Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Strumenti > Agricoltura e società nel Medioevo > Documenti, 23

Strumenti

Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


Documenti

23. Figure di contadini nelle descrizioni dei proprietari toscani

I catasti fiorentini del Quattrocento rappresentano oltre che un'eccezionale fonte di dati economici e demografici, anche «un'immensa ‘cronica domestica’, in cui sono riflessi gli interessi, le esperienze, la vita quotidiana di diecine di migliaia di persone». Particolarmente «interessanti e coloriti sono certi ritratti di contadini usciti, quasi inavvertitamente, dalla penna dei padroni: mezzadri miserabili, affittuari sospettosi, villani ricolmi di malizia, dai soprannomi arguti e taglienti. La ‘satira contro il villano’, motivo ricorrente di tutta la letteratura comunale, si intreccia qui con la preoccupazione, ben più concreta, di illustrare ai funzionari del fisco le tribolazioni di un povero proprietario alle prese con questa gente». Queste dichiarazioni fiscali hanno un particolare interesse anche perché rivelano, al di là delle intenzioni dei dichiaranti, la miseria della vita contadina e la difficile convivenza di proprietari e coltivatori. I seguenti stralci sono tratti dalle dichiarazioni fiscali di tre diversi proprietari. (Da E. CONTI, I catasti agrari della Repubblica fiorentina, Roma, 1966, p. 39).


Il detto podere lavora Antonio di Franciescho chiamato Finemondo […]. Gli ò prestato tutti i ferì da lavorare il detto podere, che sono miei. E più gli ò prestato tutta la maserizia che gli è istata di bisongnio per lui e per la famiglia sua, cioè letto di choltricie e pimacci, chopertoio, lenzuola. E tutte chose da chucina, paiuolo, padella, ischodele e taglieri e tutta maserizie e tovaglie e tovagliuola. Pocho aveva da sé. Ò voluta fare inazi chosì che 'l podere rimagha sanza persona e serato e foragione: che ciò vi si richoglie si sia suo, tanto che Idio m'aparechi' meglio.


Il detto Piero e Giovanni, per insino a dì 26 di magg[i]o prossimo passato, si partirono di furto e andòronne i' Romagna, ch'io non ne seppi nulla, e portòronne lle loro masserizie e anche parte delle mie. E poi, pelle ferie di san Giovanni, tornorono.

E in efetto, al tutto, non vollono né vogliono stare più nel detto luogho, e rifiutòromelo, e rimangho sanza lavoratore e sanza buoi o bestia di niuna ragone apartenente al detto podere. Dicesi lo rifiutò perché detto fitto gli pareva ingordo, e per forza non ve lo poté né volli tenere.


Lavora le sopradette tere Nofri d'Agnio[lo] chiamato Zazerina da Cha[m]pi, e de' avere di prestaza, chon detto tereno, fiorini quidici per choperare uno paio di buoi istieno i' sul detto tereno overo podere. Àne auto fiorini venti e più, e non à choperato buoi. Dise n'avea choperati: uno paio ne menò i' su' luogo, e gli avea a socio. E sono saza buoi, e 'l mio tereno è sodo isino a dì X di luglio 1427. S'io vorò buoi, me gli choviene choperare.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 26/06/06