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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana > Testimonianze, 15

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


Testimonianze

15. Verona e il vescovo Raterio (968)

Raterio era monaco del convento di Lobbes (Belgio) quando nel 931, contro la volontà di re Ugo, divenne vescovo di Verona, dove si trovò in una particolare e delicata posizione politica, poiché la città era assai prossima ai valichi alpini e soggetta alle influenze bavaresi. Già nel 943, essendosi compromesso con un gruppo di maggiorenti cittadini che volevano consegnare la città al duca Arnolfo di Baviera, fu deposto e imprigionato dal re. Recuperata nel 946 la sua sede episcopale, si trovò in gravissime difficoltà con i canonici e con il conte, che avevano usurpato gran parte dei beni della mensa vescovile, e nel 948 dovette allontanarsi da Verona, dove tornò ancora una volta nel 961, dopo che Ottone I ebbe conquistato definitivamente il regno italico.

Ebbe inizio così il periodo più lungo dell'episcopato di Raterio a Verona, dove di nuovo fu in lotta con i canonici della cattedrale per l'amministrazione delle rendite della chiesa veronese. La tensione poi aumentò nel 963, fomentata dai laici favorevoli al vecchio regime, che si unirono con il clero contro il conte e il vescovo, il quale nel 968 fu costretto a lasciare definitivamente la diocesi.

Il brano qui pubblicato è tolto da una lettera inviata al cancelliere di Ottone II e rispecchia il clima di intolleranza fra vescovo e città che si era andato concretizzando alla vigilia del definitivo allontanamento di Raterio da Verona. Presente all'assemblea che giudica l'operato del vescovo c'è il vulgus veronense, la tota civitas, che non dà un apporto giuridico alla causa, ma è non priva di significato la sua partecipazione viva al dibattimento. (Il testo è tratto da J. P. MIGNE, Patrologia latina cursus completus, vol. 136, Epistulae Raterii, XII, n. 4, coll. 683-684).

Molto ampia è la bibliografia relativa all'operato e alla figura di Raterio. L'opera più recente è V. CAVALLARI, Raterio e Verona, Verona, 1961. Cf. inoltre Verona e il suo territorio, Verona, 1964, vol. II: La storia, a cura di C. G. MOR, dove alle pp. 102-119 c'è una ricca bibliografia.

 

Quam vero tanti sint benefici immemores et ingrati, abhinc, quaeso, vestra incomparabilis pietas, flagito, videat; et mihi ocius, nisi subventum fuerit, perituro propter Deum succurrat. Ipsa beati Pauli apostoli solemnitate pene tota civitas affuit, et sedens Nanno pro tribunali ita orsus est loqui: Quid vobis videtur, urbani, de isto prato, quem exaratum videtis? Responderunt unanimiter omnes: Pessime; qui tamen melius, si voluissent, iustiusque dixissent: Quid ad nos? Qui fenum ex eo ausus colligere, ipse eum potuit et legaliter arare. Rursumque: Quid iudicatis de ista domo, quam sic destructam videtis? Culpa est episcopi, omnes responderunt. Qui tamen melius dixissent: Inquiratur, si hoc ullus fecerit vicinorum, et legaliter emendare cogatur…

Quadraginta, ut fertur, libras in restauratione, ampliatione ac decoratione eius expendit episcopus sexies ostia solummodo restaurando, quae partim furto, partim vi fuerant ablata…

Quid de istis clericis, qui sua beneficia ita perdiderunt? Exclamaverunt omnes: Nihil peius. Qui tamen, si boni filii fuissent, et beneficiis ingrati non existerent, respondere, ut iam supra, quivissent: Quid ad nos?…

 

[Veda di grazia la vostra incomparabile pietà, quanto siano numerosi coloro che sono immemori e ingrati dei benefici ricevuti e per amor di Dio soccorra me, che se non sarò aiutato ben presto perirò. Il giorno della festa di San Paolo apostolo accorse, si può dire, tutta la città, e il conte Nannone, come se sedesse in tribunale, così incominciò a parlare: «Che vi sembra o cittadini di questo prato che vedete arato?». Risposero unanimi tutti: «Pessima cosa». Che se avessero voluto rispondere meglio e più giustamente, avrebbero detto: «Non ci riguarda». Chi infatti poteva raccogliere il fieno, poteva anche ararlo. E ancora disse il conte: «Che vi pare di questa casa che vedete distrutta?». «È colpa del vescovo», risposero i presenti, i quali avrebbero fatto meglio a dire: «Si cerchi di sapere se questo danno lo ha fatto qualche vicino e sia costretto a ripararlo secondo le leggi… Il vescovo ha speso, si dice, più di quaranta lire per restaurare, ampliare questa casa e solo le porte le ha rifatte sei volte, che per furto e violenza sono state portate via…». «E che cosa vi pare di questi chierici che hanno dissipato i loro benefici?». E i presenti esclamarono: «Niente di peggio!». Ma se fossero stati dei buoni figli e non fossero stati ingrati dei benefici ricevuti, avrebbero risposto ancora una volta: «Non ci riguarda!»].

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08