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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana > Testimonianze, 7

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


Testimonianze

7. Placito di Risano nell'Istria (804): le città istriane nell'VIII secolo

L'Istria rimase soggetta al governo bizantino – salvo un breve intermezzo longobardo – sino alla fine dell'VIII secolo quando fu conquistata da Carlo Magno.

I nuovi sistemi di governo introdotti dai funzionari franchi sollevarono le proteste degli abitanti delle città istriane e le loro lagnanze – esposte nel placito che si tenne nell'804 a Risano – costituiscono una preziosa testimonianza sul regime municipale istriano – e verosimilmente non soltanto istriano – sotto il dominio bizantino. Il testo qui riprodotto è tratto da I Placiti del «Regnum Italiae», a cura di C. MANARESI, F.I.S.I., n. 92 Roma, 1955, doc. 17, pp. 50-56).

Sul placito e sulla storia dell’Istria nel Medioevo cf. E. MAYER, La costituzione municipale dalmato-istriana nel Medioevo e le sue basi romane, in «Atti e Mem. della Soc. Istriana di Archeologia e St. patria», vol. XXII, Parenzo, 1907; G. DE VERGOTTINI, Lineamenti storici della costituzione politica dell'Istria durante il Medioevo, Roma, 1924; R. UDINA, Il placito del Risano Istituzioni giuridiche e sociali dell'Istria durante il dominio bizantino, in «Archeografo Triestino», s. III, vol. XVII (1932), pp. 1-84; R. CESSI, L'occupazione longobarda e franca dell'Istria nei secc. VIII e IX, in «Atti del R. Ist. Veneto di Scienze, Lett. ed Arti», cl. di Sc. Morali e Lett., t. C, parte II (1941), pp. 289-313; V. CAVALLARI, La costituzione tribunizia istriana, in «Riv. di St. del Dir. Ital.», vol. XXIII (1950).


In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, amen. Cum per iussionem piissimi atque excellentissimi domini Caroli Magni imperatoris et Pipini regis filii eius in Istria nos servi eorum directi fuissemus, idest Izzo presbiter atque Cadolao et Aio comites pro causis de rebus sanctarum Dei ecclesiarum et de iustitia dominorum nostrorum, seu et de violentia populi, pauperorum, orfanorum et viduarum, primis omnium venientibus nobis in territorio Caprense [1], loco qui dicitur Riziano, ibique adunatis venerabili viro Fortunato patriarcha [2], atque Theodoro, Leone, Stauratio, Stefano, Laurentio, episcopis et reliquis primatibus, vel populo provincie Istriensium, tunc elegimus de singulis civitatibus seu castellis homines capitaneos numero centum septuaginta et duos, fecimus eos iurare ad sancta quattuor Dei evangelia et pignora sanctorum, ut omnia, quicquid scirent, de quo nos eos interrogaverimus, dicant veritatem, in primis de rebus sanctarum Dei ecclesiarum, deinde de iustitia dominorum nostrorum, seu et de violentia vel consuetudine populi terre istius, orfanorum et viduarum, quod absque ullius hominis timore nobis dicerent veritatem. Et ipsi detulerunt nobis breves [3] per singulas civitates vel castella, quos tempore Constantini seu Basilii magistri militum fecerunt… Deinde interrogavimus iudices de alias civitates sive castella, si veritas fuisset ita. Omnes dixerunt: «Sic est veritas… Quando missi imperii veniebant, in episcopio habebant collocationem, et, dum interim reverti deberent ad suam dominationem, ibique habebant mansionem… Unde nos interrogastis de iustitiis dominorum nostrorum, quas Greci ad suas tenuerunt manus usque ab illo die quod ad manus dominorum nostrorum pervenimus, ut scimus, dicimus veritatem: de civitate Pollensi solidi mancosi sexaginta et sex; de Ruvingio solidi mancosi quadraginta; de Parentio mancosos sexaginta et sex; numerus Tergestinus mancosos sexaginta; de Albona mancosos triginta; de Pedena mancosos XX; de Montanna mancosos triginta; de Pinguento mancosos XX; cancellarius Civitatis Nove mancosos XII. Qui faciunt insimul mancosos CCCXLIIII. Isti solidi tempore Grecorum in palatio eos portabat. Postquam Ioannes devenit in ducatu, ad suum opus istos solidos habuit et non dixit quod iustitia pallatii fuisset. Ab antiquo tempore, dum fuimus sub potestate Grecorum Imperii, habuerunt parentes nostri consuetudinem habendi actus tribunati, domesticos, seu vicarios, nec non locoservator, et per ipsos honores ambulabant ad communione et sedebant in consessu, unusquisque per suum honorem, et, qui volebant meliorem honorem habere, de tribuno ambulabat ad Imperium, qui ordinabat illum ypato. Tunc ille, qui imperialis era hypatus, in omni loco secundum illum magistrum militum procedebat. Modo autem dux noster Ioannes constituit nobis centarchos; divisit populum inter filios et filias vel generum suum, et cum ipsos pauperes aedificant sibi pallatia. Tribunatus nobis abstulit. Liberos homines non nos habere permittit, sed tantum cum nostros servos facit nos in hoste ambulare; libertos nostros abstulit; advenas homines ponit in casas vel ortora nostra, nec in ipsos potestatem habemus... Fodro numquam dedimus; in curte numquam laboravimus; vineas numquam laboravimus; calcarias numquam fecimus; casas numquam aedificavimus; tegorias numquam fecimus; canes numquam pavimus; collectas numquam fecimus, sicut nunc facimus; pro unoquoque bove unum modium damus; collectas de ovibus numquam fecimus, quomodo nunc facimus; unoquoque anno damus pecora et agnos; ambulamus navigio in Venetias, Ravennam, Dalmatiam, et per flumina, quod numquam fecimus… Si nobis succurrit domus Carolus imperator, possumus evadere: sin autem, melius est nobis mori, quam vivere»…


[In nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, amen. Essendo stati noi, Izzo prete e Cadolao e Aio conti, mandati per ordine del piissimo ed eccellentissimo signore Carlo Magno imperatore e Pipino re suo figlio, in Istria per render conto dei beni delle chiese e dei diritti dei nostri signori e delle violenze fatte ai popoli, ai poveri, agli orfani e alle vedove, prima di tutto noi venimmo nel territorio di Capodistria nel luogo detto Risano e adunati colà il venerabile patriarca Fortunato, Leone, Staurazio, Stefano e Lorenzo vescovi e gli altri primati e il popolo della provincia istriana, scegliemmo nelle singole città e nei singoli castelli 172 fra i principali cittadini e li facemmo giurare sui sacri quattro vangeli e sulle reliquie dei santi, che avrebbero detto la verità per quanto sapevano su ciò che noi avremmo loro chiesto: prima di tutto su ciò che si riferiva ai beni delle sante chiese di Dio, poi sulle giuste prerogative dei nostri sovrani e infine sulle violenze o sulle consuetudini del popolo di queste terre, sugli orfani e sulle vedove, dicendo la verità senza timore di nessuno. Ed essi ci portarono delle scritture relative alle singole città e ai singoli castelli, che erano state fatte al tempo di Costantino e di Basilio… Poi interrogammo loro sulle altre città e castelli, chiedendo quale fosse la verità e tutti dissero «Questa è la verità… Quando venivano i messi imperiali o si doveva pagare qualche tributo o qualche imposta, metà era data dalla chiesa e metà dal popolo… Quando venivano i messi imperiali alloggiavano nell'episcopio e restavano là finché non ritornavano alle loro sedi... Voi ci chiedete delle prerogative dei nostri sovrani dal tempo dei Greci fino al momento in cui passammo sotto il governo degli attuali regnanti. Diciamo la verità: dalla città di Pola venivano pagati 66 soldi mancusi; da Rovigno 40; da Parenzo 66; da Trieste 60; da Albona 30; da Pedena 30; da Montana 30; da Pinguente 20; da Cittànova 12 che fanno insieme 344 mancusi. Questo denaro al tempo dei Greci veniva portato al palazzo. Dopo che venne il duca Giovanni tenne questi denari per suo uso e non disse mai che erano prerogativa del palazzo… Dal tempo antico quando eravamo sotto il governo dell'impero dei Greci i nostri antenati avevano per consuetudine il diritto di essere eletti tribuni vicari e di essere posti a capo delle località minori e avendo questi onori si riunivano insieme e sedevano in assemblea ciascuno secondo il suo grado e quando uno, essendo tribuno, voleva avere una maggiore dignità andava a Costantinopoli per ottenere il grado di Ypatho.Allora, colui che era diventato ypato imperiale in qualsiasi luogo aveva la precedenza su tutti, dopo il magister militum. Ma il duca Giovanni mise fra noi dei centarchi e divise il popolo fra i suoi figli, le figlie e il genero e costrinse i poveri a costruire dei palazzi per loro. Ci ha tolto il tribunato, non permette che noi abbiamo alle nostre dipendenze dei liberi e ci costringe a prender parte alle spedizioni militari con i nostri servi; ci ha tolto i nostri liberti; mette nelle nostre case e nei nostri orti dei forestieri e noi non abbiamo nessuna autorità su di loro... Non abbiamo mai pagato il fodro; non abbiamo mai lavorato a corte; non abbiamo mai lavorato nelle vigne; non abbiamo mai fabbricato calcina; non abbiamo mai edificato case; non abbiamo mai fatto tegole; non abbiamo mai nutrito cani; non abbiamo mai pagato delle collette così come ora facciamo; noi ora diamo un moggio per ogni bue; non abbiamo mai pagato per le pecore come ora facciamo; noi ora dobbiamo fare trasporti navali a Venezia, a Ravenna, in Dalmazia e lungo i fiumi, cosa che non abbiamo mai fatto… Se il nostro signore Imperatore Carlo ci soccorre noi potremo ancora sopravvivere, altrimenti è meglio morire»…].

[1] Di Capodistria, corruzione di «Capris Histriae».

[2] Patriarca di Grado.

[3] Atti scritti.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08