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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana > Testimonianze, 9

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


Testimonianze

9. Pretese dei mercanti cremonesi (851-852)

Mentre Ludovico II teneva placito generale a Pavia, alcuni cremonesi si recarono da lui per lamentarsi del fatto che il vescovo di Cremona Benedetto esigeva dei tributi quando attraccavano con le navi al porto della città che era situato sul Po e il vescovo richiedeva il ripatico , consistente nel pagamento di una certa quantità di denaro per attraccare la nave, la palifictura, cioè la quota che si pagava per ottenere il diritto di infiggere alle rive dei pali a cui ormeggiare la nave e il pastum, che era l'obbligo di offrire un pasto ai riparii che erano gli addetti all'esazione dei dazi. I cremonesi venivano così sottoposti agli stessi oneri a cui erano soggetti i mercanti che venivano da Comacchio, secondo un accordo che Liutprando re dei Longobardi aveva stipulato con loro nel 715, definendo con precisione l'ammontare del ripatico e del pasto ai riparii che essi dovevano pagare nei porti sul Po da Mantova a Piacenza (il diploma di Liutprando è pubblicato dallo Hartmann, Zur Wirtschaftsgeschichte Italiens im Mittelalter, Gotha, 1904, p. 123). Successivamente Carlo Magno, in un diploma perduto, aveva concesso al vescovo di Cremona che parte delle entrate provenienti dai pedaggi dei comacchiesi passassero alla mensa episcopale. In seguito questi diritti della chiesa cremonese furono riconfermati da Lotario I nell'841, da Ludovico II nel gennaio dell'851 e di nuovo da Lotario I nel settembre dello stesso anno.

Il fatto che nell'851-852 gli uomini di Cremona avessero mandato una loro delegazione – Rotecherio, Dodilone e Gudiperio – all'imperatore per protestare contro il proprio vescovo anche se con esito negativo, dimostra l'esistenza in età carolingia di mercanti liberi (cf. § 6 dell'introduzione), che si erano trovati d'accordo nel fare un'azione comune. (Il testo qui riprodotto è tratto da I Placiti del «Regnum Italiae», a cura di C. MANARESI, cit. alla testimonianza 7, doc. 56, pp. 194-198). Per la storia di Cremona in età medievale cf. ROBOLOTTI, Delle pergamene e dei casi di Cremona avanti il Mille, in «Miscellanea di storia italiana», 1862, t. I; U. GUALAZZINI, Il «populus» di Cremona e l'autonomia del comune, Bologna, 1940. 


Dum in Dei nomine domnus Hludovuicus imperator suum generalem placitum detineret civitatem Ticinensem, ibique eidem proclamandum venerunt, idest Rothecharius, Dodilo, Gudiperis et ceteri habitatores de civitate Cremona, eo quod eis Benedictus venerabilis episcopus sancte Ecclesie Cremonensis multas violentias iniuste fecisset de suis navibus, que adducunt ad portum ipsius civitatis, quod nobis riparticum et palifìcturam seu pastum detulisset, que nos nec parentes nostros antea numquam dederunt. Quidem domnus gloriosissimus imperator audiens hunc clamorem, direxit de sui presentia missum Teodericum dilectum consiliarium suum, quia hec omnia diligenter inquireret atque diligenter defìniret. Tunc predictus Theodoricus veniens in ipsum palatium, ubi in iuditio residebat Hucpaldus comes sacri palatii residentibus cum eo Adelgiso et Achedeo comitibus cum reliquis iudicibus palatii, ibique veniens iam dictus Benedictus episcopus et supradictis clamatores, et cum ibi multum inter eos de hac causa orta fuisset intentio, statuit ipse Theodoricus inter eos placitum in civitate Cremona, ubi de hac causa per veraces et idoneos homines circa manentes de ipsa civitate investigare aut invenire potuisset per legem. Tunc ipse Theodoricus missus domni imperatoris veniens hic in civitate Cremona in domo ipsius Ecclesie in iuditio resedens, resedentibus cum eo predictus Benedictus episcopus, Landebertus et Aripertus, et reliqui plures; ibique venientes supradicti habitatores cum reliquis habitatoribus de ipsa civitate asserebant, quod Benedictus episcopus eis multas violentias iniuste facit, eo quod eis ripaticum et palificturam et pastum ad riparios per vim accipiat, sicut ad milites Comaclenses; quod nec ipsi nec antecessores eorum umquam dederint, nec cum lege dare debeant. Ad hec respondebat prefatus episcopus quod: «Quotienscumque quislibet negotiator cum suis navibus in ipsum portum aplicat, omnia hec, scilicet ripaticum, palificturam et pastum, ad riparios dare debeat ad partem Ecclesie nostre iuxta istud pactum, quod domnus bone memorie Karolus imperator confirmavit». Et ad hoc probandum testes idoneos homines publicavit coram suprascripto Theoderico misso domni regis. In primis Odepertus archipresbiter dixit adiuratus in suo sacerdotio: «Memoro ante tempora domni Karoli et Pipini regis, quod isti homines, qui contra hac sancta Ecclesia de ipso porto agunt, nec ipsi nec sui parentes naves proprias numquam habuerunt suas, nec de Comaclo salem ad negotiandum in istum portum numquam adduxerunt, nisi moderno tempore Panchoardi episcopi»... Gundepertus presbiter adiuratus in suo sacerdotio et inquisito dixit: «Scio ad tempora domni Karoli et Pipini regis, quod isti numquam suas habuerunt naves, quod de Comaclo sale ad negotium peragendum adduxissent, nisi cum nave Comaclense comuniter cum militibus sale aut alias species adduxerunt, et comuniter ripaticum et palificturam dabant parti regie et Ecclesiae Cremonensi iuxta istud pactum»… Cunimundus iuratus dixit, quod tempore Bernardi regis hoc scivit et fuit riparius, et ripaticum et palificturam dedit, et isti legibus dare debent… Castabiles iuratus dixit: «Scio infra triginta annos, postquam cum suas naves ceperunt pergere, dare ripaticum et palificturam»… Demum post multos testes et multa similia testimonia manifeste professi sunt, se non habere ullam firmitatem, per quam contra sanctam Ecclesiam Cremonensem vel eius pontifices ripaticum vel palificturam subtrahere possent… Tunc Theodoricus interrogavit Landebertus gastaldio de Sexpiles, simulque Ariperto advocatum de ipsa curte, ut si aliquod haberent firmitatem aut homines, per quibus pars regie ibidem de ipsa ripa contradicere poterent. Qui dixerunt quod: «Nec per homines nec per ullam aliam firmitatem da parte regi non habemus, nec invenire possimus, per quibus da parte suprascripta ecclesie ipsum ripaticum vel palifìctura subtrahere possimus». Dum hec omnia taliter audissemus, et clare factum fuisset iuxta ipsam inquisitionem vel eorum manifestationem, tunc paruit nobis, quorum supra auditoribus, rectum esse ita et iudicavimus, ut ipsi homines ipsum ripaticum vel palificturam de suis navibus iuxta ipsum pactum de antea dare deberent. Et finita est causa…


[Mentre in nome di Dio il signor Ludovico imperatore teneva un placito generale a Pavia, vennero a protestare davanti a lui Rotecario, Dedilo, Gudiperio e altri abitanti di Cremona, perché Benedetto, venerabile vescovo della santa Chiesa cremonese, commetteva molti soprusi nei loro confronti per le navi che essi conducevano al porto della città, richiedendo il ripatico, la palifittura e il pasto che né essi né i loro genitori avevano mai dato. Il gloriosissimo signor imperatore, udendo questo reclamo, mandò come suo rappresentante Teoderico, suo diletto consigliere, che esaminasse diligentemente e risolvesse la questione. Il predetto Teoderico venne a palazzo, là dove il conte Ubaldo teneva giudizio insieme con i conti Adelgiso e Achedeo e con gli altri giudici di palazzo. Venendo alla loro presenza il predetto vescovo Benedetto e i predetti querelanti, discussero a lungo fra loro, finché lo stesso Teoderico decise di tenere un'udienza a Cremona, dove avrebbe potuto secondo la legge investigare su tutta la questione per mezzo di uomini veraci e idonei. Venne dunque il predetto Teoderico a Cremona e tenne giudizio nel palazzo vescovile, sedendo con lui il vescovo Benedetto, Landeberto, Ariperto e molti altri. Venendo qui i sopranominati abitanti della città insieme con altri, dichiararono che il vescovo Benedetto faceva ingiustamente molte violenze, poiché arbitrariamente esigeva da loro il ripatico, la palifittura e il pasto, come li esigeva dai militi di Comacchio, cosa che né essi, né i loro antecessori avevano mai dato, né erano tenuti a dare per legge. Rispondeva il predetto vescovo che ogni qualvolta qualsiasi mercante con le sue navi giungeva nel porto, tutti questi tributi, cioè ripatico, palifittura e pasto, soleva dare ai ripari della chiesa secondo il patto che il signor imperatore Carlo Magno di buona memoria aveva riconfermato, e portò idonei testimoni. Il primo fu Odeperto arciprete il quale disse dopo aver giurato nella sua qualità di sacerdote: «Io mi ricordo che prima dei tempi del signor Carlo e Pipino re, questi uomini che intentano un'azione contro la chiesa a proposito del porto, né loro, né i loro genitori erano proprietari di navi, né portarono sale da Comacchio a questo porto, se non al tempo del vescovo Pancoardo»… Gundeperto prete, dopo aver giurato nella sua qualità di sacerdote, rispondendo alle domande disse: «So che al tempo del signor Carlo e di Pipino re, costoro non ebbero mai delle navi con le quali portare del sale da Comacchio per venderlo, ma che portavano con le navi di Comacchio insieme con i comacchiesi sale e altre spezie e pagavano in comune con loro il ripatico, e la palifittura agli agenti regi e alla chiesa di Crernona secondo le convenzioni»… Cunimondo, dopo aver giurato disse che al tempo di re Bernardo fu ripario e riscuoteva ripatico e palifittura e anche costoro li dovevano pagare secondo la legge… Castabile, dopo aver giurato disse: «So che da 30 anni in qua, dopo che essi cominciarono a navigare con le loro navi, dànno ripatico e palifittura»… Infine, dopo molti testi e molte testimonianze simili, risultò che i Cremonesi non avevano alcun privilegio per mezzo del quale potessero negare alla santa Chiesa cremonese e ai suoi vescovi il ripatico e la palifittura… Allora Teoderico interrogò Landeperto, gastaldo di Sespili, e Ariperto, avvocato della stessa corte, se avevano qualche documento per mezzo del quale la parte regia avesse dei diritti da avanzare. Essi risposero: «Non abbiamo testimoni, né documenti per i quali noi possiamo togliere il ripatico e la palifittura alla chiesa».

Avendo udito tutte queste cose, ed essendo ormai chiarita la questione in base all'inchiesta e alle risultanze, parve a noi esser giusto, e così giudichiamo, che i sopraddetti uomini devono pagare il ripatico e la palifìttura per le loro navi, secondo gli antichi patti. E la causa fu così definita…].

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08