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La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


2. La lingua

In un famoso Capitolare emanato dal Concilio di Tours nell'813, Carlomagno disponeva che i sermoni fossero tenuti al popolo «in rusticam romanam linguam», cioè nei volgari locali. Ovviamente non si deve credere che i predicatori si servissero di un volgare perfettamente elaborato e distinto dal latino. Il frammento di Valenciennes, registrato da un uditore nel IX secolo, è un esempio della lingua «rustica romana», la quale presenta «un'ossatura latina in cui si incastona il volgare» (Contini). Una «farcitura» analoga, ma più artificiosa, si riscontra in un documento del XII se colo, i Sermoni gallo-italici, provenienti dalla regione piemontese: in essi il latino si alterna con elementi francesi, provenzali e piemontesi. Ma in Francia, a partire dal XII secolo, in cui si assiste a una grande fioritura della predicazione popolare, non è raro imbattersi in sermoni totalmente redatti in volgare. Basti ricordare le omelie tenute tra il 1168 e il 1175 da Maurice de Sully, vescovo di Parigi. Poco più tardi la predicazione in volgare è documentata anche in Inghilterra e in Germania. In Italia occorre attendere l'alba del XIV secolo per trovare la prima ampia documentazione in volgare nel corpus delle prediche di fra Giordano da Pisa. Non che manchino testimonianze sulla predicazione in Italia precedenti a quell'epoca, anzi sono abbondanti, ma tutte ci sono giunte in veste latina. Federico Visconti, arcivescovo di Pisa (1254-1277) tenne spesso sermoni «in vulgari», come avvertono le rubriche del codice della Biblioteca Medicea Laurenziana (Firenze) che li conserva, ma essi sono trascritti in latino. Sembra che la prassi corrente prevedesse l'uso del latino nel sermone universitario o rivolto al clero, e riservasse il volgare alla predicazione per i laici, salvo a registrare anche quest'ultima in latino. Questa tesi, sostenuta da illustri storici della predicazione (da Lecoy de la Marche all'Owst al Galletti), non va intesa in modo troppo rigido. Non è da escludere che, a volte, soprattutto fuori di Toscana, nelle regioni dove il volgare non era ancora giunto a un livello letterario, i predicatori si servissero di una lingua ibrida, mista di latino e di volgare. Il fenomeno, come ha rilevato la Lazzarini, è imponente nel Quattrocento, ma appare già dal XIII secolo. Espressioni in volgare si notano nei sermoni latini di Bartolomeo di Breganze, vescovo di Vicenza, e di Ambrogio Sansedoni di Siena. Fra Remigio de' Girolami ama introdurre nei suoi sermoni, tenuti in Santa Maria Novella, pittoresche locuzioni fiorentine. In uno schema di predica per la prima domenica di Quaresima, per descrivere la lotta tra Cristo e il diavolo nel deserto (Matteo 4, 1), egli ricorre alla terminologia della «lotta libera»:

Et nota quod diabolus primo expertus est si posset eum vincere a le pugnerecciole, scilicet cum lapidibus; secundo a le brachia, unde assumpsit et allegavit in manibus [Deuteronomio 6, 161]. Considera quomodo primo voluit ei dare la volta boccaia, quando dixit si cadens [Matteo 4, 9], secundo la volta del pecto o sopracapo.

[E nota che il diavolo prima cercò di vincerlo, se fosse possibile, a le pugnerecciole, cioè con le pietre; poi a le brachia, e perciò prese e allegò un passo del Deuteronomio essi (gli angeli) ti porteranno sulle mani. Considera come dapprima gli volle dare la volta boccaia, quando disse se in ginocchio mi adorerai; poi la volta del petto o sopracapo].

Uno studio sistematico della tradizione manoscritta della predicazione due-trecentesca raccoglierebbe una documentazione interessantissima sulla diffusione di questa lingua ibrida peculiare dei predicatori.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005