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Didattica > Strumenti > La città medievale italiana > Testimonianze, 28

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La città medievale italiana

di Gina Fasoli e Francesca Bocchi

© 1973-2007 – Gina Fasoli e Francesca Bocchi


Testimonianze

28. I comuni italiani visti da Ottone di Frisinga e Rahewino (1154, 1158) 

Ottone vescovo di Frisinga (1115 circa-1158) e zio di Federico Barbarossa, scrisse i Gesta Friderici I imperatoris poco prima della morte e l'opera fu continuata dal suo cappellano Rahewino fino al 1160, con diligenza e attenzione.

Uno dei brani che qui vengono riportati attesta quale fosse l'opinione che avevano gli osservatori di parte imperiale dei comuni italiani. Nell'altro brano dei Gesta Rahevino, esponendo gli avvenimenti del 1158, descrive la città di Milano al tempo del primo assedio che vi pose l'imperatore Federico. I brani sono tratti da Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I imperatoris, a cura di G. WAITZ – B. DE SIMSON, Hannover-Leipzig, 1969, pp. 116-117; 210).

Sull'opera di Ottone di Frisinga e Rahewino cf. O. CAPITANI, Motivi e momenti di storiografia medievale italiana, in «Nuove questioni di storia medievale», Milano, 1969, pp. 766-768 e bibliografia ivi citata.

Sui rapporti fra i comuni italiani e Federico Barbarossa cf. G. FASOLl, Federico Barbarossa e le città italiane; La lega lombarda – Antecedenti, formazione, struttura, in «Vorträge und Forschunge», vol. XII (1968), pp. 121-142; 143-160.

 

In civitatum quoque dispositione ac rei publicae conservatione antiquorum adhuc Romanorum imitantur sollertiam. Denique libertatem tantopere affectant, ut potestatis insolentiam fugiendo consulum potius quam imperantium regantur arbitrio. Cumque tres inter eos ordines, id est capitaneorum, vavassorum, plebis, esse noscantur, ad reprimendam superbiam non de uno, sed de singulis predicti consules eliguntur, neve ad dominandi libidinem prorumpant, singulis pene annis variantur. Ex quo fit ut, tota illa terra inter civitates ferme divisa, singulae ad commanendum secum diocesanos compulerint, vixque aliquis nobilis vel vir magnus tam magno ambitu inveniri queat, qui civitatis suae non sequatur imperium. Consueverunt autem singuli singula territoria ex hac comminandi potestate comitatus suos appellare. Ut etiam ad comprimendos vicinos materia non careant, inferioris conditionis iuvenes vel quoslibet contemptibilium etiam mechanicarum artium opifices, quos caeterae gentes ab honestioribus et liberioribus studiis tamquam pestem propellunt, ad miliciae cingulum vel dignitatum gradus assumere non dedignantur. Ex quo factum est, ut caeteris orbis civitatibus divitiis et potentia longe premineant. Iuvantur ad hoc non solum, ut dictum est, morum suorum industria, sed et principum in Transalpinis manere assuetorum absentia. In hoc tamen antiquae nobilitatis immemores barbaricae fecis retinent vestigia, quod cum legibus se vivere glorientur, legibus non obsecuntur. Nam principem, cui voluntariam exhihere deberent subiectionis reverentiam, vix aut numquam reverenter suscipiunt ... nisi eius multi militis astipulatione coacti sentiant auctoritatem… (II, 13).

 

[I latini imitano ancor oggi la saggezza degli antichi Romani nella struttura delle città e nel governo dello Stato. Essi amano infatti la libertà tanto che, per sfuggire alla prepotenza dell'autorità si reggono con il governo di consoli anziché di signori. Essendovi tra essi tre ceti sociali, cioè quello dei grandi feudatari, dei valvassori e della plebe, per contenerne le ambizioni eleggono i predetti consoli non da uno solo di questi ordini, ma da tutti, e perché non si lascino prendere dalla libidine del potere, li cambiano quasi ogni anno. Ne viene che, essendo la terra suddivisa fra le città, ciascuna di esse costringe quanti abitano nella diocesi a stare dalla sua parte, ed a stento si può trovare in tutto il territorio qualche nobile o qualche personaggio importante che non obbedisca agli ordini delle città. Esse hanno anche preso l'abitudine di indicare questi territori come loro «comitati», e per non mancare di mezzi con cui contenere i loro vicini, non disdegnano di elevare alla condizione di cavaliere e ai più alti uffici giovani di bassa condizione e addirittura artigiani praticanti spregevoli arti meccaniche, che le altre genti tengono lontano come la peste dagli uffici più onorevoli e liberali. Ne viene che esse sono di gran lunga superiori a tutte le città del mondo per ricchezza e potenza. A tal fine si avvantaggiano non solo, come si è detto, per la saggezza delle loro istituzioni, ma anche per l'assenza dei sovrani, che abitualmente rimangono al di là delle Alpi. In un punto tuttavia si mostrano immemori dell'antica nobiltà e rivelano i segni della rozzezza barbarica, cioè che mentre si vantano di vivere secondo le leggi, non obbediscono alle leggi. Infatti mai o quasi mai accolgono con il dovuto rispetto il sovrano a cui dovrebbero mostrare volonterosa obbedienza... a meno che non vi siano costretti dalla presenza di un forte esercito a riconoscerne l'autorità…].

 

De civitatis ipsius situ ac moribus cum superiore libro mentio fueriti id adiciendum videtur, quod campi planitie undique conspicua, natura loci latissima. Ambitus eius supra centena stadia circumvenitur. Muro circumdatur, fossa extrinsecus late patens, aquis plena vice amnis circumfluit, quam priori anno primitus ob metum futuri belli, multis invitis et indignantibus, consul eorum provide fecerat. Turrium proceritate non tam ut aliae civitates student. Nam in multitudine atque fortitudine tam sua quam sibi confederatarum civitatum confìdentes impossibile arbitrati sunt a quoquam regum seu imperatorum suam civitatem posse claudi obsidione. Unde factum est, ut civitas haec inimica regibus ab antiquo fuisse dicatur, hac usa temeritate, ut sempre rebellionem principibus suis moliens scismate regni gauderet et geminorum potius dominorum quam unius super se iuste regnantis affectaret principatum, ipsa levis et utriusque ridens fortunam nec in hac nec in illa parte fìdem haberet. Huius rei si quis exempla desiderat, ad Leoprandum [1], qui gesta Longobardorum subnotavit, recurrat (III, 27).


[Del luogo e dei costumi di questa città (Milano) abbiamo già parlato. Qui dobbiamo aggiungere che tutt'intorno è circondata da una pianura coltivata che per natura è amplissima. Il suo circuito è più di 100 stadi, è circondata da mura, dalla parte di fuori ha un ampio fossato colmo d'acqua che scorre come un fiume, che nell'anno precedente per timore della guerra futura i loro consoli avevano fatto fare malgrado le opposizioni di molti. Non hanno torri alte come tante altre città; infatti per la moltitudine e la fortezza loro e delle città a loro confederate, con molta fiducia avevano pensato che la loro città mai avrebbe potuto essere assediata da un re o da un imperatore. Di conseguenza avvenne che questa città fin dal tempo più antico fosse nemica ai suoi re e che temerariamente macchinando ribellioni contro i suoi principi, godesse delle divisioni del regno e preferisse avere sopra di sé l'autorità di due sovrani, piuttosto che di uno e ridendosi dell'uno e dell'altro incapaci di farsi valere non serbava fede né a una parte né all'altra. Di queste cose, chi vuole un esempio, ricorra a Liutprando che ha scritto le gesta dei Longobardi].

[1] Liutprandi Cremonensis Antapodosis, «Monumenta Germaniae Historica», in us. schol., a cura di I. BECKER, Hannover-Leipzig, 1915, I, 37.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08