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Wycliff. Il comunismo dei predestinati

di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

© 1975-2007 – di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri


Testi

La traduzione del testo qui proposto è mia. Non esiste altra traduzione in lingua moderna. Per le pagine tradotte dal middle english desidero ringraziare il Dott. Augusto Rilloso per la sua preziosa collaborazione.


1. Dalla «Determinatio»

La Determinatio segna l'esordio di Wyclif come scrittore politico: la data verosimile è il 1374, anno in cui Wyclif inizia anche la Summa a Oxford, dove si era ritirato dopo la delusione della missione a Bruges. L'operetta è divisa in due parti nettamente distinte: la prima contro il maestro Uhtred (al quale Wyclif si rivolge molto rispettosamente), che sosteneva la superiorità del sacerdote sul laico anche in canapo civile; la seconda contro Binham (trattato molto meno gentilmente), che aveva scritto una nota contro lo stesso Wyclif, affermando con estremo vigore le più radicali tesi teocratiche. Le pagine date qui appartengono a questa seconda parte, che è sceneggiata vivacemente con il rapporto dei discorsi dei sette lords (eco delle dispute avvenute nel Parlamento).

(In Opera minora, a cura di J. LOSERTH, London; 1913, pp. 404-430).


… Ma io, come umile e obbediente figlio della Chiesa di Roma, mentre assicuro di non voler dichiarare nulla che possa suonare ingiuria alla Chiesa e offendere le orecchie pie, voglio riportare al mio venerabile dottore (Binham) la soluzione di questo argomento che una volta ascoltai in un'assemblea di signori laici.

Il Primo Lord, il più valoroso guerriero fra essi, così parlò: «Il regno d'Inghilterra è stato conquistato con la spada dei nobili e difeso con la stessa spada contro gli invasori. In tal modo fu annullato a pieno diritto il tributo che Giulio Cesare aveva imposto con la violenza – come disse Aristotele quando affermò che nessuna opera dell'uomo fatta con la violenza è eterna –. Il problema relativo al preteso tributo da versare alla Curia Romana è analogo e io sono persuaso che bisogna rifiutarlo, a meno che il papa non sia in grado di strapparcelo con un'azione violenta. Se egli tentasse di imporcelo così, sarà nostro compito resistergli difendendo il nostro diritto».

Il Secondo Lord così disse: «I tributi devono essere versati solo alle persone autorizzate e capaci. Ma il papa non lo è, e a nessuna ragione lo può pretendere; quindi ogni sua pretesa deve essere rigettata. Il papa deve essere seguace di Cristo, che rifiutò ogni dominio terreno: di conseguenza anche il papa deve rifiutarlo. Infatti quando l'avaro, pensando ai beni materiali, promise a Cristo di seguirlo, come sta scritto nel Vangelo di Matteo, così Cristo gli parlò: ' Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli i loro nidi, ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo'; e voleva intendere: 'Non credere che io ti insegni a far miracoli e a risanare perché tu possa acquistare dominio, poiché né io nè i miei discepoli vogliamo essere signori in questa vita'. Dovendo costringere il papa all'osservanza della sua stessa religione, è chiaro che siamo tenuti a rifiutargli il tributo civile».

Il Terzo Lord disse: «Mi sembra che il motivo e il preteso fondamento della richiesta del papa possano essere ritorti contro di lui. Infatti il papa è il servo dei servi di Dio e quindi deve ricevere denaro dall'Inghilterra soltanto in caso di servizi resi a questo paese. Ma egli non aiuta il nostro regno né spiritualmente né materialmente; anzi prima pretende da noi denato per sé e per i suoi, poi aiuta con favori e consigli i nostri nemici: sembra giusto dunque che noi gli neghiamo il tributo già promesso. Venuta a mancare la ragione, si deve negare il mezzo ordinato a tal fine. Abbiamo sperimentato molto bene che i papi e i cardinali non ci assistono con aiuti né temporali nè spirituali».

Il Quarto Lord disse: «Io credo che dobbiamo resistere al papa proprio in base alla legge del sovrano di cui siamo sudditi. Ora, il papa è il signore sommo di tutti i beni dati alla Chiesa (in Inghilterra) e di quelli in manomorta e, poiché più della terza parte del regno è di proprietà della Chiesa, è chiaro che il papa è signore di tutto ciò. A riprova di ciò si può vedere che alla vacanza di una parrocchia per morte del prevosto il papa esige come signore sommo i primi frutti. Ma in campo civile non vi possono essere due signori allo stesso livello ed è necessario che uno sia dominante e l'altro suo vassallo: è chiaro dunque che è necessario che per tutto il periodo di vacanza il papa sia vassallo al re d'Inghilterra o questi al papa. Ma noi non possiamo ammettere che il nostro re sia vassallo, e affermiamo che egli è signore sommo. Resta dunque che il papa debba, durante quel periodo, essere vassallo al re (ossia suo suddito). Ma il papa più volte ha mancato nei suoi doveri di vassallo e nell'omaggio al re e ha perduto quindi tutti i suoi diritti. Questi aspetti non si devono sottovalutare, poiché con il passare del tempo elementi che inizialmente hanno poco peso crescono d'importanza. Il papa pretende infatti di mortificare il regno inglese ponendosi come signore più alto dello stesso re d'Inghilterra».

Il Quinto Lord disse: «Io credo che il tributo sia collegato all'assoluzione e alla remissione dell'interdetto e dichiarazione di usurpazione, con le quali il papa restituì il regno al nostro re Giovanni, dal momento che mi appare chiaro che il re non regalò un'elemosina in perpetuo senza motivo. Sia nel primo che nel secondo caso, affermo che il tributo deve essere soppresso come atto disonesto e simoniaco, poiché non è lecito concedere benefici spirituali su promessa di versamenti di tributi e beni temporali, come sta scritto nel Vangelo di Matteo: 'Ricevete gratuitamente e gratuitamente date'. Anzi, se re e regno non rifiutassero queste disoneste condizioni, perderebbero il dominio e la sovranità. Se invece il papa ha inflitto al re il tributo come penitenza e pena, sembra chiaro che una tale elemosina si debba versare non al papa che diede l'assoluzione ma alla povera Chiesa d'Inghilterra, alla quale il re recò torto. Non è cristiano affermare: ti assolvo alla condizione che tu mi versi ogni anno un tributo. È giusto invece rompere il patto – in questo caso con chi ruppe il suo patto di lealtà a Cristo. Inoltre sembra ragionevole che la pena ricaschi su chi pecca e non su una comunità innocente. Poiché questo tributo annuale non ricade solo sul re che ha peccato, ma anche sul popolo povero e innocente, ecco che esso appare più un'azione predatoria che una salutare penitenza. Inoltre il papa sarebbe divenuto sovrano del regno che per il peccato di re Giovanni sarebbe stato a lui restituito: e quindi potrebbe a suo piacere togliere al re il regno d'Inghilterra per darlo ad altri. È nostro dovere rifiutare questi principi».

Il Sesto Lord così parlò: «A mio parere questa pretesa si può ritorcere contro il papa, come ha già osservato il Terzo Lord. Se infatti il papa, come pretende, avesse dato il regno d'Inghilterra al nostro re, avrebbe concesso un dominio di cui non era signore, a meno che non si tratti di una donazione fasulla. Ma non è lecito concedere i beni della Chiesa senza una ricompensa adeguata, e non è lecito quindi per il papa vendere o donare un regno tanto ricco per un così modesto tributo annuo. Egli potrebbe, a questa guisa, concedere tutti i regni e i domini della Curia di Roma per poco prezzo. Se accettassimo questa condizione, è chiaro che il papa potrebbe richiedere il regno, sostenendo di essere stato defraudato del valore reale del paese. È necessario, come ha detto il Quinto Lord, opporsi a queste pretese; anzi, poiché Cristo solo è il signore sommo e anche il papa può peccare e quando pecca mortalmente – secondo i teologi – perde il diritto al dominio, ne discende che il pontefice non può aver diritto alla sovranità sull'Inghilterra. Per mantenere il dominio sul nostro regno è necessario che noi stiamo lontani dal peccato mortale, distribuiamo i beni ai poveri, mantenendo così il nostro regno come dono immediato che viene da Cristo che, come Signore Sommo, può legittimare appieno il dominio di qualsiasi creatura».

Il Settimo Lord disse: «Mi meraviglio che non facciate cenno alla leggerezza del re e al diritto del popolo. È evidente che un improvvido patto del sovrano dovuto a un suo peccato non, deve aver valore senza il consenso legittimo del regno, che ne verrebbe danneggiato. Il re Giovanni, a causa dei suoi gravi peccati, stoltamente (poiché, come dicono i filosofi, ogni malvagio è ignorante) si legò con quel patto alla Curia, pur non avendo il consenso comune del regno. Non è giusto quindi che i sudditi tanto a lungo sopportino una così gravosa penitenza; anche se il patto è stato segnato con il sigillo d'oro del re e con i sigilli di quei pochi signori traviati da lui a siglare il patto che obbligava l'Inghilterra a versare in perpetuo una somma, tuttavia, poiché altri signori non erano consenzienti ed erano preoccupati del loro paese, si può ben dire che non sussisteva il consenso comune. Altrimenti si farebbe ingiuria a quei lords che non hanno consentito al patto e tuttavia hanno sempre versato, per le loro persone e per i loro sudditi, il tributo dovuto. È necessario, secondo la legge e la consuetudine del regno, che ogni persona dia il suo consenso, o direttamente o tramite il suo signore, a un tributo comune come è questo. Un documento non è valida testimonianza solo perché redatto con i sigilli d'obbligo, innanzitutto perché può essere falsificato e poi perché, anche se è vero e reca i sigilli del re e di altri, signori da lui traviati, manca l'autorità del regno che consente al completo. Mi sembra dunque facile rispondere, sia nella forma che nella sostanza, all'argomento del pontefice con l'aiuto dei pareri di questi saggi signori. Quanto alla forma, L'argomento del papa è vizioso perché contiene una fallacia nella proposizione conseguente. Infatti è come se dicesse che il dominio – che è stato dato a una condizione – viene perduto quando manchi questa condizione anche se quest'ultima è contro giustizia. Questo è evidente, a meno che il mio dottore non mi dimostri – contro la buona ragione del sovrano inglese -–la razionalità della condizione della donazione. La sua argomentazione non vale infatti contro il nostro re, anzi, a mio parere, la condizione diventerà ragionevole e onesta soltanto quando cesserà ogni tributo ».

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08