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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana > Testimonianze, 13

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


Testimonianze

13. Diploma di Berengario e Adalberto ai Genovesi (958)

Attorno alla metà del X secolo re Berengario II, per motivi di carattere politico-militare, operò una ristrutturazione amministrativa della Liguria dividendola in tre settori, per cui Genova venne a far parte della marca affidata al marchese Oberto, il quale non tardò ad abbandonare il suo re e ad appoggiare Ottone di Sassonia, che tentava di impossessari del regno italico.

I Genovesi approfittarono della defezione del marchese e, protestando la loro fedeltà a Berengario e a suo figlio Adalberto, ottennero il 18 luglio del 958 il diploma qui pubblicato, con il quale veniva loro garantito il sicuro possesso dei beni allodiali che avevano ereditato, dei livelli, delle precarie e in generale di tutto quello che essi avevano secondo le loro consuetudini: ne risulta una società prevalentemente dedita allo sfruttamento della terra, in un paese dove le attività commerciali e mercantili erano frenate dalla minaccia delle incursioni saracene.

Anche in questo caso i cittadini avevano trovato il modo di organizzarsi e di mandare una delegazione a Pavia, dove si trovavano i sovrani, per impetrarne il favore. Da notare che la città ottiene il privilegio dell'immunità, che in pratica trasferisce l'esercizio dei diritti pubblici alla collettività alla quale veniva assegnata anche la metà delle multe che sarebbero state pagate da chi contravveniva al privilegio. (Il testo qui riprodotto è tratto da I diplomi di Ugo e Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di L. SCHIAPARELLI, F.I.S.I., n. 38, Roma, 1924, doc. n. 11, pp. 326-327).

Sulla storia di Genova cf. U. FORMENTINI, Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, Milano, 1941, vol. II; V. VITALE, Breviario della storia di Genova, Genova, 1955; T. O. DE NEGRI, Storia di Genova, Milano, 1968.

 

In nomine Dei eterni, Berengarius et Adelbertus divina favente clementia reges. Decet regalem excellentiam, ut votis suorum fidelium aures sue pietatis inclinet, quatinus eos devotiores ac promptiores in suo obsequio reddat. Id circo… confirmamus et corroboramur omnibus nostris fidelibus et habitatoribus in civitate Ianuensi cunctas res et proprietates illorum seu libellarias et precarias, et omnia que secundum consuetudinem illorum tenent, aliquo titulo vel modulo scriptionis acquisierunt, vel que illis ex parte patris et matris advenerunt; omnia et ex omnibus et infra et extra civitatem in integrum eis confirmamus pleniusque corroboramur una cum terris, vineis, pratis, pascuis, silvis, stalareis, saletis, sationibus, ripis, rupinis, molendinis, piscationibus, montibus, vallibus, planiciebus, aquis aquarumve decursibus, servis et ancillis utriusque sexus, et omnia que dici vel nominari possunt, que secundum consuetudinem illorum tenent, pertinentibus vel aspicientibus in integrum, precipientes itaque iubemus, ut nullus dux, marchio, comes, vicecomes, sculdaxius, decanus vel quelibet regni nostri magna parvaque persona in eorum domibus potestative ingredi audeat aut mansionaticum [1] tollat vel aliquam iniuriam vel molestationem facere conetur… Si quis igitur huius nostre confirmationis preceptum… violare temptaverit, sciat se compositurum auri optimi libras mille, medietatem camere nostre et medietatem predictis hominibus illorumque heredibus ac proheredibus…

 

[In nome di Dio eterno, Berengario e Adalberto re per grazia divina. Conviene che l'eccellenza regale inclini gli orecchi ai voti dei suoi fedeli, per renderli più fedeli e pronti nella loro obbedienza, perciò… confermiamo e corroboriamo a tutti i nostri fedeli e abitatori della città di Genova tutte le cose e proprietà loro, i livelli e le precarie e tutte le cose che possiedono secondo le loro consuetudini quale sia il titolo o il tipo di scrittura con il quale le acquisirono, e quelle cose che ad essi pervennero da parte del padre e della madre. Confermiamo e corroboriamo loro tutte le cose dentro e fuori della città, insieme con le terre, vigne e prati, pascoli, selve, saliceti, seminativi, rive, mulini, diritti di pesca, monti, valli, pianure, acque e corsi d'acqua, servi ed ancelle dell'uno e dell'altro sesso e tutto quello che può essere detto e nominato, che secondo la loro consuetudine essi possiedono, con annessi e connessi nella loro integrità. Ordiniamo anche che nessun duca, marchese e conte, sculdascio, decano o qualsiasi altra persona grande o piccola del nostro regno osi entrare ad esercitare atti di autorità nelle loro case o pretenda il mansionatico o rechi loro ingiuria o molestia… Se qualcuno violerà questo nostro precetto... sappia che pagherà mille libbre d'oro puro, metà alla nostra camera e metà ai sopraddetti uomini e ai loro eredi e proeredi…].

   

[1] I funzionari pubblici in missione avevano il diritto di pretendere il mansionatico, cioè vitto e alloggio a spese della gente del luogo dove sostavano.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08