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Wycliff. Il comunismo dei predestinati

di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

© 1975-2007 – di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri


Testi

2. Dal «De dominio divino»

La data del De dominio divino può essere soltanto congetturata: ma l'opera è senz'altro posteriore alla Determinatio e anteriore al 1377 (data della bolla di papa Gregorio contro Wyclif). È significativo che i manoscritti della Biblioteca di Vienna (sulla base dei quali il Poole ha condotto l'edizione) siano stati redatti da Boemi che scrivevano in inglese ma postillavano nella lingua natale: la diffusione dei testi del maestro inglese in Boemia si spiega con la presenza di molti Cechi, studenti all'Università di Oxford, presenza che divenne ancora più notevole con i legami stabiliti dal matrimonio di Riccardo II (1382) con Anna di Boemia. Hus nel 1398 annotò entusiasticamente di suo pugno alcuni trattati di Wyclif, mentre nel 1401 Gerolamo da Praga, tornando in patria da Oxford dove aveva compiuto i suoi studi, recava con sé il Dialogus, nel quale aveva trovato «la vera radice della conoscenza».

Diamo qui alcune pagine dei libri primo e terzo. La fonte e il più immediato riferimento per le teorie qui esposte è il trattato di Richard Pitzralph, De pauperie Salvatoris (1350), nel quale sono sottilmente analizzate le distinzioni fra dominium, possessio, proprietas e usus nel contesto della disputa sulla povertà dei Mendicanti. Fitzralph rappresentava le ragioni del clero inglese nella sua lotta contro i frati, ma i risultati della sua analisi andavano oltre all'episodicità della discussione e sottolineavano la superiorità della comunione dei beni sulla proprietà privata: la tesi era suscettibile di esiti rivoluzionari (senz'altro assenti nella teoria di Fitzralph).

(Ed. a cura di R. L. POOLE, London, 1890, passim).


LIBRO PRIMO, CAPITOLO PRIMO


Il dominio è un abito della natura razionale secondo il quale si definisce la supremazia su un soggetto.

In primo luogo, per quanto concerne il genere del dominio, è chiaro che si tratta di una relazione e di conseguenza di un abito: infatti signore e servo (come si legge nelle Categorie e nel Libro quinto della Metafisica) sono definiti in relazione a qualcosa, e quindi sono identificati formalmente in base a una relazione. E, poiché è solo della natura razionale (ossia di Dio, degli angeli e degli uomini) dominare in questo preciso senso, è evidente che il dominio, così inteso, indica un potere che presuppone atti liberi e può darsi soltanto in esseri razionali. Donde il termine dominus, che viene da domus, poiché è proprio del signore governare la casa come Dio governa il creato…

L'espressione «secondo il quale» (presente nella definizione) indica la circostanza della causa formale, mentre il termine «supremazia» esprime l'ordine o la direzione in cui avviene il dominio che, negli uomini, è accidentale; quanto al termine «soggetto», esso non ha valore assoluto ma indica qualsiasi soggetto sottomesso al suo superiore.

Ogni creatura necessariamente e sempre è serva di Dio, come dice il canto «Ti servono tutte le cose che creasti» (Hester XIII, II: Tu sei il Signore dell'universo). Per la pienezza del dominio divino ogni creatura è soggetta a Dio anche se non lo vuole, come il peccatore, o obbedendo ai suoi ordini, come le altre creature, ognuno a suo modo…

Né si deve intendere il termine «servire» nel senso in cui lo intendono i politici grossolani: serve infatti il suo signore chiunque, con l'opera o l'astensione, o in altro qualsiasi modo, fa ciò che deve… Noi parliamo infatti del dominio in senso razionale e con ciò si eliminano le controversie sulla sua definizione…

Da ciò discende anche la descrizione del servizio; poiché i termini opposti nella relazione hanno una corrispondenza e, come dice Porfirio, è necessario che l'uno si valga della definizione dell'altro.

Il servizio è infatti un abito della creatura secondo il quale essa è soggetta a un dominante. Bisogna però distinguere servizio da servitù, servo da servitore.

Servo infatti è chi – in senso stretto – è schiavo legato a un signore … e servitù è una condizione di costrizione che deriva dal peccato, mentre il servizio è proprio anche di Cristo e dei Beati…

La servitù è condizione derivata dal peccato, come si dice nel Genesi (IX, 25) a proposito della disobbedienza di Cam verso il padre Noè. «Maledetto – dice la Scrittura – tu sarai servo dei servi dei tuoi fratelli». E ribadisce il beato Agostino nel De Civitate Dei (cap. XV): «Dio non volle che lo spirito razionale fatto a sua immagine dominasse altri spiriti razionali. L'uomo non doveva dominare l'uomo ma solo pecore». Infatti i primi giusti furono più pastori di greggi che sovrani di uomini.

La parola «servo» nella Scrittura significa il più delle volte ministro, come è chiaro nelle lettere degli apostoli che scrissero già liberi dal peccato: in questo senso Cristo e i beati del paradiso sono i migliori servi di Dio. Chiamo quindi servo (o meglio servitore) chi assolve un compito, mentre altra cosa è il servo per servitù, come il diavolo e i suoi sudditi che sono i più servi di tutti. E di conseguenza chiamo dominio caritatevole o vicariato il dominio che opera un volontario ministero per la edificazione del corpo mistico di Cristo: lo posseggono gli ecclesiastici, che del resto assolvono a un servizio tanto più quanto più sono perfetti nel loro ministero. Altro è il dominio che costringe, che è vietato agli ecclesiastici. Da ciò è chiaro che la creatura razionale può essere libera e serva secondo due aspetti diversi.

Come creatura razionale è serva di Dio, ma se è tale ha infatti il libero arbitrio e così, rispetto ai suoi atti, è libera. Se è di natura razionale ha la volontà, ma poiché nulla può costringere la volontà, essa è libera come esige la definizione di potenza volitiva.


LIBRO PRIMO, CAPITOLO SECONDO


Voglio qui dimostrare l'errore di coloro che sostengono l'identità del dominio con il diritto e il potere.

Un uomo può avere diritto a possedere una cosa ed essere privo del dominio su di essa; ma se ha il dominio su qualcosa ne ha anche il diritto. Infatti il dominio non può essere tale e, insieme, il suo contrario. Non è il diritto ma lo presuppone come suo fondamento… Il diritto infatti, pur essendo la base del dominio, non è formalmente il dominio, come la forza generativa del padre non è formalmente la paternità ma il fondamento necessario.

Il potere non è dominio né lo comprende; ogni dominio è connesso con il possedere un servo o con un suddito sul quale si esercita, ma questo non avviene nel caso del potere: ne consegue che il dominio non è identico al potere. La potestà delle chiavi – per esempio – è data ai sacerdoti anche se essi non hanno sudditi in loro potere. Questo avviene in ogni sorta di potere; anzi, poiché è nella definizione di dominio che esso sia esercitato da una natura razionale, è chiaro che diritto e potere non sono identici al dominio. Dio infatti può dare all'uomo diritto e potere, per mezzo del quale, in seguito, potrà trarre a sé dei sudditi e acquistare così il dominio senza che i due elementi - potere e dominio - siano identici. Lo stesso si può dire per il diritto…

Il dominio relativo esige un dominio assoluto dal quale derivare, altrimenti si avrebbe un processo all'infinito…

Ogni creatura in quanto tale è serva del Creatore, ossia il Creatore ha il dominio su ogni creatura: egli è Signore proprio in virtù della creazione…

Il dominio, nell'uomo, ha diversi aspetti. Come vi sono il diritto naturale, evangelico e umano, così si ha il dominio naturale, evangelico (ossia il «dominio di carità» o servizio quando si assume un ministero nel nome di Cristo) e il dominio coercitivo, che varia secondo le leggi e i diritti che stanno alla base…

Ma bisogna rifarsi al dominio divino come metro e principio assoluto dal quale nasce ogni altro dominio… Se infatti una creatura ha il dominio su qualcosa, Dio innanzitutto ha il dominio sul medesimo oggetto. In che modo una creatura può dominare un'altra se quest'ultima non è stata creata? E proprio in quanto Creatore Dio ha il dominio su questa.

Quindi proprio nel momento in cui una creatura domina un'altra, Dio, originariamente, domina entrambe.

L'eccellenza del dominio divino si definisce secondo tre aspetti, nel confronto del dominio che le creature possono esercitare innanzitutto da parte del soggetto, poi secondo il fondamento, e in ultima istanza da parte dell'oggetto.

Da parte del soggetto: per la sua stessa eccellenza il dominio divino non necessita del servizio corrispondente, mentre ogni creatura dominante ha bisogno del servo… Ciò sta scritto in più passi della Bibbia, ad es. Salmi XV, 2 dove si legge: «Dissi al Signore, tu sei il mio Dio proprio perché non hai bisogno dei miei beni». Ecco il motivo che dimostra che Dio è il Signore, poiché domina senza aver bisogno di servi; ma l'uomo sa invece che il servo allevia la sua miseria ed è utile al suo ministero. Ma se un uomo avrà troppi servi, più di quanto ne abbia effettivamente bisogno, senza dubbio peccherà di dominio superfluo: così avviene per quei superbi che dominano una grande folla di servitori, posseggono splendide dimore e grandi ricchezze, e si vantano nella loro cieca superbia che li gonfia ignobilmente. Una creatura è, nel dominio, tanto più meritevole e simile a Dio, quanto più raggiunge un fine buono con mezzi modesti, atti a sollevarla dalle sue necessità: cosicché, se un uomo è in grado di percorrere virtuosamente la strada di questa vita senza possedere castelli, servi e dimore, egli è tanto più nobile e perfetto nell'esercizio del suo dominio civile. Questo è il dominio che Cristo scelse per sé, come si vedrà più avanti.

Ma anche in raffronto al suo fondamento, il dominio divino è superiore a quello umano. Dio non ha un diritto accidentale, che può venire meno con la distruzione del dominio … Dio acquista il dominio con il puro atto della sua creazione… Anche da parte dell'oggetto dominato, il dominio divino appare superiore. Tanto violento è il dominio divino, che nessuna creatura può fare a meno di servire Dio, anche se serve un altro signore. Se un uomo serve il diavolo, che è servo di Dio, serve anche Dio. L'uomo è servo di Dio sia che faccia il suo dovere come un servo buono e fedele, sia come un servo cattivo e inutile, soffrendo per la maggior gloria di Dio e l'utilità dei servi buoni. Dio non tralascia di ripagare il servo malvagio con disgrazie terribili, ma provvede a ogni suo servo, creato dal nulla, ovunque e sempre, lo sorregge, lo conserva, lo consola e lo aiuta con premi e ricompense, e con la sua guida lo conduce ad aumentare il suo beneficio.

Il dominio divino è incommensurabile con qualsiasi altro doininio creato. Il signore terreno ha sempre più bisogno del servitore.

Parlerò diffusamente di queste verità sebbene siano dimostrabili e chiarissime.

Se un signore civile esigesse dal proprio servo qualcosa al di là del suo stretto dovere, non per questo sarebbe grato al suo servo. Nel caso di Dio questo è anche più vero. Come disse Cristo: «Pur avendo fatto ciò che ci era prescritto siamo servi inutili: abbiamo semplicemente fatto ciò che dovevamo». Ecco una buona medicina contro la superbia che nasce dalla pretesa di capire il dominio divino! Per quanto l'uomo accumuli meriti nella sua vita terrena obbedendo ai comandi di Dio fino al limite delle sue possibilità, Dio non riceve da lui nulla in cambio, ed è proprio in questo senso che il servo è inutile a Dio: tutti i doni naturali e aggiunti provengono da Dio per pura grazia e per la sola utilità di chi li riceve. È Dio che provvede e aiuta a meritare per il solo vantaggio di chi riceve l'aiuto, poiché nulla può accrescere o migliorare il bene di Dio. E avviene così che il servizio prestato diventi un debito di gratitudine e un vantaggio per lo stesso servo.

Tutto ciò nasce dalla somma perfezione del dominio divino. È per questa sua incommensurabile maestà che la Chiesa canta: «Tu solo sei Signore…».

Dio soltanto deve essere chiamato il sommo Signore… Dio domina non mediatamente, attraverso le funzioni dei vassalli che lo servono, come avviene per i re di questo mondo ma, immediatamente e solo, sorregge e governa tutto ciò che possiede e guida a compimento le opere, secondo le finalità da Lui stesso previste…

L'uso che Dio fa di ogni creatura non è volto a proprio vantaggio o ad aiutare una sua carenza, ma è un dono dello stesso Dio…

Egli è il Bene che tutti desiderano (Etica a Nicomaco, I, 7) e il fine in grazia al quale tutte le cose naturali sensibili agiscono e al quale tendono (come si legge nel De Anima, Libro II).

Il possesso divino non è la conservazione della creatura, ma la sua causa, come il governo di Dio è la causa dell'uso…

Possedere è infatti avere in mano il suddito dominato, ed è chiaro che ogni possesso segua il dominio e sia a lui posteriore nel tempo e logicamente… Il possesso è a metà strada fra l'uso e il dominio, ma in Dio nessun aspetto può essere separato nel tempo, anche da un solo istante.

Queste considerazioni sono valide anche per i politici, poiché i principi della conoscenza del dominio, del possesso e dell'uso sono utili anche riguardo alle creature. In Dio non si distinguono, né da parte del soggetto, né da parte dell'oggetto. Si può però trovare una distinzione rispetto agli atti di Dio che ne stanno a fondamento: creazione, conservazione e governo del mondo.


LIBRO TERZO, CAPITOLO PRIMO


…Dio è sommamente liberale e dona al massimo grado. Ogni dono viene da Dio, come disse Giacobbe (I, 17): «Ogni dono, perfetto e buono, discende dal Padre…».

È evidente l'ignoranza di quei filosofi grossolani che pensano che alla donazione piena e totale seguano l'abdicazione e l'alienazione, altrimenti i doni di Dio non sarebbero veramente tali. Ma nessuna creatura può essere esentata dalla servitù a Dio, in base alla piena e totale dominazione di Dio. Chi dona un oggetto al suo servo non lo aliena e non lo perde, dal momento che tutto ciò che il suo servo ha, è pienissimamente suo: è chiaro quindi che non è possibile prestar servizio a una creatura senza servire anche il Creatore. Di conseguenza il dominio spetta solo al Signore.

Dalla piena onnipotenza di Dio, dalla cui creazione ogni creatura necessariamente dipende, discende che il dominio divino non viene alienato con la donazione di alcunché, ma rimane assoluto e pieno… La proprietà non è identica nella sua definizione al dominio… Un esempio si può trarre dalla considerazione del dominio di guerra. Il conquistatore di un regno, sovrano sommo, immediatamente dopo la conquista, ancor prima di essersi impadronito dei territori, può donare a un suo soldato o a un barone una certa terra, conservando a sé il dominio vero e proprio, mentre il suo potere sul vassallo aumenta. Oppure può conservare per sé, non solo il dominio, ma anche la proprietà della terra conquistata… La premessa del dominio non diminuisce né aumenta a causa dell'uso.

I filosofi non prevenuti debbono convenire che la comunione non è contraria al dominio terreno, che non esige necessariamente la proprietà. Anzi è vero che il fondamento della proprietà è il peccato… L'appropriazione dei beni di fortuna (che fra i cinque generi di beni sono quelli di minor valore) avviene sotto il segno dell'imperfezione: infatti il nostro Salvatore con i suoi apostoli non volle essere, nel suo dominio, proprietario, ma volle la comunione dei beni come esige questa nostra condizione di vita, comunione che ci farà meritare il vero dominio superiore…

La donazione non per partecipazione ma «translativa» è miserevole, perché nasce dall'imperfezione e spoglia il donatore per rivestire chi riceve… Se non ci fosse stato il peccato non sarebbe mai avvenuta una donazione di questo tipo; ma l'ambizione di onori, l'avidità delle cose materiali e l'ingordigia dei peccatori carnali hanno generato la proprietà. Solo Dio dona in senso proprio; le creature o in senso improprio o abusivo perché donando dispensano ciò che hanno avuto in prestito e agiscono, così, come ministri o funzionari del vero Signore. Avviene cioè come quando un vassallo di un sovrano terreno distribuisce le terre del suo superiore, che è il vero donatore. Se la distribuzione di terre avvenisse senza l'autorizzazione del sovrano non sarebbe una vera distribuzione del sovrano, ma un abuso di potere.


LIBRO TERZO, CAPITOLO QUARTO


Ogni donazione divina è un prestito fatto alla creatura: Egli presta il merito e lo strumento per meritare… Da ciò discende che nessuna creatura può meritare da Dio se non de congruo (ossia in modo conveniente e proporzionale ai suoi meriti), ma mai de condigno (ossia mai i meriti delle creature sono causa della loro salvezza).

Cominciamo col dire che merito e premio sono in relazione a qualcosa, così che per merito si intende un'opera o un discorso di chi serve liberamente, ricompensato dal Signore con una retribuzione, ossia un premio. Si capirà allora che solo le creature razionali hanno veri e propri meriti. In teologia, la parola «merito» ha un senso molto preciso e significa ciò che la creatura razionale fa per ottenere la salvezza; mentre demerito allude al cattivo uso dei doni divini, che porta alla pena perpetua… Dico quindi che la creatura razionale merita de congruo, ossia che può rendersi degna del premio per mezzo di una legge generosa e del magnanimo aiuto del Signore… Meritare de condigno è invece proprio del servo che si rende meritevole di ricevere un premio dal superiore, che a sua volta ha bisogno dell'aiuto del servo. Credo che una creatura che dipende da un'altra possa meritare solo a queste condizioni…

Dio invece per il suo stato di onnipotenza presta ai suoi servi tutto ciò che è necessario ad acquistare meriti e premia generosamente le loro buone azioni… È dunque impossibile servire Dio, se non con l'aiuto concessoci dal Signore; ed è impossibile servire Dio senza la sua grazia: la creatura non potrà mai avere meriti sufficienti (de condigno). Ma obbedendo alla legge di Cristo il suo ministro meriterà de congruo, poiché osservando i suoi doveri si renderà degno del regno di Dio… Dio è come un sovrano sommamente ricco e generoso che ha stabilito con un decreto che chiunque giungerà al termine di uno stadio, superando alle armi i suoi rivali e ottenendo il maggior numero di trofei, sarà adottato da lui come erede. È evidente che chi duellando conquista i premi e ottiene così la ricompensa promessa, riceve un dono che è soltanto dettato da un gesto generoso del sovrano. Dio – secondo le parole dell'apostolo – ha indicato questa vita, la carne, il mondo come uno stadio da percorrere, e ha permesso al diavolo di contrastare l'uomo affinché egli possa ancor più meritare; ha posto un premio possibile per ciascuno e ha deciso che chi, con lotte e astuzie, raggiungesse la vittoria finale, fosse ammesso al suo regno in eterno. E come dire che il soldato di Cristo merita la corona promessa da Dio… È una legge immutabile di Dio che nessuno possa essere premiato se prima non ha meritato in proporzione (de congruo)… Ma è chiaro che Dio nonostante la sua potenza assoluta non può ammettere alla gloria eterna chi non ha ricevuto la grazia e … secondo la Scrittura, nessuno può avere meriti senza che lo accompagni la grazia divina, come del resto bene spiega Roberto di Lincoln… La grazia di Dio ha il ruolo principale nella salvezza dell'uomo e lo ha in senso completo (ex integro), ossia non si può attribuire alla grazia una parte e un'altra parte alla natura priva di grazia. Dio infatti compie un'opera totale per la sua creatura, e il concorso della grazia e della natura deve essere inteso sempre unitamente. Sono vari i casi nei quali si vede che Dio continua la sua grazia con il permettere alla creatura di acquistare meriti da sola, senza il concorso immediato della grazia; la grazia divina è l'agente principale, poiché è mediante la grazia che la creatura può acquistare meriti più che con qualsiasi disposizione naturale. Nessuno merita il premio a causa delle sue opere, ma soltanto attraverso le sue opere… La vera causa del premio è la grazia e non il merito di chi è premiato, come afferma la Scrittura, dicendo che nessuno merita a causa delle sue opere ma solo a causa della grazia. E il teologo, sottile indagatore dei sensi della Scrittura, esamini attentamente le varie significazioni della preposizione ex (nella espressione ex operibus mereri).

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UpUltimo aggiornamento: 02/08/08