Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Strumenti > La predicazione nell'età comunale > 15

Strumenti

La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


15. La predicazione domenicana nel Trecento

La predicazione volgare di fra Giordano non è un fenomeno isolato. L'Ordine domenicano nel Trecento sembra impegnato in un'opera tenace di volgarizzamento della cultura, che avviene innanzitutto attraverso la predicazione, ma anche con altre iniziative atte a promuovere l'educazione religiosa del laicato. Centro importantissimo di queste iniziative è il più volte citato convento di Santa Caterina di Pisa: qui Domenico Cavalca (1270-1342) e Bartolomeo da San Concordio († 1347) compongono alcuni trattati ispirati alla loro predicazione e diretti a fornire materiali e suggerimenti ad altri predicatori. La traduzione delle Vite dei Santi Padri, certo il capolavoro del Cavalca e della sua officina, è una galleria di exempla che ispirerà non solo l'iconografia (si pensi agli affreschi del Camposanto pisano), ma la predicazione e in generale la letteratura di pietà. L'Esposizione del Credo e del Pater Noster continuano la tradizione dei cicli di prediche sui testi fondamentali della preghiera e della liturgia, raccomandati fin dal secolo precedente dai Concili, e particolarmente familiari ai domenicani: si pensi alle prediche sul Credo di san Tommaso, di Aldobrandino da Toscanella, di Giordano da Pisa. La Medicina del cuore e il Trattato sulle trenta stoltizie per l'impianto, basato sulle distinctiones, per i materiali usati (exempla, catene di auctoritates) risentono evidentemente della tecnica predicatoria del Cavalca. Gli ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo da San Concordio sono una raccolta di citazioni sacre e profane, elemento immancabile nella predica, come s'è visto; in particolare la Distinzione II (Di dottrina e modo di parlare) contiene suggerimenti retorici che sembrano riprendere alcuni tópoi delle artes praedicandi.

È noto che lo Specchio di vera penitenza di Jacopo Passavanti (1302-1357), uno dei capolavori della letteratura devota del Trecento, è derivato dalle prediche tenute in volgare in Santa Maria Novella «per molti anni e spezialmente nella passata Quaresima dell'anno presente 1354», come si esprime l'autore nel Prologo. Recentemente si sono rintracciati del Passavanti trenta Sermones de Tempore, che vanno dall'Avvento alla prima domenica dopo la festa della Trinità: sono ovviamente modelli ad uso dei predicatori, costruiti secondo le regole della divisio del versetto iniziale. Vi si leggono citazioni ed esempi già noti dallo Specchio, ma questo sermonario risale probabilmente alla giovinezza dell'autore, che qui ci si presenta nelle vesti del frate classicista, appassionato studioso di mitologia e di storia antica, infaticabile collezionista di citazioni tratte da autori profani e sacri. I sermoni dovettero avere circolazione limitata, e ciò soprattutto per la loro eccezionale lunghezza: il sermone della domenica IV dopo l'Ottava di Pasqua, che è il più esteso, è un vero trattato sulla Beatitudine. Lo stesso autore nel prologo esorta il lettore a non indietreggiare di fronte alla mole dell'opera, e ad estrarre solo ciò che gli può servire:


Non ergo exterreat sermonum prolixitas, quia sunt taliter ordinati quod lector resecare poterit secundum suum arbitrium, ut placuerit et tempus et locus et auditorum condicio requisierit.


[Non si spaventi il lettore per la lunghezza dei sermoni, perché sono ordinati in modo che possa ricavare ciò che gli piace, a secondo del tempo, del luogo e della condizione dell'uditorio].


Vi fu chi risparmiò ai lettori questa fatica, cioè Nicoluccio d'Ascoli, un domenicano educato a Bologna, più tardi priore di Sant'Andrea a Faenza e di San Pietro Martire ad Ascoli Piceno. I suoi notissimi Sermones de mortuis secundum evangelia dominicalia sono una riduzione del sermonario passavantiano. Ancora più diffusi furono i Sermones de epistulis et evangeliis dominicalibus, scritti dopo il 1342; e i Sermones 46 de epistolis ferialibus et dominicalibus Quadragesimae, che circolarono perfino in àmbito agostiniano. Nicoluccio, che ha l'arte di variare il discorso con curiosi esempi (uno è tratto dal Milione di Marco Polo) e con rarità dottrinali, godette di straordinario successo: lo dimostra anche il fatto che sotto il suo nome circolarono alcune raccolte (Sermones de Sanctis, Collationes super Lucam), compilate dal domenicano Francesco Galvani, inquisitore a Genova dal 1348 al 1352.

Nello Studium di Santa Maria Novella, accanto al Passavanti e ad altri famosi domenicani (quali Riccoldo da Monte Croce, Filippo da Pistoia), visse Taddeo Dini (1284-1359), personaggio tanto popolare da essere assunto come protagonista di una novella del Sacchetti (v. Trecentonovelle LX). Il Necrologio del convento ne esalta la pronta inventiva e l'abbondanza della parola: egli avrebbe composto molte migliaia di sermoni diffusissimi nell'ordine domenicano, poiché l'autore li prestava generosamente ai confratelli. Fino a ora si conoscono di Taddeo un centinaio di sermoni latini e un Tractatus de latitudinibus f ormarum, opere del tutto inedite; è falsa invece l'attribuzione di tre prediche in volgare. L'autore di queste prediche è fra Giordano da Pisa; il Dini, che lo venerava, probabilmente si servì delle sue prediche e le conservò tra i suoi schemi latini.

Alla corte di Napoli, dove l'eloquenza sacra sotto il regno di Roberto d'Angiò divenne un mezzo di espressione perfino per i laici, fiorì nella prima metà del secolo fra Giovanni Regina. Passato il periodo degli studi a Parigi (1309-1317), egli insegnò e predicò nel convento di San Domenico Maggiore, godendo di stima e protezione a corte. Promotore della canonizzazione di san Tommaso, il Regina si reca più volte ad Avignone, ascoltato e consultato dai papi: nel 1317, di ritorno da Parigi, vi pronuncia il discorso di saluto al Generale dei Minori, non ancora caduto in disgrazia, Michele da Cesena; nel 1322 espone le sue dottrine sulla povertà e l'anno seguente tiene una serie di allocuzioni, purtroppo perdute, per la canonizzazione di Tommaso d'Aquino. Divenuto Cappellano pontificio (1347), accompagna e presenta alla Curia avignonese (1348) la regina Giovanna, che viene a prestare giuramento di fedeltà e a chiedere la dispensa per le nuove nozze con Luigi di Taranto. Il Regina è uno dei predicatori più vivaci del Trecento: ai pochi documenti della sua predicazione universitaria parigina (8 prediche del 1314), si contrappone una serie di sermoni sui santi, e soprattutto di allocuzioni funebri tenute in San Domenico Maggiore, tutte di notevole interesse storico. Alcune delle figure più importanti della tormentata storia napoletana del Trecento, da Carlo II al principe Filippo di Taranto ad altri meno noti dignitari di corte, vengono evocate con pacata e solenne commozione nei discorsi di questo Bossuet trecentesco.

Non tutto purtroppo ci è giunto del Trecento domenicano. Mancano alcuni famosi sermonari, ad esempio quelli vari e ricchi, adatti a diverse circostanze (De Tempore, De Sanctis, De Mortuis) attribuiti dal cronista domenicano Leandro Alberti al più antico cronista forlivese, fra Girolamo da Forlì (1348-1437), che tuttavia nel gusto dell'aneddoto, delle etimologie, nell'ibridismo linguistico del suo Chronicon rivela alcuni tratti silistici e linguistici che dovevano caratterizzare la sua eloquenza. La predicazione domenicana tiene il campo per tutto il Trecento per mole e per qualità dottrinale e letteraria: aperta a Firenze dalla prosa dotta e tersa di fra Giordano è conclusa dalla eloquenza severa e incalzante di Giovanni Dominici (1357-1419), che in quella stessa città suscita entusiasmi popolari e reagisce alla nuova cultura umanistica.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005