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Wycliff. Il comunismo dei predestinati

di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

© 1975-2007 – di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri


Introduzione

In un messale boemo del 1572 c'è un'immagine interessante: Wyclif è rappresentato mentre accende una scintilla, Hus sta aggiungendo legna alla fiamma e Lutero [1] alza in alto una fiaccola. La raffigurazione è efficace e anche abbastanza corretta – io credo – nello stabilire delle analogie e dei richiami.

Il riformatore inglese è indicato qui come l'iniziatore di un processo di riforma della Chiesa (e di opposizione alla supremazia di Roma) che sarà immediatamente proseguito da Hus e ripreso e portato a compimento da Lutero più di un secolo dopo. Ma non sempre nell'età della Riforma luterana si rintracciano con tanta chiarezza queste relazioni e influenze, e mentre Lutero riconosceva il suo debito a Hus (anche se in modo curioso, come si vedrà), le numerose copie delle opere di Wyclif dormivano ignorate nelle biblioteche dell'Europa continentale e la sua fama era oscurata dal rogo di Costanza. Le repressioni violente contro i Lollardi [2] in terra inglese, prima, e la stessa fortuna della riforma anglicana, poi, stesero un silenzio che durerà a lungo.

Sin dal 1388 Oxford era frequentata da studenti cechi riuniti in un centro, e i figli degli attendenti di Anna di Boemia, sposa di Riccardo II di Inghilterra, ingrossavano le file di questa colonia mantenendo tuttavia con i loro viaggi rapporti intensi con la patria. Furono essi a introdurre in Boemia gli scritti di Wyclif che ormai godevano pessima fama in terra inglese. Hus stesso ci informa (nel 1411) che egli «e molti membri dell'Università hanno posseduto e letto già da venti anni e continuano a leggere i libri del maestro Wyclif»; e, d'altra parte, ne abbiamo una prova nei suoi entusiastici commenti, scritti in lingua ceca, in margine a un'opera filosofica (sugli universali) del maestro inglese, oggi conservata nella Biblioteca Reale di Stoccolma.

Il Dialogus e il Trialogus di Wyclif furono portati in patria nel 1401 da Gerolamo di Praga [3] insieme a un dipinto raffigurante il maestro inglese come il principe dei filosofi; i manoscritti che possediamo del De dominio divino sono di mano boema; il De ecclesia, che costituisce l'ossatura della omonima opera di Hus e ne contiene le tesi, fu copiato da uno studente ceco e da uno boemo (di cui conosciamo persino il nome, Nicola Faulfiss), e un laureato di Praga, Paolo Slawicowicz, nel 1395 possedeva, egli solo, ben quindici opere di Wvclif. Questi non sono che alcuni esempi dell'influenza, pacifica e sicura almeno fino al Concilio di Costanza, del pensiero del riformatore inglese su Hus: Gersone stesso nel 1415 delinea nettamente le linee del movimento denunciando «quegli eretici che sostengono che le loro dottrine sono fondate sulla Sacra Scrittura… nati in Inghilterra, hanno distrutto l'Università di Praga e ora hanno raggiunto persino la Scozia» [4].

Ma Lutero, il terzo personaggio del dipinto che abbiamo citato, non ne ha più una così chiara consapevolezza. È vero che forse una copia del Trialogus fu nelle sue mani e che nel 1519 a Lipsia egli difese le «tesi condannate da Wyclif e Hus», ma l'enfasi è su quest'ultimo, e anche Melantone, con il quale Lutero poi discuterà di Hus, non sembra aver capito la matrice wycliffita del praghese e la sua opinione su Wyclif si risolve in una condanna. Del 1529 è poi una lettera di Lutero che contiene un passo prezioso: «Mi accorgo di aver insegnato e sostenuto fin qui tutte le tesi di Hus senza saperlo… Tutti noi siamo ussiti senza saperlo. Non so come esprimere il mio stupore».

Ecco dunque che l'idea del nostro dipinto non è senza fondamento: Lutero conosce, ammira Hus, ma c'è di più, confessa addirittura una coincidenza sorprendente di vedute anche se non risale a Wyclif (la sua conoscenza del maestro inglese era daltronde parziale). Il passo della lettera va tuttavia stimato con prudenza: Lutero non indica una precisa genesi delle sue dottrine in quelle ussite, ma piuttosto sottolinea una certa continuità di tesi (la «povertà» e la fedeltà al Vangelo) messa in luce da Hus in modo così chiaro tanto che si può dire che anche «Paolo e Agostino erano ussiti».

A cominciare dall'Ottocento, sull'onda di un movimento storiografico nazionalista, la fortuna di Wyclif risalì, e anzi l'enfasi sulla «matrice inglese della Riforma» – o sulla «stella del mattino della Riforma» [5] – toccò livelli esagerati, ma servì a stimolare un'analisi più profonda dei motivi stessi del luteranesimo e fornì soprattutto gli strumenti per questo esame promuovendo la pubblicazione delle opere di Wyclif.

Wyclif, che nasce forse nel 1328 e muore nel 1384, fu di famiglia nobile e compì i suoi studi a Oxford – con molte interruzioni (una delle quali dovuta alla grande peste del '49, la Morte Nera) – prima nel corso di filosofia e poi, come richiedeva il curriculum normale, in teologia. Contemporaneamente iniziò e proseguì la sua carriera clericale come rettore, non molto assiduo a quanto pare ai suoi doveri pastorali, mentre solo più tardi entrò (nel 1372) al servizio della Corona (e anche questo è un passo, se non consueto, frequente, soprattutto nella pratica inglese). A quest'epoca Wyclif è già un maestro rinomato all'Università, ha scritto opere di logica e ha «letto» le Sentenze, ma è solo due anni più tardi che entra nella vita pubblica e inizia così la sua attività di scrittore politico.

Gregorio XI rinnova nel '74 una domanda per il pagamento di un tributo che Giovanni senza Terra aveva promesso in perpetuum alla Sede romana dopo l'annullamento della scomunica (Urbano V già l'aveva richiesto con gli arretrati nel '65). Il paese è esaurito dalle forti spese per la guerra con la Francia, e il Principe Nero, figlio del re Edoardo III, presiede un Concilio di prelati e baroni per decidere la risposta da dare al papa. L'arcivescovo di Westminster dà un parere nella più pura linea della dottrina teocratica riconoscendo il buon diritto del pontefice a richiedere il tributo come «signore sommo», fra il consenso di molti chierici. Ma un francescano, Mardisley, si alza a sostenere, con il conforto della Scrittura, che Cristo non volle possedere dominio temporale e il papa deve seguirne l'esempio. Le due tesi nella forma più estrema sono dunque di fronte: e diventa subito chiaro che l'interesse del regno e dei baroni si allea in modo molto congeniale alla tesi del francescano. Il rapporto vivace e sceneggiato che Wyclif farà di questo dibattito nella Determinatio illustrerà le connessioni temporanee, ma anche la complementarità degli interessi e le convergenze teoriche, in una dottrina già matura e organica.

Wyclif era fra gli ambasciatori che a Bruges dovevano illustrare le ragioni dell'Inghilterra davanti a quelle del pontefice: le tesi estreme delle due parti non furono portate avanti (e Wyclif anzi, nell'ultima fase della trattativa, fu esonerato significativamente dal suo compito), e re e pontefice si accordarono in un utile compromesso. Che Wyclif non l'approvasse è mostrato dalle tesi della Determinatio, scritta proprio al ritorno da Bruges, in cui, in un tono formalmente molto prudente, sostiene invece teorie estremamente decise. Due anni dopo, il De dominio divino e il De civili dominio riprenderanno con ampiezza i motivi di questa prima opera politica inserendoli in un contesto teologico come voleva il metodo di analisi e la struttura del sapere dell'epoca. Gregorio XI risponde molto presto con una bolla nella quale condanna la tesi di Wyclif sul potere e rileva molto acutamente che le dottrine di Wyclif «presentano, con alcuni piccoli cambiamenti, la perversa teoria e le opinioni eretiche di Marsilio da Padova di dannata memoria e di Giovanni di Jandun». Nello stesso anno Wyclif inizia la sua opera di riformatore che si accompagnerà a quella di politico: organizza un gruppo di preti o predicatori «semplici» e «poveri» e li manda nelle campagne fornendo loro le sue tesi nella forma più spoglia e chiara, in brevi trattati scritti in inglese da lui e dai suoi aiutanti. È questo il nucleo dei Lollardi. Nel '78 il grande scisma offre a Wyclif la riprova della corruzione e poi addirittura del collasso della «chiesa visibile», ormai lontanissima, dal Vangelo. Il De ecclesia e il De officio regis sono di questo anno: la Bibbia (di cui promuove la traduzione in inglese) e l'autonomia del sovrano e dello stato diventano per lui i punti fermi, teorico il primo e pratico il secondo, della cristianità. La rivolta dei contadini scoppiata nel 1381 a causa di un ennesimo nuovo tributo e, concertata da John Ball (ma il cui programma rivendicativo alla «Robin Hood» non era lontano dai motivi della predicazione dei «poveri preti» che percorrevano le campagne) rese sospetto Wyclif ai baroni suoi antichi alleati e a Giovanni di Gand che lo aveva difeso dai fulmini del papa. Inizia così la persecuzione dei Lollardi mentre domenicani e clero si uniscono in violenti attacchi al loro maestro.

Gli ultimi due anni di vita di Wyclif, che vive isolato e malato a Lutterworth, dove è rettore, sono sorprendentemente attivi: scrive un trattato contro «le quattro sette» (domenicani, francescani, benedettini e agostiniani) che dividono con regole diverse e tutte corrotte la cristianità, pubblica il Trialogus, denuncia la crociata nelle Fiandre, ma soprattutto ripropone in inglese tutte le sue tesi e le sue polemiche con denunce che dovevano arrivare a un pubblico ben più vasto di quello degli studenti di Oxford, allargandosi a strati sociali fino allora esclusi. E dove non arrivavano i suoi scritti giungeva l'attività di predicazione dei Lollardi che si servivano di quelli come canovaccio.

È proprio questa eco, prolungata oltre la morte e le condanne alla sua persona dall'attività che diventa sempre più politica dei Lollardi (che nel '95 portarono persino in Parlamento una proposta per la riforma della Chiesa), a spiegare la durezza della repressione del suo pensiero: opere di Wyclif vengono bruciate a Praga nel 1410, e nello stesso anno e poi nel '13 in Inghilterra vengono distrutte tutte le copie del Dialogus e del Trialogus. Molte simpatie proteggono però ancora la memoria di Wyclif nel suo paese, e l'ordine di esumare la sua salma e disperderne le ossa, che è del 1415 (anno del Concilio di Costanza), sarà eseguito solo tredici anni più tardi. D'altra parte la Corona aveva ormai dissociato i propri interessi da quelli della predicazione di Wyclif e le ordinanze reali avevano dichiarato i «poveri preti» fuori legge.

Un riformatore sfortunato? O improvvido e poco abile politicamente? Queste domande, nella ormai ampia bibliografia su Wyclif, celano quasi sempre una pretesa analogia delle sue idee e del movimento dei Lollardi con le teorie e l'opera di Lutero, ma esigono anche un confronto fra la struttura e le condizioni dell'Inghilterra della fine del XIV secolo con la Germania dell'inizio del XVI secolo.

Suggestiva analogia, che si rivela molto utile se è assunta in senso problematico, ossia come stimolo a un'analisi sulla genesi delle idee della Riforma e sulla loro connessione con le strutture delle società che le accolsero, ma che risulta inutile se si riduce a un confronto fra i due personaggi (come spesso è accaduto), confronto, tra l'altro, svantaggioso per l'inglese. Come quasi tutti, i personaggi medievali Wyclif non ha per noi dimensioni di carattere, non ci offre rivelazioni autobiografiche o emotive, e la sua opera risulta indecifrabile se la leggiamo con spirito moderno alla ricerca di motivazioni personali; all'opposto, la passionalità violenta di Lutero è tutta presente nei suoi scritti e nelle sue lettere, così che le sue teorie e le sue rabbie, le sue idee e i suoi terrori si presentano ai nostri occhi in un quadro ampio e compiuto.

D'altra parte l'accentuazione di una dimensione o coloritura «medievale» (altra prospettiva che si rintraccia nella storiografia su Wyclif) rischia di non fare apprezzare quel che c'è di nuovo e di più complesso e consapevole nelle idee dei Lollardi e del loro maestro rispetto alle teorie contemporanee o precedenti che in toni diversi deprecavano la ricchezza della Chiesa, indicavano come modello la povertà evangelica e diffondevano persino programmi di comunismo nella loro lotta contro la gerarchia romana.

Un'altra direzione degli studi ha invece individuato nelle dottrine dei Lollardi l'origine del non-conformismo del XVII secolo utilizzando, a me pare, soltanto uno degli aspetti del wycliffismo e nemmeno il più rilevante. Anche questa è tuttavia una prospettiva che può essere utile, a patto di non oscurare gli altri elementi del pensiero e del movimento di Wyclif e soprattutto di non attribuirgli intenzioni anacronistiche [6].

Lo studio del quadro politico e delle strutture socio-economiche dell'Inghilterra del XIV secolo (strutture assai caratteristiche se confrontate con quelle del continente) sembra offrire un appiglio più sicuro per il nostro esame. Non è qui il luogo di tentare un'analisi così ampia e complessa, ma bisognerà, per capire le teorie sul dominio di Wyclif, le sue critiche alla Chiesa, il suo appello al sovrano e ai lords, le sue preoccupazioni per i servi e la sua persuasione della necessità di una cultura inglese che offrisse al popolo il mezzo per accedere alla Bibbia direttamente, bisognerà, io penso, ricostruire se non le motivazioni, almeno il quadro del «malessere» del XIV secolo. Che ha molte facce e innanzitutto un rilievo economico.

Gli storici hanno messo in luce l'importante dislivello economico fra i secoli XIII e XIV: mentre nel primo carestie ed epidemie (fenomeni naturalmente connessi e alternantisi) furono poche, nel secolo seguente l'anno 1313 segna una prima grave carestia, forse una delle cause della peste del '48 (che infatti colpì individui adulti denutriti nella loro infanzia). Da questa data inizia un ciclo spaventoso di pesti e carestie (quest'ultime dovute all'improvvisa scarsità di braccia che coltivavano la terra). Si interrompe così il progresso demografico ascendente con continuità da tre secoli prima, mentre in alcune regioni compare, solo in apparenza paradossalmente contrario, il fenomeno della sovrappopolazione, nelle città soprattutto, che diventano ambienti favorevolissimi alla diffusione di nuovi contagi. L'insufficienza di braccia nelle campagne, i campi abbandonati erano poi la causa della scarsità degli alimenti e del pauroso aumento dei prezzi: alla disperazione dei contadini si accompagnavano le difficoltà del potere signorile fondato sulla terra e il reddito fisso (i fitti diventano sempre più bassi e i salari più alti). Odii e malcontenti alimentavano in tutto il continente la caccia alle minoranze (per esempio ai moriscos in Spagna) e le rivolte, quali le jacqueries in Francia e la rivoluzione dei contadini in Inghilterra.

Nel paese che interessa il nostro esame, l'Inghilterra appunto, a questo quadro bisogna aggiungere tutte le difficoltà che la guerra dei Cento Anni aveva portato, con il depauperamento delle risorse, anche finanziarie, e la perdita di uomini validi che avrebbero potuto lavorare le campagne: ciò spiegava la lotta della Corona contro il papato che pretendeva vecchi e nuovi tributi, sostenuta in questo dai lords del Parlamento che a loro volta temevano di rimbalzo nuove tassazioni del sovrano.

È questa dei lords la classe che all'epoca di Wyclif gioca il ruolo più importante: alla ricerca di una identificazione e di una vocazione, che già non coincideva sempre con le scelte del re, i signori terrieri soffrivano da un lato, molto più dei borghesi, le strettezze della crisi, dall'altro mostravano una netta insofferenza a riconoscere al di fuori dell'Inghilterra centri di potere che condizionassero di fatto le risorse e le possibilità del paese. Da questa doppia tensione nasceva la loro lotta contro diversi obiettivi: i contadini, la cui pressione e le cui rivendicazioni diventavano per i signori molto pesanti; la Chiesa paneuropea, che si rivelava un corpo estraneo al regnum inglese e addirittura nemico per la sua alleanza con la Francia; e anche, talvolta, il sovrano, che preferiva accordi bilaterali, sopra le teste dei lords, con la Chiesa e con i contadini sacrificando così una solidarietà «nazionale» o di classe.

Bisogna poi tener presente che questi lords (continui interlocutori, amici e nemici, nell'opera di Wyclif) non erano solo grandi baroni terrieri, ma anche piccoli nobili e cavalieri che appartenevano al Parlamento e anche cadetti che, pur di origine nobile, per il vigente diritto di primogenitura che li privava di una rendita, mostravano un nuovo spirito che li portava a intraprendere attività al di fuori del cerchio chiuso della produzione feudale.

E sono proprio questa differente composizione e questa mobilità anche all'interno della classe nobile che spiegano la fluidità di certe alleanze e la provvisorietà della convergenza degli interessi.

Ma sullo sfondo sta l'aspetto più importante, la miseria dei contadini (i nove decimi della popolazione inglese nel Medioevo), del tutto isolati nelle loro condizioni e rivendicazioni dagli abitanti della città.

I contadini erano servi, il che voleva dire allora che erano, almeno in rapporto al signore che servivano, non liberi: non solo potevano essere venduti insieme alla proprietà, ma necessitavano anche di consensi del signore per molti atti di quella che siamo abituati a considerare «vita privata» (come il matrimonio dei figli), non potevano andarsene o rifiutare servizi, e dovevano gran parte del loro tempo al signore per il quale lavoravano gratuitamente. Ma, fatto ancor più condizionante, non venivano giudicati dal tribunale del re, ma dalla giustizia del signore anche quando la causa lo riguardava. Queste erano le condizioni formali, in parte, è vero, attenuate da situazioni di fatto: la giustizia alla quale il servo soggiaceva era sì una giustizia che non dava a priori garanzie di imparzialità, ma era vincolata alla norma e alla consuetudine del feudo e quindi, in qualche modo, pubblica. Inoltre molti contadini avevano un piccolo appezzamento di terreno nel quale erano liberi, per il poco tempo che restava, di coltivare soltanto a loro vantaggio. Ma il XIV secolo vede inasprirsi i rapporti signore-servo: i feudatari, sotto la pressione della crisi economica, reagiscono in un primo tempo brutalmente e con violenza, chiedendo più prodotti e tempi più lunghi di servaggio e diminuendo i salari per quella parte di lavoro che veniva fornito a pagamento: la situazione dei contadini diventa così intollerabile e spiega le risposte non solo aggressive ma anche estreme (in senso dottrinale) della rivolta di Ball e di Tyler [7].

Sotto la minaccia di una corrosione del proprio potere (sgretolamento che di fatto avviene) e di rivolte (che di fatto abortiscono) i lords raggiungono una consapevolezza della loro coesione che spiega la loro funzionalità come classe nei confronti della Corona e che li rende estremamente sensibili a quegli appelli alla «nazione» presenti già nelle prime opere di Wyclif. È a loro e nella lingua che essi intendono, l'inglese [8], e in uno stile assai lontano da quello già usato nelle opere filosofiche destinate agli studenti di Oxford, che, a partire dal '74, Wyclif si rivolge.

[1] Wyclif (1328-1384); Hus (1369-1415); Lutero (1483-1545).

[2] Seguaci delle dottrine di Wyclif (v. p. 5).

[3] Allievo di Hus, fu condannato al rogo al Concilio di Costanza.

[4] Gersone, teologo, cancelliere all'Università di Parigi, fu il principale oppositore di Hus a Costanza. La frase citata si trova in De sensu Litterali Sacrae Scripturae (Opera omnia, a cura di P. GLORIEUX, Paris, 1961, vol. III, pp. 333-341).

[5] Si veda per esempio il significativo titolo dello studio di A. FASULO, Il nonno della Riforma, Roma, 1924.

[6] Vedi Bibliografia.

[7] John Ball, predicatore errante nelle campagne e sostenitore di teorie comunistiche, fu il teorico della rivolta, che trovò un capo in Wat Tylor, arrestato e ucciso nel 1381.

[8] Fino al regno di Edoardo III (1327-1377) i nobili inglesi parlavano abitualmente il francese (del resto già assai differenziato da quello continentale) che consideravano un segno di distinzione dalle classi povere, ma il carattere nazionale che la guerra dei Cento Anni venne ad assumere li portò ad adottare decisamente la lingua inglese.

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08