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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


2. Le città dall'età tardo-antica all'età gota

Nella tarda età romana le città si presentavano come un centro detto urbs, civitas – in senso ristretto – oppure oppidum; questo centro era cinto di mura, o comunque ben delimitato dal pomerium [1], e contornato da una zona suburbana del raggio di un miglio cui si dava il nome di mille passus, al di là del quale si estendeva il territorium, suddiviso in pagi, sparsi di vici, cioè di centri abitati minori. Territorium e urbs (civitas, oppidum) costituivano la civitas, la cui organizzazione amministrativa era detta municipium.

Le città erano il punto di convergenza della vita politica, sociale, economica, culturale del territorio circostante; le relazioni fra le città e il territorio erano così strette che più di una colonia romana finì per qualificarsi con il nome della popolazione in mezzo alla quale era stata fondata per ragioni politiche e militari: esempi tipici sono Lutetia Parisiorum, Augusta Trevirorum, Augusta Taurinorum.

Le istituzioni municipali erano modellate su quelle di Roma e si imperniavano sulla curia, il senato locale. L'amministrazione abitualmente non era buona e metteva in pericolo l'esatto versamento del tributo dovuto allo Stato, così che l'autorità centrale aveva finito per nominare degli ispettori, i curatores, che regolassero la gestione delle finanze locali. La pratica del controllo dall'alto, l'avocazione ai funzionari imperiali delle attività e degli affari più importanti avevano tolto prestigio e dignità alle magistrature locali. La progressiva estinzione delle grandi famiglie e il parallelo generale impoverimento conseguente alla crisi del III secolo avevano d'altra parte ristretto il numero delle persone in grado di avvicendarsi nei pubblici uffici, tanto più gravosi in quanto il governo imperiale riteneva i magistrati e i curiali responsabili personalmente e con i loro averi del pagamento delle imposte e della leva dei coscritti.

Poiché i patrimoni individuali rispondevano solidalmente del pagamento delle imposte, ai proprietari fondiari fu proibito l'esercizio del commercio e degli affari, che possono arricchire ma possono anche portare alla rovina. Anche i commercianti e gli artigiani dovevano pagare dei tributi e gli uni erano responsabili per gli altri nell'ambito dei collegia – cioè delle corporazioni – nei quali erano forzatamente uniti e dai quali non potevano sciogliersi, costretti per tutta la vita a continuare nella stessa attività.

Era un regime che paralizzava ogni forma di attività; quando poi si tiene presente che nel corso del III secolo, nell'imminenza delle prime scorrerie di barbari, le città hanno frettolosamente rialzato le loro mura, tagliando fuori i quartieri periferici per poter meglio concentrare la difesa, ci si rende conto come la vita urbana decadesse rapidamente. È famoso un passo di sant'Ambrogio, che, dopo un viaggio attraverso Bologna, Modena, Reggio, Brescello, Piacenza lamenta semirutarum urbium cadavera, terrarumque sub eodem conspectu posita funera: la rappresentazione era forse un po' retorica, ma la realtà che l'aveva ispirata era certamente una squallida realtà [TESTIMONIANZA 2]. Dopo aver richiamato l'immagine delle città «retratte» e semicadenti, dobbiamo ricordare che tutti o quasi tutti i municipi romani divennero sedi vescovili e che il vescovo era eletto dal clero e dal popolo della città, che lo considerava sua creatura e al tempo stesso suo capo e protettore [BRANO CRITICO 9]. Dobbiamo precisare anche che in età tardo-romana la sede vescovile non era, come sarà più tardi, situata nel centro della città: essa era invece fuori delle mura, presso quel cimitero suburbano ove erano stati quasi nascostamente seppelliti i primi cristiani e dove si continuavano a seppellire i seguaci della fede diventata ormai la fede di tutti.

Il breve dominio di Odoacre (476-493) non incise nell'ordinamento delle città, anche se più di una fu danneggiata – e gravemente – nel corso della guerra che egli sostenne con Teodorico. Come andassero poi le cose al tempo di Teodorico lo sappiamo dalle lettere che il suo ministro Cassiodoro scriveva per le città di Trento, Pavia, Parma, Forlì, Istonio, Napoli, Catania, le quali attestano che dall’estremo sud all’estremo nord della penisola le curiae esistevano e funzionavano [2], mentre la cittadinanza tutta – curiali o no, possessores o no, collegati o no – continuò a essere ritenuta solidalmente responsabile delle imposte e delle prestazioni dovute dai singoli.

I Romani non facevano parte dell'esercito combattente, che era composto esclusivamente di Goti, ma erano tenuti a tutte le prestazioni accessorie e connesse al servizio militare, quali il servizio di guardia alle mura delle città, la manutenzione delle opere di fortificazione, la fornitura e il trasporto di derrate e di materiale vario per l'esercito: tutte prestazioni che si fusero e si confusero con altri obblighi di carattere più propriamente finanziario e amministrativo e furono richieste in base alla residenza dei singoli contribuenti, ai quali era negato il diritto di trasferirsi da un luogo all'altro.

Dando base territoriale ai doveri dei singoli, ne venne di conseguenza che ci si avviò a sciogliere l'unità tra l'urbs e il suo territorio, rompendo quei complessi che gli antichi avevano indicato con il nome di civitas: termine che allora si cominciò ad applicare alla sola urbs, con il suburbium quale entità distinta dal territorium. Anche questo è un punto da tenere ben presente per le conseguenze che ne deriveranno.

Così l'abitante fu legato alla città come il colono alla terra; e le suddivisioni topografiche della città, nettamente segnate dal cardo e dal decumano, furono utilizzate per la ripartizione dei tributi e delle prestazioni a cui erano tenuti i cittadini: in primo luogo per il servizio di guardia e per la manutenzione e il rifacimento delle mura, che era uno dei problemi del momento.

È noto che Teoderico dedicò molte cure alla città: laus est temporum reparatio urbium vetustarum, egli diceva; ma le sue preoccupazioni erano più militari che urbanistiche, perché, evidentemente, egli temeva che il suo regno potesse essere assalito da qualcuno dei regni vicini o da nuovi invasori barbari o fors'anche dall'impero bizantino. Il problema della sicurezza è in primo piano e si riassume in un'espressione che troviamo nelle Variae; restaurando le città, et ornatus pacis adquiritur, et belli necessitati precavetur; tuttavia Teoderico sa che la città non è soltanto un complesso di edifici, ma è una comunità umana, una comunità basata su rapporti materiali e spirituali, e cerca di stimolarne il patriottismo, lo spirito civico [TESTIMONIANZA 3].

Tutto questo, nel quadro di una modesta ma innegabile ripresa economica – l'Italia in età teodericiana ricomincia ad esportare prodotti agricoli –, tutto questo avrebbe potuto portare a una ripresa della vita cittadina; ma le vicende della guerra gota (535-553) pesarono duramente sulle città, devastate dagli eserciti, dalle epidemie, dalle carestie. L'organismo municipale ne fu scosso e scardinato e la classe dei curiali, già poco numerosa, diminuì ancora [TESTIMONIANZA 4].

Le popolazioni cittadine, accresciute da torme di profughi, trovarono dei capi, o per lo meno dei protettori, nei vescovi: essi si assunsero molti compiti e molte responsabilità, civili, e perfino militari. È in quest'epoca che nelle città si organizzano le prime milizie cittadine.

[1] Il pomerium era una fascia di terreno non edificato e non edificabile, segnata da cippi e larga due o tre metri.

[2] Le lettere di Cassiodoro, fonte principale per l'età gota, sono pubblicate nei «Monumenta Germanica Historica», AA. XII.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08