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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


1. Caratteri generali dell'agricoltura medievale

4. I rendimenti della terra

Usciamo dal generico delle fonti narrative e cominciamo a vedere in base alle cifre quali fossero i rendimenti delle terre medievali, così mal coltivate, così poco concimate, così facilmente destinate all’esaurimento. Per l’alto Medioevo è difficilissimo reperire dati di questo tipo nella scarsissima documentazione esistente. Ma qualcosa gli specialisti sono riusciti a rintracciare. C’è chi parla, per la Francia del IX secolo, di rese della semente del 2,2 per 1 come di un livello già rispettabile. Per l’Italia, in alcune corti del monastero di San Tommaso di Reggio, si è potuto constatare che almeno nelle terre «dominiche» la redditività della terra era nel secolo X un po’ più alta, variando il prodotto da poco più o meno del doppio della semente a pressappoco il triplo della stessa.« Colpiscono, però, le forti variazioni intercorrenti fra un possesso e l’altro ». A Zeola, l’attuale Sciola di Tizzano, nella montagna parmense, si registra la resa minima: 1,7. Ad Inciola, l’odierna Enzola, nella bassa pianura reggiana, la resa massima: 3,3 per 1. Ragioni climatiche e pedologiche stanno alla base del fenomeno. In Emilia, infatti, «il territorio più adatto alla coltivazione del grano è la bassa pianura, soprattutto quella più vicina al Po. Dopo viene l’alta pianura. Collina e montagna sono ben lontane dall’offrire alla coltura dei cereali i vantaggi delle due prime zone. Infatti, tranne la nebbia, che favorisce la ruggine del frumento, le altre caratteristiche della pianura emiliana sono propizie al grano: il freddo e la neve dell’inverno; l’aumento graduale della temperatura da gennaio a giugno, più regolare nella Bassa; la forte umidità dell’aria, che cresce a mano a mano che ci si allontana dall’Appennino e ci si avvicina al Po o al mare, e colla presenza di canali, stagni, paludi; la nebulosità del cielo, così frequente in quelle zone» (V. Fumagalli).

Tutte le «scoperte» medievali alzarono, poco a poco, questi bassissimi livelli, che rimasero tuttavia sempre bassi. Nelle campagne di Neubourg, in Normandia, il rendimento medio del grano è attualmente del 20 per 1, ma fino all’inizio del XV secolo non pare superasse mai il 3,2 per 1. I rendimenti di Roquetoire, nell’Artois, dove il grano rese il 7,5 per 1 nel 1319, l’11,6 nel 1321, appaiono eccezionalmente alti per l’epoca. Gli agronomi inglesi del XIII secolo fissano come tassi di rendimento normali 8 per l’orzo, 7 per la segala, 6 per le leguminose, 5 per il frumento, 4 per l’avena. Slicher Van Bath, che ha riunito i dati raccolti da studiosi diversi per numerose proprietà, giunge però a dimostrare che nella realtà i rendimenti erano, nell’Inghilterra di quel secolo, sensibilmente più bassi: 3,8 per il frumento, 3,6 per l’orzo, 3,4 per la segala, 2,4 per l’avena, 3,4 per i piselli. In montagna le rese ovviamente si abbassavano. Nelle Alpi provenzali il grano pare rendesse, verso il 1340, il 4 per 1, ma nelle zone alte solo il 2 per 1. Per l’Italia disponiamo ancora di scarsissimi dati. Nelle terre di un mercante aretino si ebbero probabilmente, verso la fine del Trecento, rese del 5-7 per 1. C’è chi pensa che rese oscillanti tra l’8 e il 12 per 1 non fossero troppo lontane da quelle del Polesine o del Valdarno nel Quattrocento, considerate zone fertili. Normale in altre regioni doveva essere una rendita del 3-6 per 1 e forse non si andava lontani da una media del 4 per 1.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06