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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


2. Gli uomini e lo spazio coltivato

6. Il sovrappopolamento e i sintomi del malessere (fine XIII-inizio XIV secolo)

Tra la fine del XIII secolo e i primi decenni del XIV l’Europa raggiunse densità demografiche mai conosciute in passato. Secondo i calcoli del Russell, da altri emendati o discussi, la parte occidentale del continente avrebbe visto la sua popolazione toccare i 54.400.000 abitanti prima del 1348, registrando un incremento del 140% rispetto al 950. Le ricerche di demografia storica, che vanno sempre più moltiplicandosi, dimostrano anche che la popolazione era diversamente distribuita nei vari paesi e all’interno dei medesimi. Per la Francia (nei confini attuali, notevolmente più ampi di quelli di allora) si propongono cifre oscillanti tra i 19 e i 21 milioni di abitanti tra il 1328 e il 1340; per la Germania intorno al 1340 si parla di 14 milioni; per l’Inghilterra tra il 1340 e il 1348 si oscilla tra 3 milioni e mezzo e 4 milioni e mezzo. Verso l’inizio del secolo, infine, 8.300.000 abitanti avrebbe annoverato la penisola iberica, 8.500.000-8.700.000 l’Italia, 600.000 la Svizzera, altrettanti i quattro paesi scandinavi, 1.100.000 i Paesi Bassi, 1.300.000 la Polonia. Per la Germania si parla di una densità di 24 abitanti per kmq. Un po’ superiore, anche se non di molto, doveva essere la densità dell’Italia, nella quale, però, dai 19,4 abitanti per kmq della Sicilia e alla più scarsa popolazione del Meridione in genere, si passava alla densità tre, forse quattro volte più alta della Toscana. In Fiandra si sarebbero raggiunti i 60 abitanti per kmq, mentre infinitamente più radi erano gli abitanti dei paesi scandinavi. Tutte queste cifre, quelle di alcuni paesi più delle altre, hanno solo valore indicativo. Se osservate nel loro complesso e tenendo conto che l’agricoltura del tempo, nonostante tutti i progressi realizzati, è ancora a livelli bassissimi di produttività, esse sono tuttavia sufficienti a farci concludere che l’Europa occidentale dell’età di Dante era molto fittamente popolata, che anzi, come si ripete ormai sempre più spesso, era con ogni probabilità sovrappopolata, così da creare gravi problemi di sussistenza.

Dalla metà del XIII secolo, del resto, i dissodamenti cessano di progredire, non tanto perché non ci siano più terre incolte o boscose da bonificare quanto perché si tratta di terre di rendimento sempre più scarso e ipotetico. Molteplici sono i segni indiretti delle aumentate difficoltà. Le reiterate spartizioni successorie delle terre contadine danno una dimostrazione della proliferazione familiare e del rapido aumento della popolazione sulle tenures o sulle libere proprietà. In Inghilterra, dove una documentazione particolarmente preziosa ha permesso di condurre studi più precisi, si nota un rialzo sostenuto del prezzo dei cereali, indice della «crescente tensione della domanda». Equiparato a 100 il prezzo negli anni 1160-1179, si passa a 139,3 nei venti anni seguenti, a 203 nel 1209-1219, per salire a 214,2 nel 1240-1259 e a 279,2 nel 1280-1299. Solo in parte questo aumento potrebbe essere attribuito all’aumento del numerario circolante, perché nessun altro prodotto pare averne subito uno di tal misura. Più violento ancora, almeno a partire dall’inizio del XIII secolo, sarebbe stato l’incremento nell’Italia settentrionale, dove da un indice 37,8 nel 1201-1250 il prezzo del frumento passa a un indice 72,8 nel 1251-1300. Per converso i salari paiono, in Inghilterra, immobili o anche in leggero regresso.

Più probante, anche se costituisce una statistica isolata, l’evoluzione dei tassi di mortalità calcolabile attraverso i conti conservati negli archivi vescovili di Winchester per il periodo 1240-1350. Nel 1245 la «speranza di vita» di un uomo di più di vent’anni era di ventiquattro anni. Nell’intero periodo il tasso di mortalità risulta del quaranta per mille, mortalità infantile esclusa. Calcolandovi anche quest’ultima, di cui i documenti non parlano ma che era sempre altissima, si può ragionevolmente arrivare a una mortalità del 70 per mille per l’insieme della popolazione, un tasso cioè molto più alto di quello rilevato dalle statistiche moderne nelle popolazioni più arretrate. Questo tasso cresce comunque ancora a partire dal 1290, raggiungendo, per gli adulti, il 52 per mille tra il 1297 e il 1347. La speranza di vita cade allora a vent’anni soltanto. Questi dati rivelano un progressivo peggioramento organico e una forte sensibilità alle epidemie da parte di una popolazione in stato di deperimento fisico.

Tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, anche se in alcuni settori si registra un aumento, la crescita demografica pare ormai arrestarsi e anzi, qua e là, inizia la recessione. Dal 1250 circa sembra che sulle campagne inglesi e su quelle francesi si abbattano crisi granarie molto gravi, di entità superiore a quelle verificatesi nei duecento o duecentocinquant’anni precedenti. La prima metà del secolo successivo poi segna un netto peggioramento. Indipendentemente dalle carestie locali, sempre normali per il Medioevo, e anche da quelle regionali, è stato possibile identificare negli anni 1315-1317 e nel decennio 1340-1350 momenti particolarmente difficili. Si tratta, in questi casi, di carestie generali che coinvolgono tutto il continente o una sua larghissima parte, passando sopra alle differenze di clima, di coltivazioni, di densità demografica fra le varie regioni. Più in particolare per la Francia sono state accertate carestie per gli anni 1304, 1305, 1310, 1315, 1330-1334, 1344, 1349-1351. Per la regione parigina è necessario aggiungere gli anni 1322 e 1325, per alcune zone della Francia meridionale gli anni 1312, 1313, 1323, 1329, 1335-1336, 1337, 1343.

Ogni carestia determinava un’alta mortalità fra le classi più umili, contadini compresi. Ad Ypres dall’inizio di maggio all’inizio di novembre del 1316 morirono 2660 cittadini, cioè il 10% circa della popolazione. A Bruges, meglio approvvigionata di cereali per via marittima, i morti furono 2000, cioè il 5,5% della cittadinanza. Terribile per le città toscane, emiliane, umbre risultò l’annata 1346-1347. A Firenze sarebbero morte di fame 4000 persone dei ceti più umili, cioè il 5% circa della popolazione. Gravissima la mortalità infantile a Bologna.

Si pensa normalmente che la causa dei cattivi raccolti e delle crisi ricorrenti sia da ricercare nell’esaurimento di una parte almeno delle terre coltivate, per eccessivo e prolungato sfruttamento cerealicolo e mancata rigenerazione per scarsità di concimi. Forse — in questi ultimi anni il problema è al centro delle discussioni fra gli studiosi — si registrò anche un peggioramento nelle condizioni climatiche, un ritorno verso un livello più rigido, con «spaventosi uragani» e «temporali gelati». I segni e le conseguenze sarebbero evidenti e molteplici: spopolamento della Groenlandia; ghiacci circondanti, almeno in un certo numero di annate, il Mar Baltico; avanzamento dell’area dei ghiacciai alpini; abbassamento del limite di altitudine delle foreste dei Sudeti; abbandono della cerealicoltura in Islanda; regressione della viticoltura tedesca e crollo di quella inglese.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06