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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana > Testimonianze, 4

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


Testimonianze

4. Roma al tempo della guerra gota

Procopio di Cesarea – uno dei più eminenti storiografi bizantini – nacque in Palestina verso la fine del V secolo e nel 527 era già alla corte di Bisanzio in qualità di segretario e di consigliere di Belisario, che seguì nelle sue spedizioni militari in Persia, in Africa e in Italia fino al 540. Trascorse poi il resto della sua vita – morì attorno al 565 – a scrivere la storia dei suoi tempi. L'opera più importante di Procopio sono gli otto libri delle Storie delle guerre, di cui i primi due sono dedicati alla guerra persiana, i due successivi a quella vandalica e gli ultimi quattro a quella gota.

Oltre a fornire un quadro generale delle gesta di Belisario in Italia e della politica di Giustiniano, la Guerra gota presenta particolare interesse anche per la storia delle città italiche visitate da Procopio nel VI secolo. In più punti si sofferma a descrivere Roma e i suoi edifici, città che su di lui, di cultura e di sentimenti romani, esercitava un notevole fascino. (I brani qui riprodotti sono tratti dall'edizione curata da D. COMPARETTI, che ha dato anche la traduzione del testo greco, nelle «Fonti per la storia d'Italia» – d'ora in poi indicate con la sigla F.I.S.I. – nn. 23-25, voll. 3, Roma, 1895-98).

Su Procopio cf. D. COMPARETTI, op. cit., pp. VII-XXXIV; J. B. BURY, History of the later Roman Empire, London, 1923; M. E. COLONNA, Gli storici bizantini dal IV all'XI secolo, Napoli, 1956.

Sull'impero d'oriente cf. G. OSTROGORSKY, Storia dell'impero bizantino, trad. it., Torino, 1968.


Già un tempo il Tevere da quella parte correva assai rasente alle mura. Il luogo là dove la cinta si eleva sulla corrente del fiume è piano e di assai facile accesso. Di contro a questo luogo, al di là del Tevere, trovasi un gran colle ove da tempo antico furono costruiti tutti i molini della città, poiché una gran massa di acqua menata dall'acquedotto alla cima di quel colle cade di là con gran impeto pel declivio. Per lo che i Romani antichi decisero di circondar di muro il colle e la ripa del fiume da quella parte, affinché i nemici non potessero sciupare i molini, e passato il fiume facilmente procacciar danno al muro della città. Avendo dunque colà gittato un ponte sul fìume pensarono di congiungerlo col muro, e costruite molte case nella regione opposta fecero così che il Tevere corresse in mezzo alla città (I, 141-142).


Totila decise di radere al suolo Roma e, lasciata colà la più gran parte dell'esercito, marciare col resto contro Giovanni e i Lucani. La cinta adunque egli disfece in parecchi luoghi per circa un terzo di tutto il circuito, e già stava per mettere il fuoco ai più belli ed esimî e mutar Roma in pascolo di greggi, quando Belisario appreso ciò, spedì messi con lettera presso di lui. Venuti al cospetto di Totila, esposergli la ragione della loro venuta e consegnarongli la lettera, la quale diceva così: «Come fornir una città di nuovi ornamenti è pensamento da uomini assennati e istruiti del vivere civile, così distruggere gli ornamenti che vi sono è cosa da stolti che non si vergognano di lasciare al tempo avvenire un tal documento dell'essere loro; e Roma fra tutte le città quante ve n'ha sotto il sole è riconosciuta la più grande e la più magnifica; poiché, non per opera dell'ingegno di un solo uomo né per la forza di breve tempo divenne essa così grande e così bella, ma bensì tale la fecero molti imperatori ed assai consorzi di uomini sommi e un lungo andar di tempi e ingenti ricchezze che poterono, come ogni altra cosa, così artisti da tutta la terra colà raccogliere, talché poco a poco edificando quella città che tu vedi, lasciaronla ai posteri qual monumento del valore di tutti, ond'è che l'inveire contro di questa dovrà parere grande ingiuria agli uomini di ogni tempo, poiché così ai trapassati verrebbe a togliersi il ricordo della loro virtù, agli avvenire lo spettacolo dell'opera loro…» (II, 344-346).

 

Eppure più di ogni altro popolo, a nostra notizia, i Romani sono affezionati alla loro città e si dan premura di mantenere e conservare ogni cosa patria, poiché nulla dell'antica bellezza di Roma vada perduto. Ed invero per quanto lungamente subissero l'influsso barbarico, riuscirono a salvare gli edifizi pubblici e la maggior parte dei pubblici ornamenti, quanti per sì gran tratto di tempo, grazie al genio dei loro autori, poteron resistere, benché trasandati, come pure quanti monumenti o ricordi rimanessero della loro prosapia (III, 165).

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08