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La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


16. Gli agostiniani

Se nel corso del Trecento i Mendicanti conoscono momenti di crisi, e soprattutto dopo la peste del 1348 i francescani sembrano destinati a una rapida decadenza morale e culturale, gli agostiniani riescono a esprimere una grande e raffinata letteratura, capace di attirare scrittori come il Petrarca e il Boccaccio. Severi e spietati censori dei frati ignoranti e indegni delle loro origini, essi riconoscono in un agostiniano, Dionigi di Borgo San Sepolcro, un caro e grande maestro. All'inizio del secolo l'ordine agostiniano vanta scrittori politici di primo piano e predicatori d'altissimo livello. Egidio Romano (1247-1316), allievo dell'Aquinate e Generale del suo ordine, poi vescovo influente di Bourges, accanto alle sue opere più famose (tra cui il De regimine principum, composto per Filippo il Bello) scrisse alcuni sermoni, di cui sono giunti solo frammenti. Agostino Trionfo (1243-1328), condiscepolo di Egidio a Parigi alla scuola di san Tommaso e poi lettore delle Sententiae in quello Studio, predicò a Mantova, ad Ancona, e soprattutto a Napoli, dove fu chiamato da Carlo II, che lo ebbe tra i suoi consiglieri. I suoi sermoni (De Tempore, De Sanctis) ci sono conservati da un elevato numero di codici, segno della loro ampia diffusione e del prestigio dell'autore. Forse il più grande predicatore agostiniano del Trecento fu Alberto da Padova († 1328), celebre maestro dell'Università di Parigi, autore di vastissime sillogi omiletiche (Postilla super evangelia dominicalia; Postilla super evangelia quadragesimalia): la sua predicazione fu diretta quasi esclusivamente agli studenti e ai colleghi universitari.

In un contesto ben diverso si svolse la predicazione a fondo profetico e politico di Jacopo Bussolari. Jacopo era nato a Pavia da un tornitore di bossolo (da cui il soprannome), ed era entrato giovanissimo nell'ordine degli eremitani; dopo un periodo di tirocinio al convento di Alessandria, era tornato (1356) nella sua città. Pavia, ceduta dai Visconti al marchese del Monferrato, Giovanni Paleologo, era di fatto tiranneggiata dalla famiglia dei Beccaria: il Bussolari, approfittando dello scontento popolare determinato dal rincaro del grano e della farina, si mise a capo del popolo, cacciò i Beccaria, e restaurò le libertà comunali. L'arma più potente del Bussolari era la parola, che conquistò non solo il popolo, ma l'aristocrazia e uomini quali Francesco Petrarca, che la definì «celeste» («celitus data»). Purtroppo di questa predicazione, dove le idee politiche si confondevano con le minacce apocalittiche e con gli incitamenti morali in una torbida e affascinante mistura savonaroliana ante litteram, non ci è giunto, com'era da prevedere, neppure una riga. Caduta la città dopo tre anni d'assedio (1359), Jacopo, prigioniero a Vercelli nel carcere conventuale, sarà costretto al silenzio: di lì uscirà dopo quattordici anni per andare a morire a Ischia, presso il fratello vescovo (1380). Il livello popolare della predicazione agostiniana, mancando i sermoni del Bussolari, è rappresentato significativamente dall'opera di Simone Fidati da Cascia († 1348), ammiratore di Angelo Clareno e predicatore acclamato dalla folla a Roma, Perugia, Gubbio, Firenze, Siena. Egli è noto soprattutto per avere scritto, a istanza di Tommaso Corsini, un grande amico degli agostiniani, l'Ordine della vita cristiana, che si può definire un catechismo; e inoltre per le sue lettere che lo pongono tra i più grandi maestri di spiritualità del Trecento. Un discepolo di Simone, fra Giovanni da Salerno (1317-1388), ci ha lasciato una biografia vivace ed essenziale e ne ha volgarizzato, col titolo di Esposizioni sopra i Vangeli, l'opera più impegnativa: il De gestis Domini Salvatoris. Il volgarizzamento, pur essendo costruito a trattato, rispecchia abbastanza fedelmente la predicazione del Fidati: i Vangeli vengono via via esposti, cioè commentati versetto per versetto, secondo un metodo che rimase sempre in uso in Italia, anche dopo il trionfo del sermo modernus.

Le Esposizioni furono copiate molte volte: uno dei codici più interessanti, conservato a Siena, fu esemplato da Filippo degli Agazzari (1340-1422), che fu priore nel convento di Lecceto (Siena), dove poté conoscere e apprezzare fra Giovanni. L'Agazzari, pur assistendo al fiorire di una cultura nuova, quella umanistica, è un tipico rappresentante della mentalità tardo-medievale. Di lui rimane una silloge di esempi, compilata in vista della predicazione, dove le paure e le contraddizioni del Tardo Medioevo trovano un'allucinata espressione.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005