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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana - 8

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


8. Le città dell'Italia meridionale e della Sicilia

Nell'Italia meridionale, accanto alle vecchie città romane se ne trovano di nuove, sulla cui formazione non siamo ancora perfettamente informati: Amalfi, Anversa, Foggia, San Severo, Troia, Molfetta, Lecce, Catanzaro e parecchie altre. Tuttavia anche nell'Italia meridionale sopravvivono e agiscono, numerosissime, le vecchie città romane [TESTIMONIANZE 12, 19, 24].

In via generale possiamo dire che le città dell'Italia meridionale furono il punto d'appoggio, l'obiettivo di quanti si disputavano il dominio della regione, Longobardi, Bizantini, Franchi; che l'alternarsi e l'avvicendarsi delle dominazioni fece nascere fazioni e partiti, favorì l'affermarsi di capipartito e l'effimera instaurazione di regimi personali, nel quadro di insurrezioni e di rivolte contro i funzionari bizantini che assai spesso erano nominati da Bisanzio fra gli elementi locali più invista. Nelle città campane – Napoli, Gaeta, Amalfi – si arrivò abbastanza presto a un regime autonomo, ma personale e autoritario; nelle città pugliesi, più facilmente controllate da Bisanzio, l'autonomia non fu mai raggiunta, anche se vi si aspirava.

La permanenza dell'uso delle parole civitas e civis ci assicura che non si perse mai «il senso della città», il senso di formare una collettività che aveva il diritto di decidere del proprio destino; e a  mantenere vivo questo stato d'animo contribuiva il fatto che le città, continuamente minacciate da scorrerie saracene e slave, dovevano provvedere a difendersi, organizzando milizie che diventavano poi strumento delle contese cittadine.

Anche nel Sud, come nel Nord, la popolazione appare stratificata in maiores, mediocres e minores e anche qui si ha notizia di assemblee in cui si riuniscono tutti gli abitanti per decidere questioni di interesse comune; assemblee che talvolta nominano dei rappresentanti, dei delegati che perfezionino l'affare in questione.

Le città possedevano terre, di cui si poteva disporre soltanto con il consenso di tutti, ma anche al Sud come al Nord nelle assemblee prevalevano coloro che appartenevano ai ceti più elevati, indicati come sapientes cives, nobiliores, boni homines: e sono – come al Nord – proprietari fondiari, mercanti, funzionari, professionisti, giudici. Il loro prevalere nei confronti dei concittadini e delle autorità superiori cresce via via che si avanza nel tempo: nel 1130 il duca Sergio di Napoli è costretto a impegnarsi a non imporre nuovi oneri fiscali, a non fare pace o guerra absque consilio de quampluribus nobilibus neapolitanis. A Gaeta, nel 1123, avendo il duca deliberato di sostituire la moneta corrente con altra di nuovo e diverso tipo, i cittadini per sacramentum firmaverunt che non se ne facesse niente, costringendo il duca a piegarsi, mentre d'altro canto prendevano deliberazioni che neque dux neque vicecomescorrumpere audeat.

Le popolazioni cittadine del Sud, come quelle del Nord, prendevano in certi casi decisioni politiche: così, per esempio, nel 1022 i cittadini di Troia – o per meglio dire con il cronista Raoul Glaber, illi qui in civitate ceteris preerant – si accordano con Enrico II e tuttavia ottengono un paio d'anni dopo notevoli privilegi dai Bizantini: ingrandimento dei possessi della città, esenzione da dazi, pedaggi, servizi militari ecc., compensati da un tributo fisso annuale. Ma è con la venuta dei Normanni che le città devono più risolutamente provvedere a se stesse, e chi le guida sono i vescovi.

I vescovi dell'Italia meridionale non avevano funzioni temporali derivanti da privilegi sovrani come i vescovi dell'Italia centro-settentrionale; la loro nomina continuava a essere riservata al clero e al popolo, anche se non mancavano le interferenze delle autorità locali, delle fazioni cittadine, della corte di Bisanzio.

I vescovi erano però immersi nella vita cittadina fin dalle origini: per il secolo XI ricorderemo Leone di Amalfi (morto nel 1029) che nella sua iscrizione sepolcrale è chiamato pater patriae; Bisanzio di Bari (morto nel 1035), cunctae urbis custos ac defensor, atque terribilis et sine metu contro Graecos, come lo definisce una cronaca barese; i vescovi di Troia e di Matera che morirono combattendo nel 1041 contro i Normanni; Elia di Bari (morto nel 1095) cui i cittadini promettono obbedienza in ciò, che ordinerà pro comuni salvatione; Riso di Bari che nel 1113 diceva … videns civitatem nostram hostibus pessumdari, quo facto opus esset cives nostros consului...; il vescovo di Troia che un'iscrizione del 1127 definisce equitatis moderator, liberator patriae… [TESTIMONIANZA 19].

Venuti come mercenari al servizio di chi voleva ingaggiarli, i Normanni s'erano ben presto accorti che potevano installarsi nella regione da padroni, e le città che si resero conto del pericolo che rappresentava per loro la presenza normanna combattono o si accordano: si ha pertanto notizie di un pactum concluso da Guglielmo d'Altavilla con gli abitanti di Matera che lo nominano loro conte (1041), di un altro pactum concluso poco dopo con Bari, di altri pacta stipulati in seguito da altre città. Ne ignoriamo il contenuto, ma sappiamo che più tardi, nel 1132, i cives di Acerenza scacciarono un funzionario regio eo quod regi ultra votum illoruni subderetur. Aspirazioni vaghe e indeterminate nei princìpi, ma ben chiare per quanto si riferiva ai valori concreti, dovevano essere anche al Sud nell'animo di tutti e informavano le trattative che portarono alla conclusione di accordi precisi, alla richiesta di carte di franchigia: ma del modo in cui si articolarono, nel quadro della monarchia normanna, le relazioni fra le città e la Corona parleremo più avanti.

Per le città siciliane, il discorso è assai, più breve: fra il VI e XI secolo le città, da municipi che erano, diventano fortezze bizantine, colonie musulmane, basi normanne, ma al tempo stesso restano quello che erano sempre state fin dal tempo della colonizzazione ellenica: punti focali, centri vitali della storia e della civiltà dell'isola, non tanto in forza di una imperiosa tradizione locale, quanto perché gli antichi Elleni avevano saputo scegliere per le loro colonie località strategicamente ed economicamente «chiave».

La conquista musulmana dell'isola, cominciata con lo sbarco dell'827, era stata preceduta da quasi un secolo di scorrerie, sia pure interrotte da tregue, e si protrasse per settantacinque anni: finché l'isola non fu occupata tutta, la vita civile dei centri siculo-bizantini fu condizionata, soffocata dalle necessità militari, mentre nei centri via via occupati dai Musulmani si andava creando un nuovo equilibrio di forze vitali. Non è naturalmente da pensare a forme di autonomia locale di cui si avvantaggiassero gli elementi cristiani, sebbene si sappia che i Musulmani solevano affidare ai preti cristiani funzioni giurisdizionali nei confronti dei loro fedeli. Né si impiantano ex-novo forme autonomistiche al momento della conquista normanna: i cronisti parlano di trattative di resa delle singole città, ma affermano esplicitamente che il conte Ruggero, provvide d'autorità al governo e all'amministrazione dei singoli centri che gli si arrendevano, soffocando quei germi di governo o quanto meno di amministrazione autonoma che si sarebbero potuti sviluppare nel periodo di trapasso dall'una all'altra dominazione.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08