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Didattica > Strumenti > La predicazione nell'età comunale > Testi, 11

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La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


Testi

11. Raccolte di «exempla»

Tra le moltissime sillogi di exempla propongo due campioni. Il primo aneddoto (a) è tratto dal Dialogus miraculorum del monaco cistercense Cesario di Heisterbach († 1240): ed. J. STRANGE pubblicata a Colonia, Bonn e Bruxelles nel 1851; ristampata a Ridgewood, New Jersey, nel 1966, vol. II, pp. 131-132. Questo è il modello probabile della novella di Messer Torello e del Saladino (Decameron X, 9). Segue (b) una pagina del Breviloquium de virtutibus del francescano Giovanni di Galles (1302), secondo uno dei quattro volgarizzamenti toscani a noi noti (cfr. M. BARBI, La leggenda di Traiano nei volgarizzamenti del Breviloquium de virtutibus di fra Giovanni Gallese, Firenze, per nozze Flamini-Fanelli, 1895). Trascrivo dal codice II IV 121 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (cap. XXII, a cc. 21ra-22rb).


a) La storia di Gerardo

In villa quae dicitur Holenbach, miles quidam habitavit nomine Gerardus. Huius nepotes adhuc vivunt, et vix aliquis in eadem reperitur villa quem lateat miraculum quod de illo dicturus sum. Hic sanctum Thomam Apostolum [1], tam ardenter diligebat, tam specialiter prae ceteris sanctis honorabat, ut nulli pauperi in illius nomine petenti eleemosynam negaret. Multa praeterea privata servitia, ut sunt orationes, ieiunia et missarum celebrationes, illi impendere consuevit. Die quadam Deo permittente omnium bonorum inimicus diabolus ante ostium militis pulsans, sub forma et habitu peregrini, in nomine sancti Thomae hospitium petivit. Quo sub omni festinatione intromisso, cum esset frigus, et ille se algere simularet, Gerardus cappam suam furratam bonam satis, qua se tegeret iens cubitum, transmisit. Mane vero cum is, qui peregrinus videbatur, non appareret, et cappa quaesita non fuisset inventa, uxor marito irata ait: Saepe ab huiusmodi trutanis illusus estis, et adhuc a superstitionibus vestris non cessatis. Cui ille tranquillo animo respondit: Non turbari, bene restituet nobis hoc damnum sanctus Thomas. Haec egit diabolus ut militem per damnum cappae ad impatientiam provocaret, et Apostoli dilectionem in eius corde extingueret.

Sed militi cessit ad gloriam, quod diabolus praeparaverat ad ruinam, et inde ille amplius est accensus, unde iste confusus est ac punitus. Nam parvo emerso tempore Gerardus limina beati Thomae adire volens, cum esset in procinctu positus, circulum aureum in oculis uxoris in duas partes dividens, easque coram illa coniungens, unam illi dedit et alteram sibi reservavit, dicens: Huic signo credere debes. Rogo etiam ut quinque annis reditum meum exspectes, quibus expletis nubas cui volueris. Et promisit ei. Qui via vadens longissima, tandem cum magnis expensis maximisque laborioso pervenit ad civitatem sancti Thomae Apostoli. In qua a civibus officiosissime est salutatus, et cum tanta caritate susceptus, ac si unus illorum esset eisque notissimus.

Gratiam eandem ascribens beato Apostolo, oratorium eius intravit et oravit, se, uxorem, et omnia ad se pertinentia illi commendans. Post haec termini sui reminiscens, et in eodem die quinquennium completum considerans, ingemuit et ait: Heu modo uxor mea viro alteri nubet. Impedierat Deus iter eius propter hoc quod sequitur. Qui cum tristis circumspiceret, vidit praedictum daemonem in cappa sua deambulantem. Et ait daemon: Cognoscis me Gerarde? Non, inquit, te cognosco, sed cappam. Respondit ille: Ego sum qui in nomine Apostoli hospitium a te petivi, et cappam tibi tuli, pro qua et valde punitus sum. Et adiecit: Ego sum diabolus, et praeceptum est mihi, ut antequam homines cubitum vadant, in domum tuam te transferam, eo quod uxor tua alteri viro nupserit, et iam in nuptiis cum illo sedeat. Tollens eum, in parte diei ab India in Theutoniam, ab ortu solis in eius occasum transvexit, et circa crepusculum in curia propria illum sine laesione deposuit. Qui domum suam sicut barbarus intrans, cum uxorem propriam cum sponso suo vidisset comedentem, proprius accessit, eaque aspiciente partem circuli in scyphum mittens abcessit. Quod ubi illa vidit, mox extraxit, et partem sibi dimissam adiungens, cognovit eum suum esse maritum. Statim exiliens in amplexus eius ruit, virum suum Gerardum illum esse proclamans, sponso valedicens. Quem tamen Gerardus illa nocte pro honestate secum retinuit.


[In una città chiamata Holenbach abitava un cavaliere di nome Gerardo: i suoi nipoti vivono ancora e nessuno ignora in quella città il miracolo che mi accingo a narrarvi. Gerardo dunque aveva un amore così ardente per san Tommaso apostolo, e lo venerava così specialmente sopra tutti gli altri santi, che non rifiutava l'elemosina a nessun povero, purché la chiedesse in suo nome. Usava anche prestare a quel santo in privato molte attenzioni, come preghiere, digiuni e messe.

Un giorno, col permesso di Dio, il diavolo, che odia ogni bene, bussò alla porta del cavaliere travestito da pellegrino, e chiese ospitalità in nome di san Tommaso. Senza indugio fu introdotto, e poiché faceva un gran freddo e il diavolo fingeva di rabbrividire, Gerardo gli diede la sua bella cappa foderata di pelliccia, perché si ricoprisse durante il sonno. Ma al mattino, non comparendo il falso pellegrino e non ritrovandosi la cappa, nonostante le ricerche più attente, la moglie disse al marito piena d'ira; «Sei già stato ingannato parecchie volte da questi viandanti, e non hai ancora smesso con le tue superstizioni!». Al che Gerardo tranquillo replicò: «Non turbarti, san Tommaso ci ripagherà bene di questo danno». Il diavolo aveva trovato questa via per indurre il cavaliere all'impazienza per la perdita della cappa, e per spegnere nel suo cuore l'amore per l'apostolo Tommaso. Ma ciò che il diavolo aveva preparato per la rovina del cavaliere, ridondò poi a sua gloria: egli diventò più accesamente devoto, e il diavolo fu confuso e punito.

Poco tempo dopo infatti, volendo Gerardo fare un pellegrinaggio al santuario di san Tommaso, sul punto di partire, spezzò un anello d'oro in due parti sotto gli occhi della moglie, e davanti a lei mostrò come esse combaciavano perfettamente; poi gliene diede una e tenne l'altra, dicendo: «Presta fede a questo segno di riconoscimento. Ti chiedo di aspettare cinque anni il mio ritorno, dopo sposa pure chi vuoi». La donna promise. Egli con un lunghissimo viaggio, con grandi spese e indicibili stenti giunse alla fine alla città di san Tommaso apostolo. Lì fu accolto con grandissimo onore dagli abitanti e sostentato con tanta carità come se fosse un loro concittadino, noto da gran tempo. Egli, attribuendo al beato apostolo questo miracolo, entrò nel suo santuario e pregò, mettendo sotto la sua protezione se stesso, la moglie e tutti i suoi beni. Ma ricordandosi all'improvviso del termine fissato al suo ritorno, e riflettendo che in quello stesso giorno spirava il quinquennio, disse con un gemito: «Ohimè, tra poco mia moglie si risposerà!». Dio aveva reso più lungo il suo viaggio per realizzare il miracolo che sentirete. Guardandosi attorno tristemente, egli vide passeggiare con la sua cappa il demonio di cui si diceva all'inizio della storia. Questi chiese: «Mi conosci, Gerardo?». «Non riconosco te – rispose il cavaliere – ma la mia cappa!». E quell'altro: «Io sono quello che in nome dell'Apostolo ti chiesi albergo e ti rubai la cappa, e perciò sono stato punito gravemente». E proseguì: «Io sono il diavolo, e mi è stato ordinato di trasportarti a casa prima che la gente vada a dormire. Tua moglie infatti si è già sposata a un altro uomo, e già siede con lui al banchetto di nozze». Lo prese e in quel che restava di tempo prima della notte lo trasportò dall'India in Germania, dall'Oriente in Occidente, e verso il crepuscolo lo depose sano e salvo nel suo palazzo.

Gerardo, entrando in casa sua come uno straniero, avendo scorta la moglie a banchetto col suo sposo, si avvicinò, e sotto i suoi occhi gettò in una coppa una metà dell'anello; poi si scostò. Non appena vide questo gesto, ella estrasse la parte dell'anello, e accostatolo alla metà che le era stata lasciata, riconobbe che quello straniero era suo marito. Sùbito, balzata in piedi, si gettò tra le sue braccia, gridando che quello era suo marito, Gerardo, e congedò il novello sposo. Ma Gerardo per quella sera lo pregò di trattenersi a banchetto perché non fosse disonorato].

b) Continenza di Diogene

Valerio [2] narra della grande continenzia di Diogene filosafo, che vegnendo Allexandro a lui, trovandolo sedere al sole, sì li disse: «Io ti priego che se tu hai bisogno di nulla, che tu lo mi dica, e io te 'l darò». Allora Diogene non si levò da sedere, e rispose: «A uomo robusto, cioè savio, non fa bisogno prestanza, ma io vorrei che tu non stesse tra me e 'l sole». Allexandro s'era isforzato di sapere se potesse levare Diogene dalla sua continenzia, però che mai non volle possedere alcuna cosa, e più tosto arebbe vinto, e vinse, Dario che Diogene. E di ciò disse Seneca che più ricco e più potente fue Diogene che Allexandro, lo quale possedea tutto lo mondo, però che più era quello che Diogene non arebbe tolto o voluto, che tutto quello che Allexandro avesse potuto dare; e in quello die fue vinto Allexandro, però che trovò uomo al quale non poté dare né torre alcuna cosa.

E di lui parla quello altro filosafo dicendo: Diogene famosissimo filosafo fu via più potente d'Allexandro, però che vinse la natura umana; però che, essendo lui discepolo d'Antistine, lo quale neuno discepolo tenea da certo tempo innanzi, vogliendo cacciare da sé Diogene, non poteo, e alla fine lo minacciò di darli con uno bastone. Allora Diogene chinò le spalle e disse: «Non fie [3] sì duro bastone che mi possa fare partire dal tuo servigio». E di lui parla Orazio [4], e dice che per la sua continenzia non si vestiva quando era caldo se non d'uno pannolino sottile, e quando era freddo l'adoppiava [5]. Lo suo celleri [6] era uno vaso di legno e la sua casa era una cesta, la quale volgea come si volgea lo sole: quando era di verno volgea la bocca verso lo sole, e la state facea lo contrario. Lo suo aiuto era uno bastone, lo quale tenea per andarsi apoggiando quando era vecchissimo. Lo cibo chiedeva, e più non tollea che li bastasse per volta. E un dì vide uno fanciullo bere l'acqua con mano: incontenente [7] gittò lo nappo suo e disse: «Io non sapea che la natura avessi dato nappo all'uomo…»

[1] San Tommaso, apostolo ed evangelizzatore dell'India. Cfr. Legenda Aurea, cap. 5.

[2] S'intende Valerio Massimo, autore dei Factorum et dictorum memorabilium libri novem, fonte importantissima della narrativa medievale (cfr. ed. C. KEMPF, Stuttgart, Teubner, 1888, libro IV, cap. III, Ext. § 4, p. 186).

[3] Sarà.

[4] Epistola XVII, vv. 25 segg.

[5] Ne usava uno più pesante.

[6] Cantina.

[7] Sùbito.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005