto di ricordare delle buone regole di condotta, il suo valore è indiscutibile, perché in modo assai preciso esso ci fa penetrare nei particolari dell'amministrazione delle proprietà reali del territorio franco all'inizio del IX secolo.

Cosi Georges Duby riassume il contenuto dei settanta paragrafi in cui gli editori hanno diviso il lungo documento:

I. «L'intenzione reale è chiara: sorvegliare gli amministratori delegati che, lontani dal padrone, gestiscono una vasta porzione del suo patrimonio. Bisogna impedir loro di far fortuna, di distribuire ai loro amici i beni che sono loro affidati, di opprimere i contadini e gli artigiani del dominio. Si tocca qui una delle difficoltà maggiori dell'economia signorile dell'alto Medioevo. Le fortune fondiarie sono immense e, dato il livello delle tecniche di circolazione, smisuratamente disperse. Come tenerne a freno gli amministratori?».

II. «Grossa servitù domestica in ognuno dei domini, che bisogna nutrire, sorvegliare, ma che ne fa la ricchezza principale: lavoratori specializzati, donne che fabbricano tessuti, addetti all'aratro, schiavi casati in aziende particolari che il padrone equipaggia con bestie da tiro. Il ruolo dell'aratorio appare ristretto. L'allevamento conta molto in queste proprietà reali: esso fornisce gli animali domestici, il cuoio e la lana che costituiscono con il legname le materie prime fondamentali, e soprattutto i cavalli da combattimento e la carne, nutrimento fondamentale dei guerrieri. La foresta infine rappresenta una ricchezza, protetta contro i debbi, le depredazioni, l'avanzamento dei terreni dissodati; essa infatti ingrassa i porci e procura la cacciagione: la caccia, come la pesca, restano delle attività nutritive primordiali».

III. «Che cosa rappresentano per il re questi domini? In prima luogo degli alloggi ben forniti, dove troverà la carne, il vino, i cereali, il vestiario, per sé e per il suo seguito. Poi dei centri di rifornimento per l'esercito e le sue annuali spedizioni. In terzo luogo delle riserve di vettovagliamento a cui attingere quando le provviste mancano altrove. Il re, infine, spera di ricavarne qualche entrata in moneta».

IV. «L'economia del dominio si apre in effetti normalmente al commercio. Acquisti di semente e di vino, vendita del surplus dei raccolti. Il mercato, dove i contadini dipendenti possono scambiare una parte della loro produzione contro i denari necessari per i censi, non è mai molto lontano».


2. [Noi vogliamo] che la nostra servitù domestica (familia nostra) sia ben trattata e non sia condotta a povertà da nessuno.

5. Quando i nostri funzionari (iudices) devono procedere ai lavori dei campi, alle semine, all'aratura, alla mietitura, alla raccolta del fieno, alla vendemmia, che ciascuno di loro, al tempo del lavoro e in ogni luogo, preveda e regoli in quale maniera si deve procedere perché tutto sia condotto a bene. Se essi non sono nel paese e non possono recarsi di persona nei luoghi, inviino qualcuno della nostra servitù in stato di ben rimpiazzarli, o un'altra persona qualificata per provvedere ai nostri affari e condurli a buon fine. Ma che i nostri funzionari facciano la massima attenzione a non impiegare al loro posto, per i nostri affari, che uomini fidati.

8. Che i nostri funzionari si incarichino delle vigne, che appartengono al loro ufficio (quae de eorum sunt ministerio), e le facciano ben coltivare, che mettano il vino in buoni recipienti (vascula) e veglino diligentemente a che non vada in alcun modo perduto (quod nullo modo naufragatum sit). Se è necessario procurarsi altro vino, che lo facciano acquistare in località donde possano condurlo alle nostre ville (villas dominicas). E se avviene che ne sia acquistato più di quanto ne abbisogni alle nostre ville, che essi ce ne preavvertano affinché ci sia possibile esprimere la nostra volontà al riguardo. Che essi destinino a nostro uso il prodotto delle nostre vigne. Che essi mettano nelle nostre cantine i versamenti in natura (censa) delle ville che devono consegnare del vino.

9. Vogliamo che ogni funzionario abbia, per misure, nel suo ministerium, dei moggi, dei sestari (la situla essendo di 8 sestari) e dei corbus della medesima capacità di quelli che teniamo nel nostro Palazzo.

10. Che i nostri maiores, forestarii, preposti all'allevamento dei cavalli (poledrarii), cellerari, decani, addetti alla riscossione del teloneo (telonarii) e tutti gli altri nostri ufficiali (ministeriales) diano i versamenti in porci (sogales) dovuti dai loro mansi. Per le opere manuali (manuopera) che essi adempiano bene il loro officio. Che ogni maior che terrà un beneficio trovi un sostituto, in modo che quest'ultimo adempia per lui alle opere manuali e agli altri servizi.

13. Che essi [i funzionari] abbiano attenta cura degli stalloni, cioè dei waraniones, e che stiano attenti a non lasciarli a lungo nello stesso pascolo, col rischio che lo guastino. Se ce n’è uno che non sia più atto al servizio o sia vecchio, se morirà, ci informino in tempo utile prima del periodo in cui si mettono gli stalloni con le giumente.

14. Che veglino con cure sulle nostre giumente e le separino dai puledri in tempo conveniente. E quando le puledre (pultrellae) si saranno moltiplicate, che le separino per formarne un nuovo armento.

15. Che abbiano cura che i nostri puledri siano consegnati al nostro Palazzo per San Martino d'inverno (11 novembre).

17. Che ogni funzionario abbia tanti uomini addetti alle api per il nostro servizio quante sono le ville del suo ministerium.

18. Che tengano nei nostri mulini (farinariae) polli e oche in proporzione all'importanza di quelli e nel più alto numero che sia loro possibile.

19. Che essi non abbiano meno di 100 polli e di 30 oche nei fienili (stabula equorum) delle nostre ville capoluogo (in villis capitaneis), e non meno di 50 polli e 12 oche nelle piccole ville (mansioniles).

21. Che ogni funzionario abbia dei vivai nelle nostre corti, dove ne esistevano anteriormente; che egli li aumenti, se possibile, e che ne siano creati di nuovi là dove non ce n'erano in precedenza e dove è possibile averne al presente.

23. In ognuna delle nostre ville i nostri funzionari allevino delle vacche, dei porci, delle pecore, delle capre, dei becchi, per quanto potranno. E non dovranno esserne sprovvisti in nessun modo. Che ci siano inoltre delle vacche affidate ai nostri servi (servi) perchè essi possano assolvere al loro servizio, senza che per ciò sia diminuito l'effettivo delle stalle e degli aratri (carrucae) destinati al servizio del padrone. Quando essi faranno le consegne della carne, prendano buoi azzoppati, ma non malati, vacche e cavalli non rognosi e altro bestiame non malato. E, come abbiamo detto, l'effettivo delle stalle e degli aratri non ne venga per questo diminuito.

26. Che i maiores non abbiano nel loro ministerium più terre di quelle che possono percorrere e amministrare in un giorno.

27. Che le nostre dimore (casae nostrae) abbiano in ogni tempo fuoco e guardiani, affinché non soffrano alcun danno. E quando i nostri missi o una delegazione vengono al Palazzo o ne ripartono, che essi non prendano alcun alloggio nelle nostre dimore (curtes dominicae) senza un ordine espresso nostro o della regina; e che essi continuino a essere alloggiati e spesati sia dal conte, sia degli uomini a cui questo compito spetta da lungo tempo secondo la consuetudine. Quanto ai cavalli di viaggio, che essi siano da loro forniti ai missi o ai delegati con cura, secondo l'uso, con tutto ciò che sarà loro necessario, affinché essi possano recarsi al Palazzo o ritornarsene convenientemente e con onore.

28. Noi vogliamo che tutti gli anni, nella Quaresima, la domenica delle Palme che si chiama «Osanna» [i nostri funzionari] vogliano, secondo le nostre prescrizioni, portare denaro proveniente dai nostri redditi, dopo che ne avremo saputo l'ammontare di quell'anno.

30. Vogliamo che, dall'insieme del raccolti, essi facciano mettere a parte ciò che deve essere destinato al nostro uso; che mettano ugualmente a parte ciò che deve essere caricato sui carri dell'esercito, tanto dalle case che dai pastori (tam per domos quam et per pastores), e che sappiano la quantità di tutte queste riserve.

31. Ugualmente devono mettere ogni anno a parte ciò che devono dare ai prevendarii e ai laboratori delle donne (geniciae), e devono distribuirlo al tempo conveniente, sapendoci rendere conto di ciò che ne hanno fatto e di dove questo proviene.

32. Ogni funzionario deve preoccuparsi di procurarsi sempre semente migliore, sia per acquisto che in altro modo.

33. Quando tutto sarà cosi ripartito, seminato e fatto, ciò che resterà dell'insieme del raccolti sarà conservato per essere secondo i nostri ordini venduto o tenuto di riserva.

36. Che i nostri boschi e le nostre foreste siano ben sorvegliati. Che essi facciano dissodare i luoghi che devono essere dissodati ma che essi permettano ai campi di accrescersi a spese del bosco. Dove devono esserci i boschi non consentano che questi vengano abbattuti o danneggiati. Che essi veglino sulla cacciagione delle nostre foreste, e tengano per nostro uso astori e sparvieri, e che essi esigano diligentemente i nostri censi per questi beni. E se i nostri funzionari, i nostri maiores o i loro uomini spingono per ingrassarli i loro porci nei nostri boschi, essi siano i primi a versare la decima per dare il buon esempio, affinché dopo gli altri uomini la paghino per intero.

45. Che ogni funzionario abbia nel suo ministerium dei buoni artigiani, cioè fabbri, orefici o argentieri, calzolai, tornitori, carpentieri, fabbricanti di scudi, pescatori, uccellatori (aucipites id est aucellatores), fabbricanti di sapone, persone che sanno fare la birra, il sidro, la bevanda di pere o altre bevande, panettieri che facciano i piccoli pani per il nostro uso, persone che sappiano ben fare reti per la caccia, la pesca e per prendere gli uccelli, e gli altri artigiani che sarebbe troppo lungo enumerare.

54. Che ogni funzionario vegli a che la nostra servitù si applichi bene al suo lavoro e non vada a perdere il suo tempo sui mercati (per mercata).

56. Che ogni funzionario, nel suo ministerium, tenga delle frequenti udienze; che renda giustizia e che vegli a che la nostra servitù viva sulla retta via.

60. Che in nessun modo i maiores siano scelti fra gli uomini potenti, ma fra gli uomini di media condizione, che siano fedeli.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06