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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


4. Le città dell'Italia longobarda

La cronaca dell'invasione longobarda e delle guerre di conquista condotte più tardi parla con una certa frequenza di distruzioni di città, ma sarebbe molto imprudente prendere alla lettera notizie che in realtà possono essere soltanto formule topiche o argomenti polemici.

 L'avanzata dei Longobardi dal Friuli a Benevento, da Pavia a Genova e Bologna, si realizzò nel corso di centosessant'anni (568/9-729) e in circostanze che non furono sempre e dovunque le stesse. Pare che al tempo di Alboino, deliberatamente attento a riattaccarsi alla tradizione teodericiana, i Longobardi abbiano seguito nei confronti delle città una politica che ricalcava quella dei Goti; durante l'interregno il trattamento può essere stato arbitrario e dispotico, tuttavia la nozione di città, la nozione del valore giuridico della qualifica di civitas non andò perduta: nel 643 Rotari, furioso per la resistenza che gli avevano opposto le città della Liguria marittima, muros earum usque ad fundamentum destruens, vicos has civitates nominare praecepit [1]. Se la qualifica di città poteva essere tolta per punizione, è evidente che ne derivavano diritti e prerogative di qualche importanza.

Le liste episcopali di molte città italiane presentano delle interruzioni proprio negli anni che seguirono immediatamente l'invasione longobarda; e questo è indubbiamente indizio di un forte turbamento della vita cittadina, che trova però compenso nel fatto che duchi e gastaldi si stabilirono nelle città, apprezzandone anzitutto la qualità di luoghi fortificati: è infatti dalla città in cui risiedono che duchi e gastaldi prendono nome. Non risulta che duchi e gastaldi si siano mai occupati di questioni cittadine, e la quasi totale carenza di norme di polizia urbana nelle leggi longobarde autorizza a ritenere che, anche se non si trova più alcuna traccia delle curie, qualche resto dell'antica autonomia municipale sopravvivesse. È molto probabile che esistessero differenze, talvolta molto sensibili, tra una città e l'altra; tuttavia dai documenti, per quanto scarsi, si può cogliere qualche tratto valevole per tutte.

L'editto di Rotori, al c. 244, prevede una multa per chi uscisse dalla città – o vi entrasse – scalando le mura anziché passando regolarmente per le porte: è una norma di polizia e di sicurezza che non ha bisogno di commento. Più interessanti gli articoli 35-40, che stabiliscono una graduazione della pena, cioè della multa, da infliggere ai perturbatori dell'ordine pubblico a seconda che commettano il reato nel palazzo del re, in una chiesa, in una città in cui si trova il re, in una altra città qualunque: gradazione di pene che indica come la città godesse di una speciale protezione giuridica in confronto al territorio esterno.

L'editto di Rotari, che riconosce l'esistenza della consuetudo loci, della fabola inter vicinos, che parla di congregatio populi e proibisce le riunioni e le associazioni che possono turbare l'ordine pubblico, riconosce anche la liceità del conventus ante ecclesiam [2].

L'organizzazione degli antichi municipi posava sulla curia, che aveva esautorato l'assemblea generale del popolo; ma la decadenza delle curie e gli oneri d'ogni genere che le vicende del V e VI secolo imposero alla popolazione cittadina nella sua totalità, senza distinzioni di classe, fecero sì che quando si dovevano prendere deliberazioni di particolare importanza si ricercasse il communis consensus di tutta la popolazione, riunita in assemblea, ed è naturale che quest'assemblea si localizzasse davanti alla chiesa, dove tutta la popolazione si riuniva periodicamente per assistere ai sacri riti.

È ovvio però che in quest'assemblea chi aveva più probabilità di farsi valere, di far prevalere la propria opinione, erano i personaggi più in vista per le loro qualità intellettuali e morali, ma anche per le loro ricchezze. Le curie non esistono più; i proprietari fondiari esistono, anche se non sempre e non tutti sono discendenti degli antichi possessores, ma sono loro, i maggiorenti, i notabili, come li chiameremo d'ora in poi per intenderci, che praticamente dirigono la vita cittadina.

 Non si sa chi convocasse e presiedesse il conventus, ma si sa che vi si trattavano le questioni di interesse comune: elezione del vescovo, amministrazione dei beni della chiesa, lavori pubblici, manutenzione delle mura, amministrazione dei beni della città, questioni relative al mercato e agli approvvigionamenti, norme sanitarie ecc…

L'esistenza – documentata per varie città – di individui che portano il titolo di notarius civitatis, lascia intendere che le deliberazioni di quest'assemblea venivano messe per iscritto; ciò comportava l'esistenza di un luogo dove depositare e conservare tali scritture e non è improbabile che ci si valesse di qualche locale dell'antica curia o della sacrestia della cattedrale.

Testi del secolo VIII indicano dei contingenti armati con il nome della città di provenienza: è da ritenere che gli abitanti fossero chiamati e si riunissero secondo il quartiere in cui abitavano, così che il rapporto di vicinanza si rafforzava con un rapporto di solidarietà militare; ma sarebbe molto arrischiato considerare queste designazioni di contingenti armati con il nome della città come indizio di un’attività militare autonoma delle città, distinta da quella del duca o del gastaldo, agenti del re: si devono piuttosto interpretare come una prova dell'ormai avvenuto inserimento dei Longobardi nella città e nella vita cittadina in tutta le sue forme. Nei documenti privati dell'età longobarda si vedono agire personaggi molto ricchi e molto in alto nella scala sociale, ma si vedono agire anche personaggi molto più modesti, artigiani o mercanti, che pure hanno larghe disponibilità di capitali e risiedono nelle città. Fin dal 750 i mercanti furono chiamati alle armi alle stesse condizioni dei proprietari di immobili. Inutile chiedersi se erano esclusivamente dei Romani o se in mezzo a loro c'erano dei Longobardi, perché non abbiamo alcun dato in proposito: quel che è certo, è che intraprendevano lunghi viaggi d'affari, recandosi anche in Francia e in Inghilterra, che davano e ricevevano danaro a mutuo e che costituivano società commerciali [3].

È nel corso del secolo VIII, durante il regno di Liutprando, che viene composto il Versum de Mediolano civitate, prima manifestazione di quel patriottismo cittadino che sarà una delle note caratteristiche dell'età comunale [TESTIMONIANZA 5].

Si potrebbe – arrivati a questo punto – discutere, se in questi frammenti discontinui ed eterogenei si devono riconoscere delle manifestazioni dii continuità locale, continuità attraverso il cambiamento e l'adattamento, o se si deve attribuire una certa parte, e quale parte, alle mutuazioni da una città all'altra, alla reincarnazione di antiche tradizioni non dimenticate anche se interrotte. Si potrebbe discutere quanto questo fenomeno può o non può essere generalizzato ed esteso a tutte le città del regno longobardo. Ma anche presupponendo una iniziale diversità delle condizioni da una città all'altra, bisogna ammettere – per lo meno come ipotesi di lavoro – che, negli ultimi tempi del regno longobardo, in tutte le città si era stabilita una certa uniformità; che la legislazione carolingia rispettò e anzi rafforzò. Ciò che differiva, e che spiega certe evoluzioni ulteriori, era lo spirito, la disposizione degli abitanti, ciò per motivi strettamente locali, che gli storici cercano di spiegare sia con la situazione economica di fondo, sia con le attitudini mentali e psicologiche stimolate da capi di particolare abilità, capaci di instaurare e continuare una tradizione politica.

[1] FREDEGARII, Chronica, in «Monumenta Germanica Historica» SS. rer. merov., II, pp. 156-157.

[2] L'edizione migliore delle leggi longobarde è quella del BLUHME, Edicta ceteraeque leges Langobardorum, in «Monumenta Germanica Historica», SS. in schol., Hannover, 1869. Cf. Rotari, artt. 179, 343, 346. Fabola inter vicinos significa assemblea tra vicini, cioè tra abitanti del vicus.

[3] Edicta…, Liut., artt. 18 e 107.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08